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Sergio Cofferati e la sinistra
del prima e dopo di Giorgio Cremaschi |
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Cosa fa un sindaco di sinistra di fronte a degli operai stranieri
supersfruttati, che vivono in baracche? Cerca di aiutarli. Cosa fa un
sindaco di destra? Manda le ruspe. Sergio Cofferati ha mandato le ruspe.
Alle prime luci del mattino queste hanno spianato una povera bidonville
di muratori rumeni, alle porte della civilissima Bologna. Così
i bambini e le mogli, colti nel sonno e meno lesti a fuggire, hanno visto
in faccia il rigore della legalità, là ove la sinistra governa.
Certo si tratta di famiglie fuori legge. Gli uomini lavorano, con o senza
permesso di soggiorno per "appaltatori" che violano tutte le
leggi, restando però impuniti, anzi magari ammirati per le capacità
imprenditoriali. In questo inferno, in questa moderna schiavitù,
non si può neppure concepire il diritto alla casa. Quello non c'è
nemmeno per i bolognesi doc.
E così i poveri stanno in baracche. Come nel film "Miracolo
a Milano", ove una comunità di "barboni" veniva
fatta sloggiare dalle baracche insediate nella periferia della metropoli,
anche là per ordine del sindaco.
Zavattini e De Sica, autori di quella fiaba capolavoro del neorealismo,
dipingevano il sindaco, gli assessori, i vigili urbani, come rappresentanti
di un potere sordo e ottuso, incapace anche della semplice gentilezza.
Forse essi non pensavano che cinquant'anni dopo altri sbaraccamenti sarebbero
stati vanto del sindaco della città simbolo della sinistra.
Tutto ciò fa provare rabbia e vergogna, prima di tutto perché
questa insensibilità profonda viene dalla nostra parte politica,
da quella che vuol mandare via dal governo Berlusconi e la Lega. Si provano
rabbia e vergogna perché i poveri non possono diventare cenere
da nascondere sotto il tappeto del perbenismo ed è davvero ben
misero un concetto di legalità totalmente separato dalla giustizia
e dalla sensibilità sociale.
Ma accanto alla rabbia sorge una domanda. Perché l'ex segretario
della Cgil, che ha portato in piazza tre milioni di persone per difendere
il lavoro dalla precarizzazione, oggi perseguita proprio i più
precari tra i lavoratori? In realtà ha ragione Cofferati quando
sostiene di non essere sostanzialmente cambiato, come uomo della sinistra.
Ma di quale sinistra? Di quella del prima e del dopo.
Prima quando non è al governo, questa sinistra sta dalla parte
del popolo, quasi sempre senza se e senza ma. Ma poi, quando raggiunge
un ruolo di potere, quando amministra o governa, questa sinistra cambia.
In realtà essa semplicemente assume in sé le sembianze e
le funzioni del popolo. Il popolo siamo noi, essa proclama, così
come i re di Francia dicevano di se stessi assolvendosi da qualsiasi dovere
di rappresentanza. Quei re erano considerati capaci di trasformare il
male in bene, per il solo fatto di regnare. E una certa sinistra, come
quei re, pensa di essere di per sé il bene del popolo, indipendentemente
da quello che il popolo dica o pensi.
Per questo essa pensa di essere autorizzata, una volta al governo, a fare
ciò che affronterebbe con le barricate stando all'opposizione.
Non per cattiveria o corruzione, ma per senso di responsabilità.
Sia chiaro, in tutto questo non centra l'essere più radicali o
più riformisti, beati o rivoluzionari, sia i comunisti, sia i socialdemocratici
hanno vissuto una lunga storia di prima e dopo. Non sarebbero crollati
così ignominiosamente i socialismi dell'est europeo, se non fossero
stati governati da una burocrazia che pretendeva contemporaneamente di
essere il popolo e di comandare sul popolo. E, nel nostro piccolo, non
è forse vero che la Cgil di Cofferati, quando governava il centro
sinistra, non era certo tutti i giorni nelle piazze, e approvava persino
la guerra umanitaria? Poi le cose sono cambiate con Berlusconi, speriamo
che non mutino di nuovo.
Ma la sinistra del prima e del dopo non manda le ruspe solo perché
si dà da sola il diritto di farlo. Lo fa anche perché è
priva della partecipazione emotiva, dell'identificazione morale, con gli
esclusi. Claudio Sabattini, quando era segretario della Fiom disse che
non si può fare bene il mestiere del sindacalista, se non ci si
identifica con la sofferenza di chi si vuol rappresentare. Ecco ad un
certo punto può capitare che tutti i legami con questa sofferenza
si recidano e la governabilità e i sondaggi prevalgano su tutto.
Certo i muratori rumeni non votano alle elezioni comunali di Bologna.
Ma quella città è diventata quello che è perché
più di cento anni fa i socialisti riformisti, da Andrea Costa a
Camillo Prampolini, vi organizzarono gli esclusi. Quei riformisti hanno
dato agli esclusi di allora senso della giustizia e della dignità
e, ben prima, che avessero formalmente il diritto di voto li hanno educati
ad essere dei cittadini. Quel socialismo riformista aveva un profondo
senso dell'appartenenza e della missione umanitaria della sinistra e mai,
mai, avrebbero colpito i più deboli e i più umili nelle
proprie file, quali che fossero la giustificazione o l'opportunità
politica ed elettorale.
Romano Prodi ha preso moltissimi voti in Emilia, li consideri un'indicazione
a seguire la via di Prampolini, e non quella di Cofferati. Altrimenti
vincerà prima le elezioni, ma comincerà a perdere subito
dopo.
Da Liberazione del 20 ottobre 2005
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Il mito del potere
per il potere di Piero Sansonetti |
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Qualche giorno fa, su questo giornale, Giorgio Cremaschi ha spiegato in
modo lucidissimo e convincente il "mistero Cofferati".
In cosa consiste il mistero? Nel fatto che un leader politico, che è
stato il simbolo della lotta per i diritti e contro i poteri, nel giro
di pochi mesi diventa il simbolo della lotta dei poteri contro i diritti.
Come avviene questa giravolta? Cremaschi ci ha spiegato che non c'è
niente di eccezionale: è la normale evoluzione di un male storico
e devastante della sinistra - soprattutto della sinistra novecentesca
- che è il poterismo, ovvero lo stalinismo. Questo male
consiste nella convinzione che il problema principale della politica non
è in quale modo e con quali fini e con quali mezzi e con quali
programmi si governa, ma è, semplicemente, chi governa. Cioè:
dov'è lo scettro. Solo a questo è votata la lotta delle
classi, delle idee, dei principi, delle organizzazioni sociali, o sindacali,
o partitiche: la presa del potere. E la presa del potere, di per se,
è la vittoria: chi dovesse mettere in discussione questa vittoria,
quindi questo potere, quindi questa sinistra, è il nemico, va battuto.
Non è vero? Cofferati non sta dando un esempio lampante di cos'è
lo stalinismo moderno? Tra quelli che negano questa tesi, e difendono
Cofferati, c'è Armando Cossutta. Ora, voi sapete bene che Cossutta
è il padre nobile dello stalinismo italiano, e sicuramente il più
prestigioso dei suoi esponenti (lo dico senza nessunissima ironia). Ma
non è per questo che il suo giudizio benevolo su Cofferati (intervista
di domenica al Corriere della Sera) suona più come conferma che
come smentita del giudizio di Cremaschi. E' per l'argomentazione di fondo
che Cossutta usa nella sua difesa del sindaco di Bologna. All'intervistatore
(Roberto Zuccolini) che gli fa notare come donne e bambini, che sono stati
scacciati da Cofferati dalla bidonville demolita, ora siano in mezzo a
una strada o al Cpt, e come questo non sia bello, Cossutta risponde: "Ho
fiducia nelle capacità del sindaco: ha le spalle grosse, alla fine
riuscirà a sistemare le cose". Che vuol dire? Non conta cosa
fa Cofferati (insegue i lavavetri, sbatte gli studenti fuori dal centro,
manda la polizia contro i giovani e fa bastonare anche il capo di Rifondazione
comunista di Bologna, demolisce le baracche e mette in strada gli sfollati...),
conta solo che è di sinistra e ha "le spalle grosse":
in queste due caratteristiche sta già la soluzione a tutti i problemi.
Non è importante cosa fa il potere, importante è chi
è il potere.
Credo che il caso Bologna sia assai rilevante per tanti motivi. Sia per
le singole questioni che ci pone, sia per il valore simbolico che rappresenta.
Ce lo ha ricordato ieri, sulla Stampa Lucia Annunziata. Cofferati è
una parabola della sinistra che va al governo e vede i problemi non più
dal punto di vista dei governati ma dei governanti. E quindi cambia
la sua politica e la fa diventare realpolitik. La realpolitik è
di destra.
Lucia Annunziata dice che quando la sinistra sarà al governo
dovrà fare come Cofferati.
Tutto giusto, nel ragionamento della Annunziata, tranne la conclusione.
La sinistra deve andare al governo per rovesciare il vecchio "poterismo".
Se no è inutile. Non si va al governo per avere il potere ma
per governare. Non si va al governo per identificarsi nel potere,
ma per criticare il potere, da una posizione di forza, e dal punto di
vista dei governati, cioè delle vittime del potere. Questa
è la sfida che la sinistra lancia all'Unione. E anche questo giornale.
Oggi Liberazione si batte contro il sindaco di Bologna, e gli chiede di
sospendere la sua crociata contro i povericristi, domani si batterà
contro chiunque, nel futuro governo di centro sinistra, cercherà
soluzioni di destra e moderate a problemi che si possono affrontare solo
con la radicalità e l'anticonformismo.
da Liberazione 22 ottobre 2005
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La svolta di Cofferati
di Franco Berardi "Bifo" |
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Colui che i bolognesi votarono credendo che fosse il difensore dei diritti,
si sta distinguendo per una campagna contro i più deboli. Giovedì
ha mandato le ruspe a distruggere le baracche di 300 rumeni. Al sindaco
non importa che siano costretti a lavorare in nero nei cantieri. In un
incontro con i giornalisti ha dichiarato "se si presentano persone
che certificano chi sono cosa fanno e dove lavorano sono pronto ad attivare
le procedure di protezione previste dalla legge ma solo i singoli possono
venire qui a denuciare il loro caporale. Non posso discutere con un avvocato
che dice di rappresentare i lavoratori clandestini". Come se per
un lavoratore clandestino fosse possibile farsi ricevere dal signor sindaco
per essere accompagnato in questura a denunciare il suo caporale. Ma davvero
Bologna deve convivere con un sindaco così? A Bologna naturalmente
votano quasi solo gli "stanziali". Quelli che studiano e fanno
ricerca sono in gran parte fuori sede. Quelli che lavorano sono in misura
crescente migranti, regolari o clandestini (comunque non votanti). I nomadi
non votano, si sa. Gli stanziali votano: quelli che hanno atteso baffone
per quarant'anni, i funzionari del partito di baffone, abitanti di ville
con piscina asserragliati sui colli, commercianti che lamentano il degrado,
e proprietari di casa che affittano qualche metro quadrato per 300 euro
al mese. Perciò Bologna produce innovazione culturale, ma esprime
un potere autoritario. E' la stessa frattura che Bologna conobbe nel `77.
Ma da che parte sta il sindaco che abbiamo votato perché credevamo
che fosse il difensore dei diritti?
Sta dalla parte dei lavoratori costretti alla clandestinità o dalla
parte degli sfruttatori che li fanno lavorare in nero? Dalla parte degli
studenti strozzati dall'affitto, o dei padroni di casa che non pagano
le tasse? Sta dalla parte di quelli che votano, dalla parte della legalità.
Venerdì Cofferati ha dichiarato che entro il 2 novembre si chiuderà
il tormentone legalità. Chi non approva il suo pensiero è
fuori dalla Giunta, come se fossimo ai tempi del Soviet supremo. La sua
fissa è la legalità? Ma Cesare Ottolini, commissario Onu
per il diritto all'abitazione, ha diffidato ufficialmente il sindaco di
Bologna perché la legge internazionale prevede che "le persone
sottoposte a sgombero devono avere un'alternativa dignitosa e concordata",
mentre l'altro giorno donne e bambini sono stati scaraventati fuori dalle
loro baracche, e le ruspe hanno distrutto i quaderni di scuola, e centinaia
di poveracci ora sono costretti a dormire nel fango perché è
arrivato "il cinese" a mostrare cos'è la legalità.
Abbiamo capito tutti che il sindaco di Bologna non sa che cosa sia l'umanità,
ma si ha ragione di sospettare che non sappia neppure bene cosa significa
legalità.
Proprio ieri i lavoratori della Seribo (la società che fornisce
i pasti alle mense delle scuole comunali) hanno dichiarato che scenderanno
in piazza perché la giunta non rispetta gli accordi firmati con
i sindacati. Alda Germani, responsabile della funzione pubblica della
Cgil ha dichiarato: "Abbiamo il mandato dei lavoratori e dalla prossima
settimana partiranno iniziative".
La legalità di Cofferati, che noi cittadini di Bologna abbiamo
votato perché credevamo che fosse l'uomo dei diritti, è
quella delle ruspe e del lavoro nero, degli affitti esosi e del disprezzo
per i lavoratori. Per un anno, tramortita dallo stupore per un voltafaccia
così plateale, l'opinione democratica non è riuscita a reagire,
perfino i movimenti sono rimasti incerti sul che fare. Ma forse qualcosa
comincia a cambiare. Nei giorni scorsi si sono moltiplicate le prese di
posizione di intellettuali e politici contro la disumanità di palazzo
d'Accursio. In un'intervista al giornale locale, Achille Ardigò
ha dichiarato che non voterebbe più per l'uomo a cui in passato
ha fatto da garante.
E' questo il contributo che Bologna intende portare alle prossime elezioni
politiche nazionali?
da Il Manifesto del 22 ottobre 2005
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Non solo Bologna di Gabriele Polo
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Non è una questione locale ciò che sta succedendo a Bologna
attorno a palazzo d'Accursio. E non è un seguito di antiche divisioni
tra due ex sindacalisti lo scontro tra Sergio Cofferati e il partito di
Bertinotti. Certo, specificità locali e storie personali contano,
ma molto di più vale il merito di un dissidio che non è
provocato da tattiche politiche a futuro impatto, bensì da scelte
cruciali che la rappresentanza politica è chiamata a compiere di
fronte agli sconquassi della vita. Ed è per questo che il caso
bolognese parla al futuro del centrosinistra, soprattutto quando sarà
- se sarà - al governo. In particolare a ciò con cui dovrà
fare i conti la sinistra, Rifondazione in primo luogo, essendone la parte
più consistente.
Fino a oggi l'opposizione è tenuta assieme - dai suoi vertici alla
sua base - da un imperativo categorico che gli è imposto: battere
Berlusconi e impedire che il comando della destra continui a inquinare
il paese più di quanto abbia già fatto. Ma "domani"
questo collante potrebbe fortunatamente venir meno e allora arriverà
il momento della chiarezza e delle decisioni. Facendo i conti anche con
il proprio recente - e non limpidissimo - passato.
Il centrosinistra dovrà dire se la legalità debba valere
più della giustizia sociale, se - ad esempio - in nome della sicurezza
e del quieto vivere degli elettori si possano sacrificare i destini di
chi non può votare, come ha fatto Cofferati a Bologna, dimenticandosi
(altro esempio) che durante la sua campagna elettorale aveva promesso
di impegnarsi a fondo per la chiusura del Cpt di quella città.
O dovrà decidere se nel nome di interessi privati la scuola e la
ricerca debbano diventare un affare aperto a preti e industriali. E se
tutte quelle leggi "ad partem" (Biagi, previdenza, sanità,
ecc.) debbano essere abrogate per farne altre che privilegiano gli "utenti"
(lavoratori, pensionati, malati, ecc.), senza dimenticare il nodo della
politica (di guerra) internazionale. L'elenco potrebbe essere lungo. Ma
è su questo crinale che si giocherà il futuro del centrosinistra
e l'esistenza stessa di una sinistra, la sua possibilità di ridare
un'altra chance alla rappresentanza, anche a rischio di dividersi. Altrimenti,
se tracheggeranno sul primato degli equilibri di coalizione finiranno
per implodere e rivitalizzare la destra (magari in versione centrista).
A Bologna come a Roma.
da Il Manifesto del 3-11-05
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Due scenari per 'Italia: svolta autoritaria o gran
rinnovamento di Franco Berardi Bifo
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"L'illegalità, qualunque sia la ragione che la determina,
non può trovare giustificazioni. Politiche fondamentali per il
futuro di Bologna. Come quelle abitative, sono tra le più condizionate
dalle pratiche illegali".
C'era davvero bisogno di fare tutto quel rumore per affermare le banalità
che leggiamo nel documento del Sindaco di Bologna lungamente promesso,
minacciato ed atteso?
Leggendo il documento che oggi è stato presentato si prova prima
di tutto la sensazione che la montagna abbia partorito il topolino. Il
Sindaco deve essersi reso conto del fatto che la corda stava per spezzarsi
e ha buttato giù una paginetta di frasi fatte. Ma in contemporanea
partono 34 denunce per manifestazione non autorizzata e per resistenza
contro i cittadini che il 24 ottobre avevano cercato di esercitare un
loro diritto (partecipare a una riunione del consiglio comunale) e avevano
ottenuto in cambio un po' di randellate.
La politica sicuritaria del sindaco di Bologna ha assunto un carattere
di provocazione sistematica nei confronti della città e particolarmente
nei confronti delle componenti sociali più dinamiche e più
deboli al tempo stesso.
Si dice in giro che Cofferati gode di un consenso maggioritario. Può
darsi che sia vero, se ci si limita a contare gli stanziali, i proprietari
di case, i commercianti, e si escludono i nomadi, cioè gli studenti
i ricercatori, i lavoratori migranti, cioè coloro che producono
e non votano.
Le novità che sono circolate negli ultimi giorni parlano di chiudere
i centri sociali riottosi, di riaprire il centro cittadino alle macchine
anche il sabato, e di togliere le centraline che controllano l'afflusso
dei veicoli non autorizzati. Una provocazione che può mettere in
moto una catena inarrestabile di proteste nei mesi a venire, fino a logorare
completamente non solo il sindaco, ma il progetto di cui si è fatto
portatore.
Non si può governare Bologna se ci si mette contro i nomadi.
La città entrerebbe una fase di tensioni continue. La creatività
ne sarebbe colpita a morte.
In un libro dal titolo "The flight of the creative class", Richard
Florida ha spiegato che la classe creativa (quella che oggi produce innovazione
e valore più di ogni altra) se ne va quando alla tolleranza e alla
diversità culturale si sostituisce il conformismo e la rigidità
nell'applicazione delle norme. A prescindere dagli aspetti politici, questa
campagna per la legalità è soprattutto un segno di arretratezza
culturale, di incomprensione verso le dinamiche che da venti anni favoriscono
l'innovazione, la ricchezza, la mobilità.
Ci sono buoni motivi per credere che a questo sindaco in fondo di Bologna
non gliene importa niente. Quel che gli importa è caratterizzarsi
sulla scena nazionale come portatore di un disegno autoritario che potrebbe
nel futuro divenire attuale, realizzabile. Un disegno concepito contro
le forze sociali dinamiche, contri lavoratori precarizzati, contro i migranti,
contro gli studenti.
Per immaginare le linee generali di questo disegno, dobbiamo pensare a
quel che accadrà in Italia nei mesi che seguiranno la (probabile)
vittoria di Prodi alle prossime elezioni.
E' del tutto prevedibile che ci sarà un'ondata di rivendicazioni
salariali, la richiesta pressante per un miglioramento delle condizioni
dei settori sociali che il centrodestra ha più impoverito. E contemporaneamente
dobbiamo prevedere che nelle casse dello stato non ci saranno soldi da
spendere, e che la pressione internazionale si farà sempre più
pesante.
In una situazione come quella si dovrà scegliere fra una politica
coraggiosa di redistribuzione del reddito (imposizione fiscale sulla rendita
e sul profitto, riappropriazione delle risorse che il governo Berlusconi
ha sottratto alla comunità), o una politica che imponga ancora
una volta sacrifici ai lavoratori, riduzione ulteriore della spesa pubblica.
Non possiamo certo sapere quale delle due ipotesi prevarrà, ma
se ascoltiamo i discorsi che circolano fra i dirigenti della Margherita
o dei Ds non ci vuol molto a immaginare che si punti a riaffermare l'egemonia
liberista in economia, e questo certamente richiederà una repressione
dei movimenti che vorranno un cambiamento reale.
Ecco il contesto in cui dobbiamo forse leggere le posizioni del sindaco
di Bologna: come una sorta di posizionamento in funzione di un quadro
prevedibile.
In questa ipotesi la partita che si sta giocando a Bologna ha un valore
che va ben al di là delle questioni locali. Se il sindaco di Bologna
vince la sua battaglia, imponendo l'ordine tetro degli stanziali contro
l'esistenza illegale dei nomadi, allora diverrà più probabile
che l'evoluzione politica nazionale vada verso una soluzione autoritaria.
I movimenti sociali verranno stroncati con la violenza, Prodi verrà
cucinato a fuoco lento, gli verrà impedito ogni cambiamento effettivo.
Ma non è detto che Cofferati ce la faccia. Fino a pochi mesi fa
Bologna era, o almeno appariva, una città morta. Oggi si sta svegliando.
E questo potrebbe far naufragare il progetto autoritario, e coloro che
vogliono impedire a Prodi di mantenere gli impegni verrebbero spazzati
via. E il caso Bologna potrà funzionare come elemento di rinnovamento
positivo del clima politico nazionale.
da Liberazione 3-11.05
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