24 novembre 2002
La Nota è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special
modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione
della vita pubblica e politica nelle società democratiche.
NOTA DOTTRINALE circa alcune questioni riguardanti l'impegno
e il comportamento dei cattolici nella vita politica
La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito anche il parere del Pontificio
Consiglio per i Laici, ha ritenuto opportuno pubblicare la presente "Nota
dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento
dei cattolici nella vita politica". La Nota è indirizzata ai Vescovi
della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i
fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle
società democratiche.
I. Un insegnamento costante
1. L’impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia si è
espresso seguendo percorsi diversi. Uno è stato attuato nella partecipazione
all’azione politica: i cristiani, affermava uno scrittore ecclesiastico
dei primi secoli, «partecipano alla vita pubblica come cittadini».[1]
La Chiesa venera tra i suoi Santi numerosi uomini e donne che hanno servito
Dio mediante il loro generoso impegno nelle attività politiche e di governo.
Tra di essi, S. Tommaso Moro, proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici,
seppe testimoniare fino al martirio la «dignità inalienabile della
coscienza».[2] Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica,
rifiutò ogni compromesso, e senza abbandonare «la costante fedeltà
all’autorità e alle istituzioni legittime» che lo distinse,
affermò con la sua vita e con la sua morte che «l’uomo non
si può separare da Dio, né la politica dalla morale»[3]
Le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono
resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà,[4]
richiedono nuove e più ampie forme di partecipazione alla vita pubblica
da parte dei cittadini, cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono
contribuire attraverso il voto all’elezione dei legislatori e dei governanti
e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti politici e delle
scelte legislative che a loro avviso giovano maggiormente al bene comune.[5]
La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi proficuamente
senza l’attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti,
«sia pure con diversità e complementarità di forme, livelli,
compiti e responsabilità».[6]
Mediante l’adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla
coscienza cristiana»[7]] in conformità ai valori che con essa sono
congruenti, i fedeli laici svolgono anche il compito loro proprio di animare
cristianamente l’ordine temporale, rispettandone la natura e la legittima
autonomia [8] e cooperando con gli altri cittadini secondo la specifica competenza
e sotto la propria responsabilità.[9]Conseguenza di questo fondamentale
insegnamento del Concilio Vaticano II è che «i fedeli laici non
possono affatto abdicare alla partecipazione alla "politica", ossia
alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa
e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene
comune»,[10] che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l’ordine
pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della
vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc.
La presente Nota non ha la pretesa di riproporre l’intero insegnamento
della Chiesa in materia, riassunto peraltro nelle sue linee essenziali nel Catechismo
della Chiesa Cattolica, ma intende soltanto richiamare alcuni principi propri
della coscienza cristiana che ispirano l’impegno sociale e politico dei
cattolici nelle società democratiche.[11]E ciò perché in
questi ultimi tempi, spesso per l’incalzare degli eventi, sono emersi
orientamenti ambigui e posizioni discutibili, che rendono opportuna la chiarificazione
di aspetti e dimensioni importanti della tematica in questione.
II. Alcuni punti nodali nell’attuale dibattito culturale e politico
2. La società civile si trova oggi all’interno di un complesso
processo culturale che mostra la fine di un’epoca e l’incertezza
per la nuova che emerge all’orizzonte. Le grandi conquiste di cui si è
spettatori provocano a verificare il positivo cammino che l’umanità
ha compiuto nel progresso e nell’acquisizione di condizioni di vita più
umane. La crescita di responsabilità nei confronti di Paesi ancora in
via di sviluppo è certamente un segno di grande rilievo, che mostra la
crescente sensibilità per il bene comune. Insieme a questo, comunque,
non è possibile sottacere i gravi pericoli a cui alcune tendenze culturali
vorrebbero orientare le legislazioni e, di conseguenza, i comportamenti delle
future generazioni.
È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti
segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce
la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale
naturale. A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare
in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo
etico è la condizione per la democrazia.[12]Avviene così che,
da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più
completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare
tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi
dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi
orientamenti culturali o morali transitori,[13]come se tutte le possibili concezioni
della vita avessero uguale valore. Nel contempo, invocando ingannevolmente il
valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi
ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale
e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune
che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti
che l’ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione
di tutti i membri della comunità politica. La storia del XX secolo basta
a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono
del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale,
radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve
sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato.
3. Questa concezione relativista del pluralismo nulla ha a che vedere con la
legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni
politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo
il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune. La libertà
politica non è né può essere fondata sull’idea relativista
che tutte le concezioni sul bene dell’uomo hanno la stessa verità
e lo stesso valore, ma sul fatto che le attività politiche mirano volta
per volta alla realizzazione estremamente concreta del vero bene umano e sociale
in un contesto storico, geografico, economico, tecnologico e culturale ben determinato.
Dalla concretezza della realizzazione e dalla diversità delle circostanze
scaturisce generalmente la pluralità di orientamenti e di soluzioni che
debbono però essere moralmente accettabili. Non è compito della
Chiesa formulare soluzioni concrete — e meno ancora soluzioni uniche —
per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio
di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali
su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla
legge morale.[14] Se il cristiano è tenuto ad «ammettere la legittima
molteplicità e diversità delle opzioni temporali»,[15] egli
è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in
chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale
ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per
la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono
"negoziabili".
Sul piano della militanza politica concreta, occorre notare che il carattere
contingente di alcune scelte in materia sociale, il fatto che spesso siano moralmente
possibili diverse strategie per realizzare o garantire uno stesso valore sostanziale
di fondo, la possibilità di interpretare in maniera diversa alcuni principi
basilari della teoria politica, nonché la complessità tecnica
di buona parte dei problemi politici, spiegano il fatto che generalmente vi
possa essere una pluralità di partiti all’interno dei quali i cattolici
possono scegliere di militare per esercitare — particolarmente attraverso
la rappresentanza parlamentare — il loro diritto-dovere nella costruzione
della vita civile del loro Paese.[16] Questa ovvia constatazione non può
essere confusa però con un indistinto pluralismo nella scelta dei principi
morali e dei valori sostanziali a cui si fa riferimento. La legittima pluralità
di opzioni temporali mantiene integra la matrice da cui proviene l’impegno
dei cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla dottrina
morale e sociale cristiana. È su questo insegnamento che i laici cattolici
sono tenuti a confrontarsi sempre per poter avere certezza che la propria partecipazione
alla vita politica sia segnata da una coerente responsabilità per le
realtà temporali.
La Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una parte,
esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche,
dall’altra si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua
base una retta concezione della persona.[17] Su questo principio l’impegno
dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti
verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità
e coerenza interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica su cui uno
Stato moderno intende costruirsi sarebbe alquanto fragile se non ponesse come
suo fondamento la centralità della persona. È il rispetto della
persona, peraltro, a rendere possibile la partecipazione democratica. Come insegna
il Concilio Vaticano II, la tutela «dei diritti della persona umana è
condizione perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare
attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica».[18]
4. A partire da qui si estende la complessa rete di problematiche attuali che
non hanno avuto confronti con le tematiche dei secoli passati. La conquista
scientifica, infatti, ha permesso di raggiungere obiettivi che scuotono la coscienza
e impongono di trovare soluzioni capaci di rispettare in maniera coerente e
solida i principi etici. Si assiste invece a tentativi legislativi che, incuranti
delle conseguenze che derivano per l’esistenza e l’avvenire dei
popoli nella formazione della cultura e dei comportamenti sociali, intendono
frantumare l’intangibilità della vita umana. I cattolici, in questo
frangente, hanno il diritto e il dovere di intervenire per richiamare al senso
più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono
dinanzi ad essa. Giovanni Paolo II, continuando il costante insegnamento della
Chiesa, ha più volte ribadito che quanti sono impegnati direttamente
nelle rappresentanze legislative hanno il «preciso obbligo di opporsi»
ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi, come per ogni
cattolico, vige l’impossibilità di partecipare a campagne di opinione
in favore di simili leggi né ad alcuno è consentito dare ad esse
il suo appoggio con il proprio voto.[19] Ciò non impedisce, come ha insegnato
Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Evangelium vitae a proposito del caso
in cui non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista
già in vigore o messa al voto, che «un parlamentare, la cui personale
assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe
lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni
di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura
e della moralità pubblica».[20]
In questo contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana
ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione
di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali
della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative
o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un’unità
inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti
a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno politico
per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente
ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico
può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal
vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo
e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta.
Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che
non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno
dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi
a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti
devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale,
che riguarda il bene integrale della persona. E’ questo il caso delle
leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la
rinuncia all’accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente,
legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal
suo concepimento fino al suo termine naturale. Allo stesso modo occorre ribadire
il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano. Analogamente,
devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata
sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua
unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio:
ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme
di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento
legale. Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori
per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l’altro
nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si
deve pensare alla tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime
dalle moderne forme di schiavitù (si pensi ad esempio, alla droga e allo
sfruttamento della prostituzione). Non può essere esente da questo elenco
il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un’economia
che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia
sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà,
secondo il quale «i diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi,
e il loro esercizio devono essere riconosciuti».[21] Come non vedere,
infine, in questa esemplificazione il grande tema della pace. Una visione irenica
e ideologica tende, a volte, a secolarizzare il valore della pace mentre, in
altri casi, si cede a un sommario giudizio etico dimenticando la complessità
delle ragioni in questione. La pace è sempre «frutto della giustizia
ed effetto della carità»;[22] esige il rifiuto radicale e assoluto
della violenza e del terrorismo e richiede un impegno costante e vigile da parte
di chi ha la responsabilità politica.
III. Principi della dottrina cattolica su laicità e pluralismo
5. Di fronte a queste problematiche, se è lecito pensare all’utilizzo
di una pluralità di metodologie, che rispecchiano sensibilità
e culture differenti, nessun fedele tuttavia può appellarsi al principio
del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni
che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali
per il bene comune della società. Non si tratta di per sé di «valori
confessionali», poiché tali esigenze etiche sono radicate nell’essere
umano e appartengono alla legge morale naturale. Esse non esigono in chi le
difende la professione di fede cristiana, anche se la dottrina della Chiesa
le conferma e le tutela sempre e dovunque come servizio disinteressato alla
verità sull’uomo e al bene comune delle società civili.
D’altronde, non si può negare che la politica debba anche riferirsi
a principi che sono dotati di valore assoluto proprio perché sono al
servizio della dignità della persona e del vero progresso umano.
6. Il richiamo che spesso viene fatto in riferimento alla "laicità"
che dovrebbe guidare l’impegno dei cattolici, richiede una chiarificazione
non solo terminologica. La promozione secondo coscienza del bene comune della
società politica nulla ha a che vedere con il "confessionalismo"
o l’intolleranza religiosa. Per la dottrina morale cattolica la laicità
intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica
- ma non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla
Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto.[24]
Giovanni Paolo II ha più volte messo in guardia contro i pericoli derivanti
da qualsiasi confusione tra la sfera religiosa e la sfera politica. «Assai
delicate sono le situazioni in cui una norma specificamente religiosa diventa,
o tende a diventare, legge dello Stato, senza che si tenga in debito conto la
distinzione tra le competenze della religione e quelle della società
politica. Identificare la legge religiosa con quella civile può effettivamente
soffocare la libertà religiosa e, persino, limitare o negare altri inalienabili
diritti umani».[24] Tutti i fedeli sono ben consapevoli che gli atti specificamente
religiosi (professione della fede, adempimento degli atti di culto e dei Sacramenti,
dottrine teologiche, comunicazioni reciproche tra le autorità religiose
e i fedeli, ecc.) restano fuori dalle competenze dello Stato, il quale né
deve intromettersi né può in modo alcuno esigerli o impedirli,
salve esigenze fondate di ordine pubblico. Il riconoscimento dei diritti civili
e politici e l’erogazione dei pubblici servizi non possono restare condizionati
a convinzioni o prestazioni di natura religiosa da parte dei cittadini.
Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici,
come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità
e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti
la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli
altri diritti della persona. Il fatto che alcune di queste verità siano
anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la
"laicità" dell’impegno di coloro che in esse si riconoscono,
indipendentemente dal ruolo che la ricerca razionale e la conferma procedente
dalla fede abbiano svolto nel loro riconoscimento da parte di ogni singolo cittadino.
La "laicità", infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento
di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale
sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano
nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità
è una. Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici
in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde
dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa.
Con il suo intervento in questo ambito, il Magistero della Chiesa non vuole
esercitare un potere politico né eliminare la libertà d’opinione
dei cattolici su questioni contingenti. Esso intende invece — come è
suo proprio compito — istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto
di quanti si dedicano all’impegno nella vita politica, perché il
loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e
del bene comune. L’insegnamento sociale della Chiesa non è un’intromissione
nel governo dei singoli Paesi. Pone certamente un dovere morale di coerenza
per i fedeli laici, interiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria.
«Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte,
la vita cosiddetta "spirituale", con i suoi valori e con le sue esigenze;
e dall’altra, la vita cosiddetta "secolare", ossia la vita di
famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della
cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti
in ogni settore dell’attività e dell’esistenza. Infatti,
tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole
come "luogo storico" del rivelarsi e del realizzarsi dell’amore
di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività,
ogni situazione, ogni impegno concreto — come, ad esempio, la competenza
e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia
e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta
della verità nell’ambito della cultura — sono occasioni provvidenziali
per un "continuo esercizio della fede, della speranza e della carità"».[25]
Vivere ed agire politicamente in conformità alla propria coscienza non
è un succube adagiarsi su posizioni estranee all’impegno politico
o su una forma di confessionalismo, ma l’espressione con cui i cristiani
offrono il loro coerente apporto perché attraverso la politica si instauri
un ordinamento sociale più giusto e coerente con la dignità della
persona umana.
Nelle società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate
liberamente. Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero
vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza
un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità
di agire in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene
comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo. In questa prospettiva,
infatti, si vuole negare non solo ogni rilevanza politica e culturale della
fede cristiana, ma perfino la stessa possibilità di un’etica naturale.
Se così fosse, si aprirebbe la strada ad un’anarchia morale che
non potrebbe mai identificarsi con nessuna forma di legittimo pluralismo. La
sopraffazione del più forte sul debole sarebbe la conseguenza ovvia di
questa impostazione. La marginalizzazione del Cristianesimo, d’altronde,
non potrebbe giovare al futuro progettuale di una società e alla concordia
tra i popoli, ed anzi insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e culturali
della civiltà.[26]
IV. Considerazioni su aspetti particolari
7. È avvenuto in recenti circostanze che anche all’interno di alcune
associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti
a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali
hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della
Chiesa. Tali scelte e condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari
della coscienza cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza ad
associazioni o organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente, è
da rilevare che alcune Riviste e Periodici cattolici in certi Paesi hanno orientato
i lettori in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente,
equivocando sul senso dell’autonomia dei cattolici in politica e senza
tenere in considerazione i principi a cui si è fatto riferimento.
La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso «la via, la verità
e la vita» (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con
maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga
il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità
di presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità
spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un’urgenza
non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale
dei cattolici. Del resto lo spessore culturale raggiunto e la matura esperienza
di impegno politico che i cattolici in diversi paesi hanno saputo sviluppare,
specialmente nei decenni posteriori alla seconda guerra mondiale, non possono
porli in alcun complesso di inferiorità nei confronti di altre proposte
che la storia recente ha mostrato deboli o radicalmente fallimentari. È
insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici
possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché
se alla base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare
e progettare le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni
poggeranno sempre su fragili fondamenta.
La fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici,
consapevole che la dimensione storica in cui l’uomo vive impone di verificare
la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli. Sotto
questo aspetto sono da respingere quelle posizioni politiche e quei comportamenti
che si ispirano a una visione utopistica la quale, capovolgendo la tradizione
della fede biblica in una specie di profetismo senza Dio, strumentalizza il
messaggio religioso, indirizzando la coscienza verso una speranza solo terrena
che annulla o ridimensiona la tensione cristiana verso la vita eterna.
Nello stesso tempo, la Chiesa insegna che non esiste autentica libertà
senza la verità. «Verità e libertà o si coniugano
insieme o insieme miseramente periscono», ha scritto Giovanni Paolo II.[27]
In una società dove la verità non viene prospettata e non si cerca
di raggiungerla, viene debilitata anche ogni forma di esercizio autentico di
libertà, aprendo la via ad un libertinismo e individualismo, dannosi
alla tutela del bene della persona e della società intera.
8. A questo proposito è bene ricordare una verità che non sempre
oggi viene percepita o formulata esattamente nell’opinione pubblica corrente:
il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà
religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano
II, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun
modo su di una inesistente uguaglianza tra le religioni e tra i sistemi culturali
umani.[28] In questa linea il Papa Paolo VI ha affermato che «il Concilio,
in nessun modo, fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto
che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, avrebbero un valore
più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona
umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono
ad opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e nell’adesione
ad essa».[29] L’affermazione della libertà di coscienza e
della libertà religiosa non contraddice quindi affatto la condanna dell’indifferentismo
e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica,[30] anzi con
essa è pienamente coerente.
V. Conclusione
9. Gli orientamenti contenuti nella presenta Nota intendono illuminare uno dei
più importanti aspetti dell’unità di vita del cristiano:
la coerenza tra fede e vita, tra vangelo e cultura, richiamata dal Concilio
Vaticano II. Esso esorta i fedeli a «compiere fedelmente i propri doveri
terreni, facendosi guidare dallo spirito del vangelo. Sbagliano coloro che,
sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella
futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non
riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli,
secondo la vocazione di ciascuno». Siano desiderosi i fedeli «di
poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi
umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale
insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato
a gloria di Dio».[31]
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nell’Udienza del 21 novembre 2002
ha approvato la presente Nota, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione,
e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 novembre
2002, Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell’Universo.
X JOSEPH CARD. RATZINGER?Prefetto
X TARCISIO BERTONE, S.D.B.?Arcivescovo emerito di Vercelli?Segretario
[1] LETTERA A DIOGNETO, 5, 5. Cfr. anche Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 2240.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Motu Proprio data per la proclamazione di San Tommaso Moro Patrono dei Governanti e dei Politici, n. 1, AAS 93 (2001) 76-80.
[3] Ibid, n. 4.
[4] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 31; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1915.
[5] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75.
[6] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42, AAS 81 (1989) 393-521. Questa nota dottrinale si riferisce ovviamente all’impegno politico dei fedeli laici. I Pastori hanno il diritto e il dovere di proporre i principi morali anche sull’ordine sociale; "tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici è riservata ai laici" (GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 60). Cfr. anche CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 31-III-1994, n. 33.
[7] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.
[8] Cfr. ibid, n. 36.
[9] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 7; Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 36 e Cost. Past. Gaudium et spes, nn. 31 e 43.
[10] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42.
[11] Negli ultimi due secoli, più volte il Magistero pontificio si è occupato delle principali questioni riguardanti l’ordine sociale e politico. Cfr. LEONE XIII, Lett. Enc. Diuturnum illud, ASS 14 (1881/82) 4ss; Lett. Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885/86) 162ss; Lett. Enc. Libertas praestantissimum, ASS 20 (1887/88) 593ss; Lett. Enc. Rerum novarum, ASS 23 (1890/91) 643ss; BENEDETTO XV, Lett. Enc. Pacem Dei munus pulcherrimum, AAS 12 (1920) 209ss; PIO XI, Lett. Enc. Quadragesimo anno, AAS 23 (1931) 190ss; Lett. Enc. Mit brennender Sorge, AAS 29 (1937) 145-167; Lett. Enc. Divini Redemptoris, AAS 29 (1937) 78ss; PIO XII, Lett. Enc. Summi Pontificatus, AAS 31 (1939) 423ss; Radiomessaggi natalizi 1941-1944; GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et magistra, AAS 53 (1961) 401-464; Lett. Enc. Pacem in terris AAS 55 (1963) 257-304; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum progressio, AAS 59 (1967) 257-299; Lett. Apost. Octogesima adveniens, AAS 63 (1971) 401-441.
[12] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Centesimus annus, n. 46, AAS 83 (1991) 793-867; Lett. Enc. Veritatis splendor, n. 101, AAS 85 (1993) 1133-1228; Discorso al Parlamento Italiano in seduta pubblica comune, n. 5, in: L’Osservatore Romano, 15-XI-2002.
[13] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium vitae, n. 22, AAS 87 (1995) 401-522.
[14] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.
[15] Ibid, n. 75.
[16] Cfr. ibid, nn. 43 e 75.
[17] Cfr. ibid, n. 25.
[18] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 73.
[19]Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium vitae, n. 73.
[20] Ibid.
[21] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75.
[22] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2304.
[23] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76.
[24] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1991: "Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo", IV, AAS 83 (1991) 410-421.
[25] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59. La citazione interna è del Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam actuositatem, n. 4.
[26] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in: L’Osservatore Romano, 11/I/2002.
[27]GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 90, AAS 91 (1999) 5-88.
[28]Cfr. CONCILIO VATICANO II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1: "Il Sacro Concilio anzitutto professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via, attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo divenire salvi e beati. Crediamo che questa unica vera religione sussista nella Chiesa cattolica". Ciò non toglie che la Chiesa consideri con sincero rispetto le varie tradizioni religiose, anzi riconosce presenti in esse "elementi di verità e di bontà". Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 16; Decr. Ad gentes, n. 11; Dich. Nostra aetate, n. 2; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 55, AAS 83 (1991) 249-340; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, nn. 2; 8; 21, AAS 92 (2000) 742-765.
[29] PAOLO VI, Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana, in: "Insegnamenti di Paolo VI" 14 (1976), 1088-1089.
[30] Cfr. PIO IX, Lett. Enc. Quanta cura, ASS 3 (1867) 162; LEONE XIII, Lett. Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885) 170-171; PIO XI, Lett. Enc. Quas primas, AAS 17 (1925) 604-605; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2108; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 22.
[31]CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 43.
Cfr. anche GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59.