LETTERA ENCICLICA
DOMINUM ET VIVIFICANTEM
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
SULLO SPIRITO SANTO
NELLA VITA DELLA CHIESA E DEL MONDO
Venerati Fratelli, carissimi Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione!
INTRODUZIONE
1. La Chiesa professa la sua fede nello Spirito Santo come in colui "che
è Signore e dà la vita". Così essa professa nel Simbolo
di Fede, detto niceno-costantinopolitano dal nome dei due Concili--di Nicea
(a. 325) e di Costantinopoli (a. 381)--, nei quali fu formulato o promulgato.
Ivi si aggiunge anche che lo Spirito Santo "ha parlato per mezzo dei profeti".
Sono parole che la Chiesa riceve dalla fonte stessa della sua fede, Gesù
Cristo. Difatti, secondo il Vangelo di Giovanni, lo Spirito Santo è donato
a noi con la nuova vita, come annuncia e promette Gesù il grande giorno
della festa dei Tabernacoli: "Chi ha sete venga a me, e beva chi crede
in me. Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno".E
l'evangelista spiega: "Questo egli disse riferendosi allo Spirito, che
avrebbero ricevuto i credenti in lui". È la stessa similitudine
dell'acqua usata da Gesù nel colloquio con la Samaritana, quando parla
della "sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" e nel colloquio
con Nicodemo, quando annuncia la necessità di una nuova nascita "dall'acqua
e dallo Spirito" per "entrare nel Regno di Dio". La Chiesa, pertanto,
istruita dalla parola di Cristo, attingendo all'esperienza della Pentecoste
ed alla propria storia apostolica, proclama sin dall'inizio la sua fede nello
Spirito Santo come in colui che dà la vita, colui nel quale l'imperscrutabile
Dio uno e trino si comunica agli uomini costituendo in essi la sorgente della
vita eterna.
2. Questa fede, professata ininterrottamente dalla Chiesa, deve essere sempre
ravvivata ed approfondita nella coscienza del Popolo di Dio. Nell'ultimo secolo
ciò è avvenuto più volte: da Leone XIII, che pubblicò
l'Epistola Enciclica Divinum illud munus (a. 1897), interamente dedicata allo
Spirito Santo, a Pio XII, che nella Lettera Enciclica Mystici Corporis (a. 1943)
si richiamò allo Spirito Santo come a principio vitale della Chiesa,
nella quale opera unitamente al capo del Corpo Mistico, Cristo; al Concilio
Ecumenico Vaticano II, che ha fatto sentire il bisogno di una rinnovata attenzione
alla dottrina sullo Spirito Santo, come sottolineava Paolo VI "Alla cristologia
e specialmente all'ecclesiologia del Concilio deve succedere uno studio nuovo
ed un culto nuovo sullo Spirito Santo, proprio come complemento immancabile
all'insegnamento conciliare". Nella nostra epoca, dunque, siamo nuovamente
chiamati dalla sempre antica e sempre nuova fede della Chiesa ad avvicinarci
allo Spirito Santo come a colui che dà la vita. Ci viene qui in aiuto
e ci è di sprone anche la comune eredità con le Chiese orientali
le quali hanno gelosamente custodito le straordinarie ricchezze dell'insegnamento
dei Padri intorno allo Spirito Santo. Anche per questo possiamo dire che uno
dei più importanti eventi ecclesiali degli ultimi anni è stato
il XVI centenario del I Concilio di Costantinopoli, celebrato contemporaneamente
a Costantinopoli ed a Roma nella solennità della Pentecoste del 1981.
Lo Spirito Santo è meglio apparso allora, grazie alla meditazione sul
mistero della Chiesa, come colui che indica le vie che portano all'unione dei
cristiani, anzi come la fonte suprema di questa unità, che proviene da
Dio stesso ed alla quale san Paolo ha dato un'espressione particolare con le
parole con cui non di rado inizia la liturgia eucaristica: "La grazia del
Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello
Spirito Santo sia con tutti voi". Da questa esortazione hanno preso, in
un certo senso avvio e ispirazione le precedenti Encicliche Redemptor homonis
e Dives in misericordia, le quali celebrano l'evento della nostra salvezza compiutosi
nel Figlio, mandato dal Padre nel mondo, "perché il mondo si salvi
per mezzo di lui" e "ogni lingua confessi che Gesù Cristo è
il Signore a gloria di Dio Padre". Da questa stessa esortazione nasce ora
la presente Enciclica sullo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio
e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato: Persona divina, egli
è al cuore stesso della fede cristiana ed è la sorgente e la forza
dinamica del rinnovamento della Chiesa. Essa è stata attinta dal profondo
dell'eredità del Concilio. I testi conciliari, infatti, grazie al loro
insegnamento sulla Chiesa in sé e sulla Chiesa nel mondo, ci stimolano
a penetrare sempre più nel mistero trinitario di Dio stesso, seguendo
l'itinerario evangelico, patristico e liturgico: al Padre--per Cristo--nello
Spirito Santo. In tal modo la Chiesa risponde anche a certe istanze profonde,
che ritiene di leggere nel cuore degli uomini d'oggi: una nuova scoperta di
Dio nella sua trascendente realtà di Spirito infinito, come lo presenta
Gesù alla Samaritana; il bisogno di adorarlo "in spirito e verità"
la speranza di trovare in lui il segreto dell'amore e la forza di una "nuova
creazione" sì, proprio colui che dà la vita. Ad una tale
missione di annunciare lo Spirito la Chiesa si sente chiamata, mentre insieme
con la famiglia umana si avvicina al termine del secondo Millennio dopo Cristo.
Sullo sfondo di un cielo e di una terra che "passano", essa sa bene
che acquistano una particolare eloquenza le "parole che non passeranno".
Sono le parole di Cristo sullo Spirito Santo, sorgente inesauribile dell'"acqua
che zampilla per la vita eterna", quale verità e grazia salvatrice.
Su queste parole essa vuol riflettere, a queste parole vuol richiamare i credenti
e tutti gli uomini, mentre si prepara a celebrare --come si dirà più
avanti-- il grande Giubileo che segnerà il passaggio dal secondo al terzo
Millennio cristiano. Naturalmente, le considerazioni che seguono non intendono
esplorare compiutamente la ricchissima dottrina sullo Spirito Santo, né
privilegiare una qualche soluzione di questioni ancora aperte. Esse hanno lo
scopo precipuo di sviluppare nella Chiesa la coscienza che "è spinta
dallo Spirito Santo a cooperare, perché sia portato a compimento il disegno
di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero".
PARTE I
LO SPIRITO DEL PADRE E DEL FIGLIO, DATO ALLA CHIESA
1. Promessa e rivelazione di Gesù turante
la Cena pasquale
3. Quando era ormai imminente per Gesù Cristo il tempo di lasciare questo
mondo, egli annunciò agli apostoli "un altro consolatore".
L'evangelista Giovanni, che era presente, scrive che, durante la Cena pasquale
precedente il giorno della sua passione e morte, Gesù si rivolse a loro
con queste parole: "Qualunque cosa chiederete nel nome mio, io la farò,
perché il Padre sia glorificato nel Figlio... Io pregherò il Padre,
ed egli vi darà un altro consolatore, perché rimanga con voi sempre,
lo Spirito di verità". Proprio questo Spirito di verità,
Gesù chiama Paraclito--e parákletos vuol dire "consolatore",
e anche "intercessore", o "avvocato". E dice che è
"un altro" consolatore, il secondo, perché egli stesso, Gesù,
è il primo consolatore, essendo il primo portatore e donatore della Buona
Novella. Lo Spirito Santo viene dopo di lui e grazie a lui, per continuare nel
mondo, mediante la Chiesa, l'opera della Buona Novella di salvezza. Di questa
continuazione della sua opera da parte dello Spirito Santo Gesù parla
più di una volta durante lo stesso discorso di addio, preparando gli
apostoli, riuniti nel Cenacolo, alla sua dipartita, cioè alla sua passione
e morte in Croce. Le parole, alle quali faremo qui riferimento, si trovano nel
Vangelo di Giovanni, Ognuna di esse aggiunge un certo contenuto nuovo a quell'annuncio
e a quella promessa. Al tempo stesso, esse sono intrecciate intimamente tra
di loro non solo dalla prospettiva dei medesimi eventi, ma anche dalla prospettiva
del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che forse in nessun
passo della Sacra Scrittura trova un'espressione così rilevata come qui.
4. Poco dopo l'annuncio surriferito Gesù aggiunge: "Ma il consolatore,
lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà
ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto". Lo Spirito
Santo sarà il consolatore degli apostoli e della Chiesa, sempre presente
in mezzo a loro --anche se invisibile-- come maestro della medesima Buona Novella
che Cristo annunciò. Quell'"insegnerà" e "ricorderà"
significa non solo che egli, nel modo a lui proprio, continuerà ad ispirare
la divulgazione del Vangelo di salvezza, ma anche che aiuterà a comprendere
il giusto significato del contenuto del messaggio di Cristo; che ne assicurerà
la continuità ed identità di comprensione in mezzo alle mutevoli
condizioni e circostanze. Lo Spirito Santo, dunque, farà sì che
nella Chiesa perduri sempre la stessa verità, che gli apostoli hanno
udito dal loro Maestro.
5. Nel trasmettere la Buona Novella, gli apostoli saranno associati in modo
speciale allo Spirito Santo. Ecco come continua a parlare Gesù: "Quando
verrà il consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito
di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza;
e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin
dal principio". Gli apostoli sono stati i testimoni diretti, oculari. Essi
"hanno udito" e "hanno veduto con i propri occhi", "hanno
guardato" e perfino "toccato con le proprie mani" Cristo, come
si esprime in un altro passo lo stesso evangelista Giovanni. Questa loro umana,
oculare e "storica" testimonianza su Cristo si collega alla testimonianza
dello Spirito Santo: "Egli mi renderà testimonianza". Nella
testimonianza dello Spirito di verità l'umana testimonianza degli apostoli
troverà il supremo sostegno. E in seguito vi troverà anche l'interiore
fondamento della sua continuazione tra le generazioni dei discepoli e dei confessori
di Cristo, che si susseguiranno nei secoli. Se la suprema e più completa
rivelazione di Dio all'umanità è Gesù Cristo stesso, la
testimonianza dello Spirito ne ispira, garantisce e convalida la fedele trasmissione
nella predicazione e negli scritti apostolici, mentre la testimonianza degli
apostoli ne assicura l'espressione umana nella Chiesa e nella storia dell'umanità.
6. Ciò si rileva anche dalla stretta correlazione di contenuto e di intenzione
con l'annuncio e la promessa appena menzionata, che si trova nelle parole successive
del testo di Giovanni: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento
non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito
di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera; perché
non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà
udito e vi annuncerà le cose future". Nelle precedenti parole Gesù
presenta il consolatore, lo Spirito di verità, come colui che "insegnerà"
e "ricorderà", come colui che gli arenderà testimonianza";
ora dice: "Egli vi guiderà alla verità tutta intera".
Questo "guidare alla verità tutta intera", in riferimento a
ciò di cui gli apostoli "per il momento non sono capaci di portare
il peso", è in necessario collegamento con lo spogliamento di Cristo
per mezzo della passione e morte di Croce, che allora, quando pronunciava queste
parole, era ormai imminente. In seguito, tuttavia, diventa chiaro che quel "guidare
alla verità tutta intera" si ricollega, oltre che allo scandalum
Crucis, anche a tutto ciò che Cristo "fece ed insegnò".
Infatti, il mysterium Christi nella sua globalità esige la fede, poiché
è questa che introduce opportunamente l'uomo nella realtà del
mistero rivelato. Il "guidare alla verità tutta intera" si
realizza, dunque, nella fede e mediante la fede: il che è opera dello
Spirito di verità ed è frutto della sua azione nell'uomo. Lo Spirito
Santo deve essere in questo la suprema guida dell'uomo, la luce dello spirito
umano. Ciò vale per gli apostoli, testimoni oculari, che devono ormai
portare a tutti gli uomini l'annuncio di ciò che Cristo "fece ed
insegnò" e, specialmente, della sua Croce e della sua Risurrezione.
In una prospettiva più lontana ciò vale anche per tutte le generazioni
dei discepoli e dei confessori del Maestro, poiché dovranno accettare
con fede e confessare con franchezza il mistero di Dio operante nella storia
dell'uomo, il mistero rivelato che di tale storia spiega il senso definitivo.
7. Tra lo Spirito Santo e Cristo sussiste, dunque, nell'economia della salvezza,
un intimo legame, per il quale lo Spirito opera nella storia dell'uomo come
"un altro consolatore", assicurando in maniera duratura la trasmissione
e l'irradiazione della Buona Novella, rivelata da Gesù di Nazareth. Perciò,
nello Spirito Santo Paraclito, che nel mistero e nell'azione della Chiesa continua
incessantemente la presenza storica del Redentore sulla terra e la sua opera
salvifica, risplende la gloria di Cristo, come attestano le successive parole
di Giovanni: "Egli (cioè lo Spirito) mi glorificherà, perché
prenderà del mio e ve l'annuncerà". Con queste parole viene
ancora una volta confermato tutto ciò che dicevano gli enunciati precedenti:
"Insegnerà..., ricorderà..., renderà testimonianza".
La suprema e completa autorivelazione di Dio, compiutasi in Cristo, testimoniata
dalla predicazione degli apostoli, continua a manifestarsi nella Chiesa mediante
la missione dell'invisibile consolatore, lo Spirito di verità. Quanto
intimamente questa missione sia collegata con la missione di Cristo, quanto
pienamente essa attinga a questa missione di Cristo, consolidando e sviluppando
nella storia i suoi frutti salvifici, è espresso dal verbo "prendere":
"Prenderà del mio e ve l'annuncerà". Quasi a spiegare
la parola "prenderà", mettendo in chiara evidenza l'unità
divina e trinitaria della fonte, Gesù aggiunge: " Tutto quello che
il Padre possiede è mio; per questo, ho detto che prenderà del
mio e ve l'annuncerà". Prendendo del "mio", per ciò
stesso egli attingerà a "quello che è del Padre". Alla
luce di quel "prenderà", dunque, si possono spiegare ancora
le altre parole sullo Spirito Santo, pronunciate da Gesù nel Cenacolo
prima della Pasqua, parole significative: "È bene per voi che io
me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore;
ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà
venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e
al giudizio". Occorrerà ritornare ancora su queste parole con una
riflessione a parte.
2. Padre, Figlio e Spirito Santo
8. Caratteristica del testo giovanneo è che il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo vengono nominati chiaramente come Persone, la prima distinta dalla
seconda e dalla terza, e anche queste tra di loro. Gesù parla dello Spirito
consolatore, usando più volte il pronome personale "egli" e,
al tempo stesso, in tutto il discorso di addio, svela quei legami che uniscono
reciprocamente il Padre, il Figlio e il Paraclito. Pertanto, "lo Spirito...
procede dal Padre" e il Padre "dà" lo Spirito. Il Padre
"manda" lo Spirito nel nome del Figlio, lo Spirito "rende testimonianza"
al Figlio. Il Figlio chiede al Padre di mandare lo Spirito consolatore, ma afferma
e promette, altresì, in relazione alla sua "dipartita" mediante
la Croce: "Quando me ne sarò andato, ve lo manderò".
Dunque il Padre manda lo Spirito Santo nella potenza della sua paternità,
come ha mandato il Figlio. ma, al tempo stesso, lo manda nella potenza della
redenzione compiuta da Cristo--e in questo senso lo Spirito Santo viene mandato
anche dal Figlio: "Ve lo manderò". Bisogna qui notare che,
se tutte le altre promesse fatte nel Cenacolo annunciavano la venuta dello Spirito
Santo dopo la partenza di Cristo, quella contenuta nel testo di Giovanni 16,
7 s. include e sottolinea chiaramente anche il rapporto di interdipendenza,
che si direbbe causale tra la manifestazione dell'uno e dell'altro: "Quando
me ne sarò andato, ve lo manderò". Lo Spirito Santo verrà,
in quanto Cristo se ne andrà mediante la Croce: verrà non solo
in seguito, ma a causa della redenzione compiuta da Cristo, per volontà
ed opera del Padre.
9. Così nel discorso pasquale di addio si tocca --possiamo dire-- l'apice
della rivelazione trinitaria. Al tempo stesso, ci troviamo sulla soglia di eventi
definitivi e di parole supreme, che alla fine si tradurranno nel grande mandato
missionario, rivolto agli apostoli e, per loro mezzo, alla Chiesa: "Andate,
dunque, e ammaestrate tutte le nazioni", mandato che contiene, in certo
senso, la formula trinitaria del battesimo: "Battezzandole nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". La formula rispecchia l'intimo
mistero di Dio, della vita divina che è il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo, divina unità della Trinità. Si può leggere il discorso
di addio come una speciale preparazione a questa formula trinitaria, nella quale
si esprime la potenza vivificante del Sacramento, che opera la partecipazione
alla vita di Dio uno e trino, perché dà la grazia santificante
come dono soprannaturale all'uomo. Per mezzo di essa questi viene chiamato e
reso "capace" di partecipare all'imperscrutabile vita di Dio.
10. Nella sua vita intima Dio "è amore", amore essenziale,
comune alle tre divine Persone: amore personale è lo Spirito Santo, come
Spirito del Padre e del Figlio. Per questo, egli "scruta le profondità
di Dio", come amore-dono increato. Si può dire che nello Spirito
Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco
amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio "esiste"
a modo di dono. È lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale
donarsi, di questo essere-amore. È Persona-amore. È Persona-dono.
Abbiamo qui una ricchezza insondabile della realtà e un approfondimento
ineffabile del concetto di persona in Dio, che solo la Rivelazione ci fa conoscere.
Al tempo stesso, lo Spirito Santo, in quanto consostanziale al Padre e al Figlio
nella divinità, è amore e dono (increato), da cui deriva come
da fonte (fons vivus) ogni elargizione nei riguardi delle creature (dono creato):
la donazione dell'esistenza a tutte le cose mediante la creazione. la donazione
della grazia agli uomini mediante l'intera economia della salvezza. Come scrive
l'apostolo Paolo: "L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato".
3. Il donarsi salvifico di Dio nello Spirito Santo
11. Il discorso di addio di Cristo durante la Cena pasquale è in particolare
riferimento a questo "donare" e "donarsi" dello Spirito
Santo. Nel Vangelo di Giovanni si svela quasi la "logica" più
profonda del mistero salvifico contenuto nell'eterno disegno di Dio, come espansione
dell'ineffabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È
la "logica" divina, che dal mistero della Trinità porta al
mistero della redenzione del mondo in Gesù Cristo. La redenzione compiuta
dal Figlio nelle dimensioni della storia terrena dell'uomo --compiuta nella
sua "dipartita" per mezzo della Croce e della Risurrezione-- viene,
al tempo stesso, nella sua intera potenza salvifica, trasmessa allo Spirito
Santo colui che "prenderà del mio". Le parole del testo giovanneo
indicano che, secondo il disegno divino, la "dipartita" di Cristo
è condizione indispensabile dell'"invio" e della venuta dello
Spirito Santo, ma dicono anche che allora comincia la nuova comunicazione salvifica
di Dio nello Spirito Santo.
12. È un nuovo inizio in rapporto al primo, originario inizio del donarsi
salvifico di Dio, che si identifica con lo stesso mistero della creazione. Ecco
che cosa leggiamo già nelle prime parole del Libro della Genesi: "In
principio Dio creò il cielo e la terra..., e lo spirito di Dio (ruah
Elohim) aleggiava sulle acque". Questo concetto biblico di creazione comporta
non solo la chiamata all'esistenza dell'essere stesso del cosmo, cioè
il donare l'esistenza, ma anche la presenza dello Spirito di Dio nella creazione,
cioè l'inizio del comunicarsi salvifico di Dio alle cose che crea. Il
che vale prima di tutto per l'uomo il quale è stato creato ad immagine
e somiglianza di Dio: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza".
"Facciamo": si può ritenere che il plurale, che il Creatore
qui usa parlando di sé, suggerisca già in qualche modo il mistero
trinitario, la presenza della Trinità nell'opera della creazione dell'uomo?
Il lettore cristiano che conosce già la rivelazione di questo mistero,
può scoprirne il riflesso anche in quelle parole. In ogni caso, il contesto
del Libro della Genesi ci permette di vedere nella creazione dell'uomo il primo
inizio del donarsi salvifico di Dio a misura dell'"immagine e somiglianza"
di sé, da Lui concessa all'uomo.
13. Sembra, dunque che anche le parole pronunciate da Gesù nel discorso
di addio debbano essere rilette in riferimento a quell'"inizio" così
lontano, ma fondamentale, che conosciamo dalla Genesi "Se non me ne vado
non verrà a voi il consolatore; ma, quando me ne sarò andato,
ve lo manderò". Descrivendo la sua "dipartita" come condizione
della "venuta" del consolatore, Cristo collega il nuovo inizio della
comunicazione salvifica di Dio nello Spirito Santo al mistero della redenzione.
Questo è un nuovo inizio, prima di tutto perché tra il primo inizio
e tutta la storia dell'uomo--cominciando dalla caduta originale--si è
frapposto il peccato, che è contraddizione alla presenza dello Spirito
di Dio nella creazione ed è, soprattutto, contraddizione alla comunicazione
salifica di Dio all'uomo. Scrive san Paolo che, proprio a causa del peccato,
"la creazione... è stata sottomessa alla caducità..., geme
e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" e "attende con impazienza
la rivelazione dei figli di Dio".
14. Perciò, Gesù Cristo dice nel Cenacolo: "È bene
per voi che io me ne vada". "Quando me ne sarò andato, ve lo
manderò". La "dipartita" di Cristo mediante la Croce ha
la potenza della redenzione--e ciò significa anche una nuova presenza
dello Spirito di Dio nella creazione: il nuovo inizio del comunicarsi di Dio
all'uomo nello Spirito Santo. "E che voi siete figli ne è prova
il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che
grida: Abbà, Padre!": scrive l'apostolo Paolo nella Lettera ai Galati.
Lo Spirito Santo è lo Spirito del Padre, come testimoniano le parole
del discorso di addio nel Cenacolo. Egli è, al tempo stesso, lo Spirito
del Figlio: è lo Spirito di Gesù Cristo, come testimonieranno
gli apostoli e, in particolare, Paolo di Tarso. Nell'invio di questo Spirito
"nei nostri cuori" inizia a compiersi ciò che "la creazione
stessa attende con impazienza", come leggiamo nella Lettera ai Romani.
Lo Spirito Santo viene a prezzo della "dipartita" di Cristo. Se tale
"dipartita" ha causato la tristezza degli apostoli, e questa doveva
raggiungere il suo culmine nella passione e nella morte del Venerdì Santo,
a sua volta "questa afflizione si cambierà in gioia". Cristo,
infatti, inserirà nella sua "dipartita" redentrice la gloria
della risurrezione e dell'ascensione al Padre. Pertanto, la tristezza, attraverso
la quale traspare la gioia, è la parte che tocca agli apostoli nel quadro
della "dipartita" del loro Maestro, una dipartita "benefica",
perché grazie ad essa un altro "consolatore" sarebbe venuto.
A prezzo della Croce, operatrice della redenzione, nella potenza di tutto il
mistero pasquale di Gesù Cristo, lo Spirito Santo viene per rimanere
sin dal giorno della Pentecoste con gli apostoli, per rimanere con la Chiesa
e nella Chiesa e, mediante essa, nel mondo. In questo modo si realizza definitivamente
quel nuovo inizio della comunicazione del Dio uno e trino nello Spirito Santo
per opera di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo.
4. Il Messia, unto con lo Spirito Santo
15. Si realizza anche fino in fondo la missione del Messia, cioè di colui
che ha ricevuto la pienezza dello Spirito Santo per il Popolo eletto di Dio
e per l'umanità intera. Letteralmente "Messia" significa "Cristo",
cioè "unto" e, nella storia della salvezza, significa "unto
con lo Spirito Santo". Tale era la tradizione profetica dell'Antico Testamento.
Seguendola, Simon Pietro dirà nella casa di Cornelio: "Voi conoscete
ciò che è accaduto in tutta la Giudea... dopo il battesimo predicato
da Giovanni; cioè, come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza
Gesù di Nazareth". Da queste parole di Pietro e da molte altre simili
occorre risalire prima di tutto alla profezia di Isaia, chiamata a volte "il
quinto Vangelo" oppure "il Vangelo dell'Antico Testamento". Alludendo
alla venuta di un personaggio misterioso, che la rivelazione neotestamentaria
identificherà con Gesù, Isaia ne collega la persona e la missione
con una speciale azione dello Spirito di Dio Spirito del Signore. Ecco le parole
del Profeta:
"Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore".
Questo testo è importante per l'intera pneumatologia dell'Antico Testamento,
perché costituisce quasi un ponte tra l'antico concetto biblico dello
"spirito", inteso prima di tutto come "soffio carismatico",
e lo "Spirito" come persona e come dono, dono per la persona. Il Messia
della stirpe di Davide ("dal tronco di Iesse") è proprio quella
persona, sulla quale "si poserà" lo Spirito del Signore. È
ovvio che in questo caso non si può ancora parlare della rivelazione
del Paraclito: tuttavia, con quell'accenno velato alla figura del futuro Messia
si apre, per cosi dire, la via sulla quale vien preparata la piena rivelazione
dello Spirito Santo nell'unità del mistero trinitario, che si manifesterà
infine nella Nuova Alleanza.
16. Proprio il Messia stesso è questa via. Nell'Antica Alleanza l'unzione
era divenuta il simbolo esterno del dono dello Spirito. Il Messia, ben più
di ogni altro personaggio unto nell'Antica Alleanza, è quell'unico grande
Unto da Dio stesso. È l'Unto nel senso che possiede la pienezza dello
Spirito di Dio. Egli stesso sarà anche il mediatore nel concedere questo
Spirito all'intero Popolo. Ecco, infatti, altre parole del Profeta:
"Lo Spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l'anno di misericordia del Signore".
L'Unto è anche mandato "con lo Spirito del Signore":
"Ora il Signore Dio ha mandato me insieme col suo spirito". (Is48,16)
Secondo il Libro di Isaia l'Unto e l'Inviato insieme con lo Spirito del Signore
è anche l'eletto Servo del Signore, sul quale si posa lo Spirito di Dio:
"Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto in cui mi compiaccio;
ho posto il mio spirito su di lui".
Si sa che il Servo del Signore è rivelato nel Libro di Isaia come il
vero uomo dei dolori: il Messia sofferente per i peccati del mondo. Ed insieme
egli è proprio colui la cui missione porterà per l'intera umanità
veri frutti di salvezza:
"Egli porterà il diritto alle nazioni...". e diventerà
"l'alleanza del popolo e luce delle nazioni..."; "perché
porti la mia salvezza fino all'estremità della terra".
Poiché:
"Il mio spirito, che è sopra di te, e le parole, che ti ho messo
in bocca, non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della
tua discendenza né dalla bocca dei discendenti, dice il Signore, ora
e sempre".
I testi profetici, qui riportati, devono essere letti da noi alla luce del Vangelo--come,
a sua volta, il Nuovo Testamento acquista una particolare chiarificazione dalla
mirabile luce contenuta in questi testi vetero-testamentari. Il profeta presenta
il Messia come colui che viene nello Spirito Santo, come colui che possiede
la pienezza di questo Spirito in se e, al tempo stesso, per gli altri per Israele,
per tutte le nazioni, per tutta l'umanità. La pienezza dello Spirito
di Dio viene accompagnata da molteplici doni, i beni della salvezza, destinati
in modo particolare ai poveri e ai sofferenti, a tutti coloro che a questi doni
aprono i loro cuori--a volte mediante le dolorose esperienze della propria esistenza,
ma, prima di tutto, con quella disponibilità interiore che viene dalla
fede. Ciò intuiva il vecchio Simeone, "uomo giusto e pio",
sul quale "era lo Spirito Santo", al momento della presentazione di
Gesù al Tempio, quando scorgeva in lui la "salvezza preparata dinanzi
a tutti i popoli" a prezzo della grande sofferenza --la Croce--, che avrebbe
dovuto abbracciare insieme con sua Madre. Ciò intuiva ancor meglio la
Vergine Maria, che "aveva concepito di Spirito Santo", quando meditava
in cuor suo sopra i "misteri" del Messia, a cui era associata.
17. Occorre quindi sottolineare che chiaramente lo "spirito del Signore",
che "si posa" sul futuro Messia, è, anzitutto, un dono di Dio
per la persona di quel Servo del Signore. Ma costui non è una persona
isolata e a sé stante, perché opera per volontà del Signore,
in forza della sua decisione o scelta. Anche se alla luce dei testi di Isaia
l'operare salvifico del Messia, Servo del Signore, include l'azione dello Spirito
che si svolge mediante lui stesso, tuttavia nel contesto veterotestamentario
non è suggerita la distinzione dei soggetti, o delle Persone divine,
quali sussistono nel mistero trinitario e sono poi rivelate nel Nuovo Testamento.
Sia in Isaia sia in tutto l'Antico Testamento la personalità dello Spirito
Santo è completamente nascosta: nascosta nella rivelazione dell'unico
Dio, come anche nell'annuncio del futuro Messia.
l8. Gesù Cristo si richiamerà a questo annuncio, contenuto nelle
parole di Isaia, all'inizio della sua attività messianica. Ciò
avverrà nella stessa Nazareth, nella quale aveva trascorso trent'anni
di vita nella casa di Giuseppe, il carpentiere, accanto a Maria, sua Madre vergine.
Quando ebbe occasione di prendere la parola nella Sinagoga, aperto il Libro
di Isaia, egli trovò il passo in cui era scritto: "Lo spirito del
Signore è sopra di me; per questo, mi ha consacrato con l'unzione"
e, dopo aver letto questo brano, disse ai presenti: "Oggi si è adempiuta
questa Scrittura, che voi avete udito". In questo modo confessò
e proclarnò di esser colui che "è stato unto" dal Padre,
di essere il Messia, cioè colui nel quale dimora lo Spirito Santo come
dono di Dio stesso, colui che possiede la pienezza di questo Spirito, colui
che segna il "nuovo inizio" del dono che Dio fa all'umanità
nello Spirito.
5. Gesù di Nazareth, "elevato" nello Spirito Santo
19. Anche se nella sua patria di Nazareth Gesù
non è accolto come Messia, tuttavia, all'inizio dell'attività
pubblica la sua missione messianica nello Spirito Santo viene rivelata al popolo
da Giovanni Battista. Questi, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, annuncia presso
il Giordano la venuta del Messia ed amministra il battesimo di penitenza. Egli
dice: "Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte
di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali:
costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco". Giovanni Battista
annuncia il Messia-Cristo non solo come colui che "viene" nello Spirito
Santo, ma anche come colui che "porta" lo Spirito Santo, come rivelerà
meglio Gesù nel Cenacolo. Giovanni è qui l'eco fedele delle parole
di Isaia, le quali nell'antico Profeta riguardavano il futuro, mentre nel suo
proprio insegnamento lungo le rive del Giordano costituiscono l'introduzione
immediata alla nuova realtà messianica. Giovanni è non solo un
profeta, ma anche un messaggero: è il precursore di Cristo. Ciò
che egli annuncia si realizza davanti agli occhi di tutti. Gesù di Nazareth
viene al Giordano per ricevere anch'egli il battesimo di penitenza. Alla vista
di colui che arriva, Giovanni proclama: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui
che toglie il peccato del mondo". Ciò dice per ispirazione dello
Spirito Santo, rendendo testimonianza al compimento della profezia di Isaia.
Al tempo stesso, egli confessa la fede nella missione redentrice di Gesù
di Nazareth. Sulle labbra di Giovanni Battista "Agnello di Dio" è
un'affermazione della verità intorno al Redentore, non meno significativa
di quella usata da Isaia: "Servo del Signore". Così, con la
testimonianza di Giovanni al Giordano, Gesù di Nazareth, rifiutato dai
propri concittadini, viene elevato agli occhi di Israele come Messia, cioè
"Unto" con lo Spirito Santo. E tale testimonianza viene corroborata
da un'altra testimonianza di ordine superiore, menzionata dai tre Sinottici.
Infatti, quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto
il battesimo, stava in preghiera, "il cielo si aprì e scese su di
lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come una colomba" e, contemporaneamente,
"vi fu una voce dal cielo, che disse: Questi è il Figlio mio prediletto,
nel quale mi sono compiaciuto ". E una teofania trinitaria, che rende testimonianza
all'esaltazione di Cristo in occasione del battesimo al Giordano. Essa non solo
conferma la testimonianza di Giovanni Battista, ma svela una dimensione ancora
più profonda della verità su Gesù di Nazareth come Messia.
Ecco: il Messia è il Figlio prediletto del Padre. La sua solenne esaltazione
non si riduce alla missione messianica del "Servo del Signore". Alla
luce della teofania del Giordano, questa esaltazione raggiunge il mistero della
stessa persona del Messia. Egli è esaltato, perché è il
Figlio del divino compiacimento.
La voce dall'alto dice: "Il Figlio mio".
20. La teofania del Giordano rischiara solo fugacemente il mistero di Gesù
di Nazareth, la cui intera attività si svolgerà sotto la presenza
attiva dello Spirito Santo. Tale mistero sarebbe stato da Gesù stesso
svelato e confermato gradualmente mediante tutto ciò che "fece e
insegnò". Sulla linea di questo insegnamento e dei segni messianici
che Gesù compì prima di giungere al discorso di addio nel Cenacolo,
troviamo eventi e parole che costituiscono momenti particolarmente importanti
di questa progressiva rivelazione. Così l'evangelista Luca, che ha già
presentato Gesù "pieno di Spirito Santo" e "condotto dallo
Spirito nel deserto", ci fa sapere che, dopo il ritorno dei settantadue
discepoli dalla missione affidata loro dal Maestro, mentre pieni di gioia gli
raccontavano i frutti del loro lavoro, "in quello stesso istante Gesù
esultò nello Spirito Santo e disse: --Io ti rendo lode, Padre, Signore
del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti
e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti
è piaciuto". Gesù esulta per la paternità divina;
esulta, perché gli è dato di rivelare questa paternità;
esulta, infine, quasi per una speciale irradiazione di questa paternità
divina sui "piccoli". E l'evangelista qualifica tutto questo come
"esultanza nello Spirito Santo". Una tale esultanza, in un certo senso,
sollecita Gesù a dire ancora di più. Ascoltiamo: "Ogni cosa
mi è stata affidata dal Padre mio, e nessuno sa chi è il Figlio
se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al
quale il Figlio lo voglia rivelare".
21. Ciò che durante la teofania del Giordano è venuto, per così
dire, "dall'esterno", dall'Alto, qui proviene "dall'interno",
cioè dal profondo di ciò che è Gesù. È un'altra
rivelazione del Padre e del Figlio, uniti nello Spirito Santo, Gesù parla
solo della paternità di Dio e della propria figliolanza--non parla direttamente
dello Spirito che è amore e, per questo, unione del Padre e del Figlio.
Nondimeno, quello che dice del Padre e di sé-Figlio scaturisce da quella
pienezza dello Spirito, che è in lui e che si riversa nel suo cuore,
pervade il suo stesso "io" ispira e vivifica dal profondo la sua azione.
Di qui quell'"esultare nello Spirito Santo". L'unione di Cristo con
lo Spirito Santo, di cui egli ha perfetta coscienza, si esprime in quell'"esultanza",
che in certo modo rende percepibile la sua arcana sorgente. Si ha così
una speciale manifestazione ed esaltazione, che è propria del Figlio
dell'uomo, di Cristo-Messia la cui umanità appartiene alla Persona del
Figlio di Dio, sostanzialmente uno con lo Spirito Santo nella divinità.
Nella magnifica confessione della paternità di Dio Gesù di Nazareth
manifesta anche se stesso, il suo "io" divino: egli, infatti, è
il Figlio "della stessa sostanza" e, perciò, "nessuno
sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se
non il Figlio", quel Figlio che "per noi uomini e per la nostra salvezza"
si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato da una
vergine, il cui nome era Maria.
6. Cristo risorto dice: "Ricevete lo Spirito Santo"
22. Grazie alla sua narrazione Luca ci conduce alla massima
vicinanza con la verità contenuta nel discorso del Cenacolo. Gesù
di Nazareth, "elevato" nello Spirito Santo, durante questo discorso-colloquio,
si manifesta come colui che "porta" lo Spirito, come colui che lo
deve portare e "dare" agli apostoli e alla Chiesa a prezzo della sua
"dipartita" mediante la Croce. Col verbo "portare" qui si
vuol dire, prima di tutto "rivelare". Nell'Antico Testamento, fin
dal Libro della Genesi lo spirito di Dio è stato in qualche modo fatto
conoscere dapprima come "soffio" di Dio che dà la vita, come
"soffio vitale" soprannaturale. Nel Libro di Isaia è presentato
come un "dono" per la persona del Messia come colui che su di lui
si posa, per guidare dall'interno tutta la sua attività salvifica. Presso
il Giordano l'annuncio di Isaia si è rivestito di una forma concreta:
Gesù di Nazareth è colui che viene nello Spirito Santo e lo porta
come dono proprio della sua stessa persona, per espanderlo attraverso la sua
umanità: "Egli vi battezzerà in Spirito Santo". Nel
Vangelo di Luca è confermata e arricchita questa rivelazione dello Spirito
Santo, come intima sorgente della vita e dell'azione messianica di Gesù
Cristo. Alla luce di ciò che Gesù dice nel discorso del Cenacolo,
lo Spirito Santo viene rivelato in un modo nuovo e più pieno. Egli è
non solo il dono alla persona (alla persona del Messia), ma è una Persona-dono.
Gesù ne annuncia la venuta come quella di "un altro consolatore",
il quale, essendo lo Spirito di verità, condurrà gli apostoli
e la Chiesa "alla verità tutta intera". Ciò si compirà
in ragione della speciale comunione tra lo Spirito Santo e Cristo: "Prenderà
del mio e ve l'annuncerà". Questa comunione ha la sua fonte originaria
nel Padre "Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo,
ho detto che prenderà del mio e ve l'annuncerà". Provenendo
dal Padre, lo Spirito Santo è mandato dal Padre. Lo Spirito Santo prima
è stato mandato come dono per il Figlio che si è fatto uomo, per
adempiere gli annunci messianici. Dopo la "dipartita" di Cristo-Figlio,
secondo il testo giovanneo, lo Spirito Santo " verrà" direttamente--è
la sua nuova missione--a completare l'opera stessa del Figlio. Così sarà
lui a portare a compimento la nuova èra della storia della salvezza.
23. Ci troviamo sulla soglia degli eventi pasquali. La nuova, definitiva rivelazione
dello Spirito Santo come Persona che è il dono, si compie proprio in
questo momento. Gli eventi pasquali--la passione, la morte e la risurrezione
di Cristo--sono anche il tempo della nuova venuta dello Spirito Santo, come
Paraclito e Spirito di verità. Sono il tempo del "nuovo inizio"
della comunicazione del Dio uno e trino all'umanità nello Spirito Santo,
per opera di Cristo Redentore. Questo nuovo inizio è la redenzione del
mondo: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito".
Già nel "dare" il Figlio, nel dono del Figlio si esprime la
più profonda essenza di Dio, il quale, come amore, è fonte inesauribile
dell'elargizione. Nel dono fatto dal Figlio si completano la rivelazione e l'elargizione
dell'eterno amore: lo Spirito Santo, che nelle imperscrutabili profondità
della divinità è una Persona-dono, per opera del Figlio, cioè
mediante il mistero pasquale, in modo nuovo viene dato agli apostoli e alla
Chiesa e, per mezzo di essi, all'umanità e al mondo intero.
24. L'espressione definitiva di questo mistero si ha nel giorno della Risurrezione.
In questo giorno Gesù di Nazareth, "nato dalla stirpe di Davide
secondo la carne"-- come scrive l'apostolo Paolo--viene "costituito
Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione
dai morti". Si può dire così che l'"elevazione"
messianica di Cristo nello Spirito Santo raggiunga il suo zenit nella Risurrezione,
nella quale egli si rivela anche come Figlio di Dio, "pieno di potenza".
E questa potenza, le cui fonti zampillano nell'imperscrutabile comunione trinitaria,
si manifesta, prima di tutto, nel fatto che il Cristo risorto, se da una parte
adempie la promessa di Dio, già espressa per bocca del Profeta: "Vi
darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo,
...il mio spirito", dall'altra compie la sua stessa promessa, fatta agli
apostoli con le parole: "Quando me ne sarò andato, ve lo manderò".
È lui: lo Spirito di verità, il Paraclito, mandato da Cristo risorto
per trasformarci nella sua stessa immagine di risorto. Ecco: "La sera di
quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte
del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù,
si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo,
mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha
mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su
di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"". Tutti i particolari
di questo testo-chiave del Vangelo di Giovanni hanno una loro eloquenza, specialmente
se li rileggiamo in riferimento alle parole pronunciate nello stesso Cenacolo
all'inizio degli eventi pasquali. Ormai questi eventi--il triduum sacrum di
Gesù, che il Padre ha consacrato con l'unzione e mandato nel mondo--
raggiungono il loro compimento. Il Cristo, che "aveva reso lo spirito"
sulla Croce", come Figlio dell'uomo e Agnello di Dio, una volta risorto,
va dagli apostoli per "alitare su di loro" con quella potenza, di
cui parla la Lettera ai Romani. La venuta del Signore riempie di gioia i presenti:
"La loro afflizione si cambia in gioia", come già aveva egli
stesso promesso prima della sua passione. E soprattutto si avvera il principale
annuncio del discorso di addio: il Cristo risorto, quasi avviando una nuova
creazione, "porta" agli apostoli lo Spirito Santo. Lo porta a prezzo
della sua "dipartita": dà loro questo Spirito quasi attraverso
le ferite della sua crocifissione: "Mostrò loro le mani e il costato".
È in forza di questa crocifissione che egli dice loro: "Ricevete
lo Spirito Santo". Si stabilisce così uno stretto legame tra l'invio
del Figlio e quello dello Spirito Santo. Non c'è invio dello Spirito
Santo (dopo il peccato originale) senza la Croce e la Risurrezione: "Se
non me ne vado, non verrà a voi il consolatore". Si stabilisce anche
uno stretto legame tra la missione dello Spirito Santo e quella del Figlio nella
redenzione. La missione del Figlio, in un certo senso, trova il suo "compimento"
nella redenzione. La missione dello Spirito Santo "attinge" alla redenzione:
"Egli prenderà del mio e ve l'annuncerà". La redenzione
viene totalmente operata dal Figlio come dall'Unto, che è venuto ed ha
agito nella potenza dello Spirito Santo, offrendosi alla fine in sacrificio
sul legno della Croce. E questa redenzione viene, al tempo stesso, operata costantemente
nei cuori e nelle coscienze umane--nella storia del mondo--dallo Spirito Santo,
che è l'"altro consolatore".
7. Lo Spirito Santo e il tempo della Chiesa
25. "Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra
(Gv17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare
di continuo la Chiesa, e i credenti avessero così, mediante Cristo, accesso
al Padre in un solo Spirito". È questi lo Spirito di vita, la sorgente
dell'acqua zampillante fino alla vita eterna (Gv4,14); (Gv7,38), colui per mezzo
del quale il Padre ridona la vita agli uomini, morti per il peccato, finché
un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (Rm8,10)".
In questo modo il Concilio Vaticano II parla della nascita della Chiesa nel
giorno della Pentecoste. Questo evento costituisce la definitiva manifestazione
di ciò che si era compiuto nello stesso Cenacolo già la domenica
di Pasqua. Il Cristo risorto venne e "portò" agli apostoli
lo Spirito Santo. Lo diede loro dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo".
Ciò che era avvenuto allora all'interno del Cenacolo, "a porte chiuse,
più tardi, il giorno della Pentecoste si manifesta anche all'esterno,
davanti agli uomini. Si aprono le porte del Cenacolo, e gli apostoli si dirigono
verso gli abitanti e i pellegrini convenuti a Gerusalemme in occasione della
festa, per rendere testimonianza a Cristo nella potenza dello Spirito Santo.
In questo modo si adempie l'annuncio: "Egli mi renderà testimonianza;
e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin
dal principio". Leggiamo in un altro documento del Vaticano II: "Indubbiamente
lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato.
Ma fu nel giorno della Pentecoste che egli discese sui discepoli, per rimanere
con loro in eterno, e la Chiesa apparve pubblicamente di fronte alla moltitudine,
ed ebbe inizio mediante la predicazione e la diffusione del Vangelo in mezzo
ai pagani". Il tempo della Chiesa ha avuto inizio con la "venuta",
cioè con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti nel Cenacolo
di Gerusalemme insieme con Maria, la Madre del Signore. Il tempo della Chiesa
ha avuto inizio nel momento in cui le promesse e gli annunci, che così
esplicitamente si riferivano al consolatore, allo Spirito di verità,
hanno cominciato ad avverarsi in tutta potenza ed evidenza sugli apostoli, determinando
così la nascita della Chiesa. Di questo parlano diffusamente e in molti
passi gli Atti degli Apostoli dai quali risulta che, secondo la coscienza della
prima comunità, di cui Luca esprime le certezze, lo Spirito Santo ha
assunto la guida invisibile-- ma in certo modo "percepibile"--di coloro
che, dopo la dipartita del Signore Gesù, sentivano profondamente di essere
rimasti orfani. Con la venuta dello Spirito essi si sono sentiti idonei a compiere
la missione loro affidata. Si sono sentiti pieni di fortezza. Proprio questo
ha operato in loro lo Spirito Santo, e questo egli opera continuamente nella
Chiesa mediante i loro successori. La grazia dello Spirito Santo, infatti, che
gli apostoli con l'imposizione delle mani diedero ai loro collaboratori, continua
ad essere trasmessa nell'Ordinazione episcopale. I Vescovi poi col Sacramento
dell'ordine rendono partecipi di tale dono spirituale i sacri ministri e provvedono
a che, mediante il Sacramento della confermazione, ne siano corroborati tutti
i rinati dall'acqua e dallo Spirito. Così, in certo modo, si perpetua
nella Chiesa la grazia di Pentecoste. Come scrive il Concilio, "lo Spirito
dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (1Cor3,16); (1Cor6,19),
e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione a figli (Gal4,6);
(Rm8,15). Egli introduce la Chiesa in tutta intera la verità (Gv16,13),
la unifica nella comunione e nel ministero, la edifica e dirige con i diversi
doni gerarchici e carismatici, la arricchisce dei suoi frutti (Ef4,11); (1Cor12,4);
(Gal5,22). Con la forza del Vangelo mantiene la Chiesa continuamente giovane,
costantamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo".
26. I passi riportati dalla Costituzione conciliare Lumen gentium ci dicono
che, con la venuta dello Spirito Santo, ebbe inizio il tempo della Chiesa. Essi
ci dicono pure che questo tempo, il tempo della Chiesa, perdura. Perdura attraverso
i secoli e le generazioni Nel nostro secolo, in cui l'umanità si è
ormai avvicinata al termine del secondo Millennio dopo Cristo, questo tempo
della Chiesa si è espresso in modo speciale mediante il Concilio Vaticano
II, come Concilio del nostro secolo. Si sa, infatti, che questo è stato
in maniera speciale un Concilio "ecclesiologico": un concilio sul
tema della Chiesa. Al tempo stesso, l'insegnamento di questo Concilio è
essenzialmente "pneumatologico": permeato della verità sullo
Spirito Santo, come anima della Chiesa. Possiamo dire che nel suo ricco magistero
il Concilio Vaticano II contiene propriamente tutto ciò "che lo
Spirito dice alle Chiese" in ordine alla presente fase della storia della
salvezza. Seguendo la guida dello Spirito di verità e rendendo testimonianza
insieme con lui, il Concilio ha dato una speciale conferma della presenza dello
Spirito Santo consolatore. In certo senso, esso l'ha reso nuovamente "presente"
nella nostra difficile epoca. Alla luce di questa convinzione si comprende meglio
la grande importanza di tutte le iniziative miranti alla realizzazione del Vaticano
II, del suo magistero e del suo indirizzo pastorale ed ecumenico. In questo
senso vanno anche ben considerate e valutate le successive Assemblee del Sinodo
dei Vescovi che mirano a far sì che i frutti della verità e dell'amore--
i frutti autentici dello Spirito Santo--diventino un bene duraturo del Popolo
di Dio nel suo pellegrinare terreno lungo il corso dei secoli. È indispensabile
questo lavoro della Chiesa, mirante alla verifica ed al consolidamento dei frutti
salvifici dello Spirito, elargiti nel Concilio. A questo scopo bisogna saperli
attentamente "discernere" da tutto ciò che, invece, può
provenire soprattutto dal "principe di questo mondo". Questo discernimento
è tanto più necessario nella realizzazione dell'opera del Concilio,
in quanto questo si è aperto largamente al mondo contemporaneo, come
appare chiaramente dalle importanti Costituzioni conciliari Gaudium et spes
e Lumen gentium. Leggiamo nella Costituzione pastorale: "La loro comunità
(dei discepoli di Cristo)... è composta di uomini, i quali, riuniti insieme
in Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il
Regno del Padre, e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da propagare a tutti.
Perciò, essa si sente realmente ed intimamente solidale con il genere
umano e con la sua storia". "La Chiesa sa bene che soltanto Dio, al
cui servizio è consacrata, dà risposta ai più profondi
desideri del cuore umano, che non può mai essere pienamente saziato dai
beni terreni". "Lo Spirito di Dio... con mirabile provvidenza dirige
il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra".
PARTE II
LO SPIRITO CHE CONVINCE IL MONDO QUANTO AL PECCATO
1. Peccato, giustizia e giudizio
27. Allorché Gesù, durante il discorso nel Cenacolo, annuncia
la venuta dello Spirito Santo "a prezzo" della propria dipartita e
promette: "Quando me ne sarò andato, ve lo manderò",
proprio nello stesso contesto aggiunge: "E quando sarà venuto, egli
convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio".
Il medesimo consolatore e Spirito di verità, già promesso come
colui che "insegnerà" e "ricorderà", come
colui che "renderà testimonianza", come colui che "guiderà
alla verità tutta intera", con le parole ora citate viene annunciato
come colui che "convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia
e al giudizio". Significativo sembra anche il contesto. Gesù collega
questo annuncio dello Spirito Santo alle parole che indicano la propria "dipartita"
mediante la Croce, ed anzi ne sottolineano la necessità: "E bene
per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà
a voi il consolatore". Ma ciò che più conta è la spiegazione
che Gesù stesso aggiunge a queste tre parole: peccato, giustizia, giudizio.
Dice infatti così: "Egli convincerà il mondo quanto al peccato,
alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in
me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più;
quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato
giudicato". Nel pensiero di Gesù il peccato, la giustizia, il giudizio
hanno un senso ben preciso, diverso da quello che forse qualcuno sarebbe propenso
ad attribuire a queste parole indipendentemente dalla spiegazione di chi parla.
Questa spiegazione indica, altresì, come sia da intendere quel "convincere
il mondo", che è proprio dell'azione dello Spirito Santo. Qui è
importante sia il significato delle singole parole, sia il fatto che Gesù
le abbia unite tra loro nella stessa frase. "Il peccato", in questo
passo, significa l'incredulità che Gesù incontrò in mezzo
ai "suoi", cominciando dai concittadini di Nazareth. Significa il
rifiuto della sua missione, che porterà gli uomini a condannarlo a morte.
Quando successivamente parla della "giustizia", Gesù sembra
avere in mente quella giustizia definitiva, che il Padre gli renderà
circondandolo con la gloria della risurrezione e dell'ascensione al Cielo: "Vado
al Padre". A sua volta, nel contesto del "peccato" e della "giustizia"
così intesi, "il giudizio" significa che lo Spirito di verità
dimostrerà la colpa del "mondo" nella condanna di Gesù
alla morte di Croce. Tuttavia, il Cristo non è venuto nel mondo solamente
per giudicarlo e condannarlo: egli è venuto per salvarlo. Il convincere
del peccato e della giustizia ha come scopo la salvezza del mondo, la salvezza
degli uomini. Proprio questa verità sembra essere sottolineata dall'affermazione
che "il giudizio" riguarda solamente il "principe di questo mondo",
cioè Satana colui che sin dall'inizio sfrutta l'opera della creazione
contro la salvezza, contro l'alleanza e l'unione dell'uomo con Dio: egli è
"già giudicato" sin dall'inizio. Se lo Spirito consolatore
deve convincere il mondo proprio quanto al giudizio, e per continuare in esso
l'opera salvifica di Cristo.
28. Qui vogliamo concentrare la nostra attenzione principalmente su questa missione
dello Spirito Santo che è di "convincere il mondo quanto al peccato",
ma rispettando al tempo stesso il contesto generale delle parole di Gesù
nel Cenacolo. Lo Spirito Santo, che assume dal Figlio l'opera della redenzione
del mondo, assume con ciò stesso il compito del salvifico "convincere
del peccato". Questo convincere è in costante riferimento alla "giustizia",
cioè alla definitiva salvezza in Dio, al compimento dell'economia che
ha come centro il Cristo crocifisso e glorificato. E questa economia salvifca
di Dio sottrae, in certo senso, l'uomo dal "giudizio", cioè
dalla dannazione, con la quale è stato colpito il peccato di Satana,
"principe di questo mondo", colui che a causa del suo peccato è
divenuto "dominatore di questo mondo di tenebra". Ed ecco che, mediante
tale riferimento al "giudizio", si schiudono vasti orizzonti per la
comprensione del "peccato", nonché della "giustizia".
Lo Spirito Santo, mostrando sullo sfondo della Croce di Cristo il peccato nell'economia
della salvezza (si potrebbe dire: "il peccato salvato"), fa comprendere
come sia sua missione "convincere" anche del peccato che è
già stato giudicato definitivamente ("il peccato condannato").
29. Tutte le parole, pronunciate dal Redentore nel Cenacolo alla vigilia della
sua passione, si inscrivono nel tempo della Chiesa; prima di tutto, quelle sullo
Spirito Santo come Paraclito e Spirito di verità. Esse vi si inscrivono
in modo sempre nuovo, in ogni generazione, in ogni epoca. Ciò è
confermato, per quanto riguarda il nostro secolo, dall'insieme dell'insegnamento
del Concilio Vaticano II, specialmente della Costituzione pastorale "Gaudium
et spes". Molti passi di questo documento indicano chiaramente che il Concilio,
aprendosi alla luce dello Spirito di verità, si presenta come l'autentico
depositario degli annunci e delle promesse fatte da Cristo agli apostoli ed
alla Chiesa nel discorso di addio: in modo particolare, di quell'annuncio, secondo
il quale lo Spirito Santo deve "convincere il mondo quanto al peccato alla
giustizia e al giudizio". Ciò indica già il testo, nel quale
il Concilio spiega come intende il "mondo": "Il mondo che esso
(il Concilio stesso) ha presente è perciò quello degli uomini,
ossia l'intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà, entro
le quali essa vive. il mondo che è teatro della storia del genere umano
e reca i segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il
mondo che i cristiani credono creato e conservato dall'amore del Creatore, mondo
certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo
crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno, affinché, secondo
il disegno di Dio, sia trasformato e giunga al suo compimento". In riferimento
a questo testo molto sintetico bisogna leggere nella medesima Costituzione gli
altri passi, intesi ad esporre con tutto il realismo della fede la situazione
del peccato nel mondo contemporaneo, nonché di spiegare la sua essenza,
partendo da diversi punti di vista. Quando Gesù, la vigilia di Pasqua,
parla dello Spirito Santo come di colui che "convincerà il mondo
quanto al peccato", da una parte si deve dare a questa sua affermazione
la portata più vasta possibile, in quanto comprende tutto l'insieme dei
peccati nella storia dell'umanità. D'altra parte, però, quando
Gesù spiega che questo peccato consiste nel fatto che "non credono
in lui", tale portata sembra restringersi a coloro che hanno rifiutato
la missione messianica del Figlio dell'uomo, condannandolo alla morte di Croce.
Ma è difficile non notare come questa portata più "ridotta"
e storicamente precisata del significato del peccato si dilati fino ad assumere
un'ampiezza universale a motivo dell'universalità della redenzione, che
si è compiuta per mezzo della Croce. La rivelazione del mistero della
redenzione apre la strada a una comprensione, nella quale ogni peccato, dovunque
ed in qualsiasi momento commesso, viene riferito alla Croce di Cristo--e, dunque,
indirettamente anche al peccato di coloro che "non hanno creduto in lui"
condannando Gesù Cristo alla morte di Croce. Da questo punto di vista
occorre ritornare all'evento della Pentecoste.
2. La testimonianza del giorno della Pentecoste
30. Nel giorno della Pentecoste trovarono la loro più esatta e diretta
conferma gli annunci di Cristo nel discorso di addio e, in particolare, l'annuncio
del quale stiamo trattando: "Il consolatore... convincerà il mondo
quanto al peccato". Quel giorno, sugli apostoli raccolti in preghiera insieme
con Maria, Madre di Gesù, nello stesso Cenacolo, discese lo Spirito Santo
promesso, come leggiamo negli Atti degli Apostoli: "Ed essi furono tutti
pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito
dava loro il potere di esprimersi", "riconducendo in tal modo all'unità
le razze disperse e offrendo al Padre le primizie di tutte le nazioni".
È chiaro il rapporto tra l'annuncio fatto da Cristo e questo evento.
Noi vi scorgiamo il primo e fondamentale compimento della promessa del Paraclito.
Questi viene mandato dal Padre, "dopo" la dipartita di Cristo, "a
prezzo" di essa. Questa è dapprima una dipartita mediante la morte
in Croce, e poi, quaranta giorni dopo la risurrezione, mediante l'ascensione
al Cielo. Ancora nel momento dell'ascensione Gesù ordina agli apostoli
"di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la
promessa del Padre"; "sarete battezzati in Spirito Santo, fra non
molti giorni"; "riceverete forza dallo Spirito Santo, che scenderà
su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria
e fino agli estremi confini della terra""'. Queste ultime parole racchiudono
un'eco, o un ricordo dell'annuncio fatto nel Cenacolo. E il giorno della Pentecoste
tale annuncio si avvera in tutta esattezza. Agendo sotto l'influsso dello Spirito
Santo, ricevuto dagli apostoli durante la preghiera nel Cenacolo, davanti ad
una moltitudine di gente di diverse lingue, radunata per la festa, Pietro si
presenta e parla. Proclama ciò che certamente non avrebbe avuto il coraggio
di dire in precedenza: "Uomini d'Israele, ... Gesù di Nazareth--uomo
accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che
Dio stesso operò fra voi per opera sua--dopo che, secondo il prestabilito
disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato
sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo
dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse
in suo potere". Gesù aveva predetto e promesso: "Egli mi renderà
testimonianza, ... e anche voi mi renderete testimonianza". Nel primo discorso
di Pietro a Gerusalemme tale "testimonianza" trova il suo chiaro inizio:
è la testimonianza intorno a Cristo crocifisso e risorto. Quella dello
Spirito-Paraclito e degli apostoli. E nel contenuto stesso di tale prima testimonianza
lo Spirito di verità per bocca di Pietro "convince il mondo quanto
al peccato": prima di tutto, quanto a quel peccato che è il rifiuto
del Cristo fino alla condanna a morte, fino alla Croce sul Golgota. Proclamazioni
di analogo contenuto si ripeteranno, secondo il testo degli Atti degli Apostoli,
in altre occasioni e in diversi luoghi.
31. Fin da questa iniziale testimonianza della Pentecoste, l'azione dello Spirito
di verità, che "convince il mondo quanto al peccato" del rifiuto
di Cristo, è legata in modo organico con la testimonianza da rendere
al mistero pasquale: al mistero del Crocifsso e del Risorto. E in questo legame
lo stesso "convincere quanto al peccato" rivela la propria dimensione
salvifica. È, infatti, un "convincere" che ha come scopo non
la sola accusa del mondo, tanto meno la sua condanna. Gesù Cristo non
è venuto nel mondo per giudicarlo e condannarlo, ma per salvarlo. Ciò
viene sottolineato già in questo primo discorso, quando Pietro esclama:
"Sappia, dunque, con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito
Signore e Cristo quel Gesù, che voi avete crocifisso". E in seguito,
quando i presenti domandano a Pietro e agli apostoli: "Che cosa dobbiamo
fare, fratelli?", ecco la risposta: "Pentitevi e ciascuno di voi si
faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri
peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo". In questo modo il
"convincere quanto al peccato" diventa insieme un convincere circa
la remissione dei peccati, nella potenza dello Spirito Santo. Pietro nel suo
discorso di Gerusalemme esorta alla conversione, come Gesù esortava i
suoi ascoltatori all'inizio della sua attività messianica. La conversione
richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore
della coscienza, e questo, essendo una verifica dell'azione dello Spirito di
verità nell'intimo dell'uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio
dell'elargizione della grazia e dell'amore: "Ricevete lo Spirito Santo".
Così in questo "convincere quanto al peccato" scopriamo una
duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della
certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il consolatore.
Il convincere del peccato, mediante il ministero dell'annuncio apostolico nella
Chiesa nascente, viene riferito--sotto l'impulso dello Spirito effuso nella
Pentecoste --alla potenza redentrice di Cristo crocifisso e risorto. Così
si adempie la promessa relativa allo Spirito Santo, fatta prima di pasqua: "Egli
prenderà del mio e ve l'annuncerà". Quando dunque, durante
l'evento della Pentecoste, Pietro parla del peccato di coloro che "non
hanno creduto" ed hanno consegnato ad una morte ignominiosa Gesù
di Nazareth, egli rende testimonianza alla vittoria sul peccato: vittoria che
si è compiuta, in certo senso, mediante il peccato più grande
che l'uomo poteva commettere: l'uccisione di Gesù, Figlio di Dio, consostanziale
al Padre! Similmente, la morte del Figlio di Dio vince la morte umana: "Ero
mors tua, o mors", come il peccato di aver crocifisso il Figlio di Dio
"vince" il peccato umano! Quel peccato che si consumò a Gerusalemme
il giorno del Venerdì santo--e anche ogni peccato dell'uomo. Infatti,
al più grande peccato da parte dell'uomo corrisponde, nel cuore del Redentore,
l'oblazione del supremo amore, che supera il male di tutti i peccati degli uomini.
Sulla base di questa certezza la Chiesa nella liturgia romana non esita a ripetere
ogni anno, durante la Veglia pasquale, "Ofelix culpa!", nell'annuncio
della risurrezione dato dal diacono col canto dell'"Exsultet!".
32. Di questa verità ineffabile, però, nessuno può "convincere
il mondo", l'uomo, l'umana coscienza, se non egli stesso, lo Spirito di
verità. Egli è lo Spirito, che "scruta le profondità
di Dio". Di fronte al mistero del peccato bisogna scrutare "le profondità
di Dio" fino in fondo. Non basta scrutare la coscienza umana, quale intimo
mistero dell'uomo, ma bisogna penetrare nell'intimo mistero di Dio, in quelle
"profondità di Dio" che si riassumono nella sintesi: al Padre--nel
Figlio--per mezzo dello Spirito Santo. È proprio lo Spirito Santo che
le "scruta", e da esse trae la risposta di Dio al peccato dell'uomo.
Con questa risposta si chiude il procedimento del "convincere quanto al
peccato", come mette in evidenza l'evento della Pentecoste. Convincendo
il "mondo" del peccato del Golgota, della morte dell'Agnello innocente,
come avviene nel giorno della Pentecoste, lo Spirito Santo convince anche di
ogni peccato commesso in ogni luogo ed in qualsiasi momento nella storia dell'uomo:
egli dimostra, infatti il suo rapporto con la Croce di Cristo. Il "convincere"
è la dimostrazione del male del peccato, di ogni peccato, in relazione
alla Croce di Cristo. Il peccato, mostrato in questa relazione, viene riconosciuto
nell'intera dimensione del male, che gli è propria, per il "mistero
dell'iniquità" , che in se contiene e nasconde. L'uomo non conosce
questa dimensione--non la conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo.
Perciò, non può essere "convinto" di essa se non dallo
Spirito Santo: Spirito di verità, ma anche consolatore. Infatti, il peccato,
mostrato in relazione alla Croce di Cristo, nello stesso tempo viene identificato
nella piena dimensione del "mistero della pietà", come ha indicato
l'Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia. Anche questa
dimensione del peccato l'uomo non la conosce in alcun modo al di fuori della
Croce di Cristo. E anche di essa egli non può essere "convinto"
se non dallo Spirito Santo: da colui che "scruta le profondità di
Dio".
3. La testimonianza dell'inizio: la realtà originaria del peccato
33. È la dimensione del peccato che troviamo nella testimonianza dell'inizio,
annotata nel Libro della Genesi. È il peccato che, secondo la Parola
di Dio rivelata, costituisce il principio e la radice di tutti gli altri Ci
troviamo di fronte alla realtà originaria del peccato nella storia dell'uomo
e, al tempo stesso, nell'insieme dell'economia della salvezza. Si può
dire che in questo peccato ha inizio il "mistero dell'iniquità",
ma anche che è questo il peccato, in ordine al quale la potenza redentrice
del "mistero della pietà" diventa particolarmente trasparente
ed efficace. Ciò esprime san Paolo, quando alla "disobbedienza"
del primo Adamo contrappone l'"obbedienza" di Cristo, il secondo Adamo:
"L'obbedienza fino alla morte". Stando alla testimonianza dell'inizio,
il peccato nella sua realtà originaria avviene nella volontà--e
nella coscienza --dell'uomo, prima di tutto, come "disobbedienza",
cioè come opposizione della volontà dell'uomo alla volontà
di Dio. Questa disobbedienza originaria presuppone il rifiuto o, almeno, l'allontanamento
dalla verità contenuta nella Parola di Dio, che crea il mondo. Questa
Parola è lo stesso Verbo, che era "in principio presso Dio",
che "era Dio" e senza il quale "niente è stato fatto di
tutto ciò che esiste", poiché "il mondo fu fatto per
mezzo di lui". È il Verbo che è anche eterna legge, fonte
di ogni legge, che regola il mondo e specialmente gli atti umani. Quando dunque,
alla vigilia della sua passione, Gesù Cristo parla del peccato di coloro
che "non credono in lui", in queste sue parole, piene di dolore, vi
è quasi un'eco lontana di quel peccato, che nella sua forma originaria
si inscrive oscuramente nel mistero stesso della creazione. Colui che parla,
infatti, è non solo il Figlio dell'uomo, ma anche colui che è
"il primogenito di fronte ad ogni creatura", "poiché per
mezzo di lui sono state create tutte le cose:.... per mezzo di lui e in vista
di lui". Alla luce di questa verità si capisce che la "disobbedienza",
nel mistero dell'inizio, presuppone in certo senso la stessa "non-fede",
quel medesimo "non hanno creduto", che si ripeterà nei riguardi
del mistero pasquale. Come abbiamo detto, si tratta del rifiuto o, almeno, dell'allontanamento
dalla verità contenuta nella Parola del Padre. Il rifiuto si esprime
in pratica come "disobbedienza", in un atto compiuto come effetto
della tentazione, che proviene dal "padre della menzogna". Dunque,
alla radice del peccato umano sta la menzogna come radicale rifiuto della verità
contenuta nel Verbo del Padre, mediante il quale si esprime l'amorevole onnipotenza
del Creatore: l'onnipotenza ed insieme l'amore "di Dio Padre, creatore
del cielo e della terra".
34. "Lo Spirito di Dio", che secondo la descrizione biblica della
creazione "aleggiava sulle acque", indica lo stesso "Spirito,
che scruta le profondità di Dio"; scruta le profondità del
Padre e del Verbo-Figlio nel mistero della creazione. Non solo è il testimone
diretto del loro reciproco amore, dal quale deriva la creazione, ma è
egli stesso questo amore. Egli stesso, come amore, è l'eterno dono increato.
In lui è la fonte e l'inizio di ogni elargizione alle creature. La testimonianza
dell'inizio, che troviamo in tutta la Rivelazione, a cominciare dal Libro della
Genesi, su questo punto è univoca. Creare vuol dire chiamare all'esistenza
dal nulla; dunque, creare vuol dire donare l'esistenza. E se il mondo visibile
viene creato per l'uomo, dunque all'uomo viene donato il mondo. E contemporaneamente
lo stesso uomo nella propria umanità riceve in dono una speciale "immagine
e somiglianza" di Dio. Ciò significa non solo razionalità
e libertà come proprietà costitutiva della natura umana, ma anche,
sin dall'inizio, capacità di un rapporto personale con Dio, come "io"
e "tu" e, dunque, capacità di alleanza che avrà luogo
con la comunicazione salvifica di Dio all'uomo. Sullo sfondo dell'"immagine
e somiglianza" di Dio, "il dono dello Spirito" significa, infine,
chiamata all'amicizia, nella quale le trascendenti "profondità di
Dio" vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo.
Il Concilio Vaticano II insegna: "Dio invisibile (Col1,15); (1Tm1,17) nel
suo grande amore parla agli uomini come ad amici (Es33,11); (Gv15,14) e si intrattiene
con loro (Bar3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé".
35. Pertanto, lo Spirito, che "scruta ogni cosa, anche le profondità
di Dio", conosce sin dall'inizio "i segreti dell'uomo". Proprio
per questo egli solo può pienamente "convincere del peccato"
che ci fu all'inizio, di quel peccato che è la radice di tutti gli altri
e il focolaio della peccaminosità dell'uomo sulla terra, che non si spegne
mai. Lo Spirito di verità conosce la realtà originaria del peccato,
causato nella volontà dell'uomo ad opera del "padre della menzogna"--di
colui che già "è stato giudicato". Lo Spirito Santo
convince, dunque, il mondo del peccato in rapporto a questo "giudizio",
ma costantemente guidando verso la "giustizia", che è stata
rivelata all'uomo insieme con la Croce di Cristo: mediante l'"obbedienza
fino alla morte". Solo lo Spirito Santo può convincere del peccato
dell'inizio umano, proprio egli che è l'amore del Padre e del Figlio,
egli che è dono, mentre il peccato dell'inizio umano consiste nella menzogna
e nel rifiuto del dono e dell'amore, i quali decidono dell'inizio del mondo
e dell'uomo.
36. Secondo la testimonianza dell'inizio, che troviamo nella Scrittura e nella
Tradizione, dopo la prima (ed anche più completa) descrizione nel Libro
della Genesi il peccato nella sua forma originaria è inteso come "disobbedienza",
il che significa semplicemente e direttamente trasgressione di un divieto posto
da Dio. Ma alla luce di tutto il contesto è pure palese che le radici
di questa disobbedienza vanno ricercate in profondità nell'intera situazione
reale dell'uomo. Chiamato all'esistenza, l'essere umano--uomo e donna--è
una creatura. L'"immagine di Dio", consistente nella razionalità
e nella libertà, dice la grandezza e la dignità del soggetto umano,
che è persona. Ma questo soggetto personale è pur sempre una creatura:
nella sua esistenza ed essenza dipende dal Creatore. Secondo la Genesi, "l'albero
della conoscenza del bene e del male" doveva esprimere e costantemente
ricordare all'uomo il "limite" invalicabile per un essere creato.
In questo senso va inteso il divieto da parte di Dio: il Creatore proibisce
all'uomo e alla donna di mangiare i frutti dell'albero della conoscenza del
bene e del male. Le parole dell'istigazione, cioè della tentazione, come
è formulata nel testo sacro, inducono a trasgredire questo divieto --
cioè a superare quel "limite": "Quando voi ne mangiaste,
si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio ("come dèi")
conoscendo il bene e il male". La "disobbedienza" significa appunto
il superamento di quel limite, che rimane invalicabile alla volontà e
libertà dell'uomo, come essere creato. Dio creatore è, infatti,
l'unica e definitiva fonte dell'ordine morale nel mondo, da lui creato. L'uomo
non può da se stesso decidere ciò che è buono e ciò
che è cattivo--non può "conoscere il bene e il male, come
Dio". Sì, Dio nel mondo creato rimane la prima e suprema fonte per
decidere del bene e del male, mediante l'intima verità dell'essere, la
quale è il riflesso del Verbo, l'eterno Figlio, consostanziale al Padre.
All'uomo creato ad immagine di Dio lo Spirito Santo dà in dono la coscienza,
affinché in essa l'immagine possa rispecchiare fedelmente il suo modello,
che è insieme la sapienza e la legge eterna, fonte dell'ordine morale
nell'uomo e nel mondo. La "disobbedienza", come dimensione originaria
del peccato, significa rifiuto di questa fonte, per la pretesa dell'uomo di
diventare fonte autonoma ed esclusiva nel decidere del bene e del male. Lo Spirito,
che "scruta le profondità di Dio" e che, al tempo stesso, è
per l'uomo la luce della coscienza e la fonte dell'ordine morale, conosce in
tutta la sua pienezza questa dimensione del peccato, che si inscrive nel mistero
dell'inizio umano. E non cessa di "convincerne il mondo" in rapporto
alla Croce di Cristo sul Golgota.
37. Secondo la testimonianza dell'inizio, Dio nella creazione ha rivelato se
stesso come onnipotenza, che è amore. Nello stesso tempo ha rivelato
all'uomo che, come "immagine e somiglianza" del suo Creatore, egli
è chiamato a partecipare alla verità e all'amore. Questa partecipazione
significa una vita di unione con Dio, che è la "vita eterna".
Ma l'uomo, sotto l'influenza del "padre della menzogna", si è
distaccato da questa partecipazione. In quale misura? Certamente non nella misura
del peccato di un puro spirito, nella misura del peccato di Satana. Lo spirito
umano è incapace di raggiungere una tale misura. Nella stessa descrizione
della Genesi è facile notare la differenza di grado tra "il soffio
del male" da parte di colui che "è peccatore (ossia permane
nel peccato) fin dal principio" e che già "è stato giudicato",
ed il male della disobbedienza da parte dell'uomo. Questa disobbedienza, tuttavia,
significa pur sempre il voltare le spalle a Dio e, in un certo senso, il chiudersi
della libertà umana nei suoi riguardi. Significa anche una certa apertura
di questa libertà--della conoscenza e della volontà umana--verso
colui che è il "padre della menzogna". Questo atto di scelta
consapevole non è solo "disobbedienza", ma porta con sé
anche una certa adesione alla motivazione contenuta nella prima istigazione
al peccato e incessantemente rinnovata durante tutta la storia dell'uomo sulla
terra: "Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi
e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". Ci troviamo qui
al centro stesso di ciò che si potrebbe chiamare l'"anti-Verbo",
cioè l'"anti-verità". Viene, infatti, falsata la verità
dell'uomo: chi è l'uomo e quali sono i limiti invalicabili del suo essere
e della sua libertà. Questa "anti-verità" è possibile,
perché nello stesso tempo viene falsata completamente la verità
su chi è Dio. Il Dio creatore viene posto in stato di sospetto, anzi
addirittura in stato di accusa, nella coscienza della creatura. Per la prima
volta nella storia dell'uomo appare il perverso "genio del sospetto".
Esso cerca di "falsare" il Bene stesso, il Bene assoluto, che proprio
nell'opera della creazione si è manifestato come il bene che dona in
modo ineffabile: come bonum diffusivum sui, come amore creativo. Chi può
pienamente "convincere del peccato", ossia di questa motivazione della
disobbedienza originaria dell'uomo, se non colui che solo è il dono e
la fonte di ogni elargizione, se non lo Spirito, che "scruta le profondità
di Dio" ed è l'amore del Padre e del Figlio?
38. Infatti, malgrado tutta la testimonianza della creazione e dell'economia
salvifica ad essa inerente, lo spirito delle tenebre è capace di mostrare
Dio come nemico della propria creatura e, prima di tutto, come nemico dell'uomo,
come fonte di pericolo e di minaccia per l'uomo. In questo modo viene innestato
da Satana nella psicologia dell'uomo il germe dell'opposizione nei riguardi
di colui che "sin dall'inizio" deve essere considerato come nemico
dell'uomo--e non come Padre. L'uomo viene sfidato a diventare l'avversario di
Dio! L'analisi del peccato nella sua originaria dimensione indica che, ad opera
del "padre della menzogna", vi sarà lungo la storia dell'umanità
una costante pressione al rifiuto di Dio da parte dell'uomo, fino all'odio:
"Amore di sé fino al disprezzo di Dio", come si esprime sant'Agostino.
L'uomo sarà incline a vedere in Dio prima di tutto una propria limitazione,
e non la fonte della propria liberazione e la pienezza del bene. Ciò
vediamo confermato nell'epoca moderna, nella quale le ideologie atee tendono
a sradicare la religione in base al presupposto che essa determini una radicale
"alienazione" dell'uomo come se l'uomo venisse espropriato della propria
umanità, quando, accettando l'idea di Dio, attribuisce a lui ciò
che appartiene all'uomo, ed esclusivamente all'uomo! Di qui un processo di pensiero
e di prassi storico-sociologica, in cui il rifiuto di Dio è pervenuto
fino alla dichiarazione della sua "morte". Un'assurdità, questa,
concettuale e verbale! Ma l'ideologia della "morte di Dio" minaccia
piuttosto l'uomo, come indica il Vaticano II, quando, sottoponendo ad analisi
la questione dell'"autonomia delle cose temporali", scrive: "La
creatura... senza il Creatore svanisce... Anzi, l'oblio di Dio priva di luce
la creatura stessa". L'ideologia della "morte di Dio" nei suoi
effetti dimostra facilmente di essere, sul piano teoretico e pratico, l'ideologia
della "morte dell'uomo".
4. Lo Spirito, che trasforma la sofferenza in amore salvifico
39. Lo Spirito, che scruta le profondità di Dio, è stato chiamato
da Gesù nel discorso del Cenacolo il Paraclito. Infatti, sin dall'inizio
"viene invocato" per "convincere il mondo quanto al peccato".
Egli viene invocato in modo definitivo per mezzo della Croce di Cristo. Convincere
del peccato vuol dire dimostrare il male in esso contenuto. Il che equivale
a rivelare il mistero dell'iniquità. Non è possibile raggiungere
il male del peccato in tutta la sua dolorosa realtà senza "scrutare
le profondità di Dio". Sin dall'inizio l'oscuro mistero del peccato
è apparso nel mondo sullo sfondo del riferimento al Creatore della libertà
umana. Esso è apparso come un atto di volontà della creatura-uomo
contrario alla volontà di Dio: alla volontà salvifica di Dio;
anzi, è apparso in opposizione alla verità, sulla base della menzogna
ormai definitivamente "giudicata": menzogna che ha posto in stato
di accusa, in stato di permanente sospetto, lo stesso amore creativo e salvifico.
L'uomo ha seguito il "padre della menzogna", ponendosi contro il Padre
della vita e lo Spirito di verità. Il "convincere del peccato"
non dovrà, dunque, significare anche il rivelare la sofferenza? Rivelare
il dolore inconcepibile ed inesprimibile, che, a causa del peccato, il Libro
sacro nella sua visione antropomorfica sembra intravvedere nelle "profondità
di Dio" e, in un certo senso, nel cuore stesso dell'ineffabile Trinità?
La Chiesa ispirandosi alla Rivelazione, crede e professa che il peccato è
offesa di Dio. Che cosa nell'imperscrutabile intimità del Padre, del
Verbo e dello Spirito Santo corrisponde a questa "offesa", a questo
rifiuto dello Spirito che è amore e dono? La concezione di Dio, come
essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore,
derivante da carenze o ferite; ma nelle "profondità di Dio"
c'è un amore di Padre che dinanzi al peccato dell'uomo, secondo il linguaggio
biblico, reagisce fino al punto di dire: "Sono pentito di aver fatto l'uomo".
"Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla
terra... E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se
ne addolorò in cuor suo... Il Signore disse: "Sono pentito di averli
fatti"". Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre,
che prova compassione per l'uomo, quasi condividendo il suo dolore. In definitiva,
questo imperscrutabile e indicibile "dolore" di padre genererà
soprattutto la mirabile economia dell'amore redentivo in Gesù Cristo,
affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell'uomo
l'amore possa rivelarsi più forte del peccato. Perché prevalga
il "dono"! Lo Spirito Santo, che secondo le parole di Gesù
"convince del peccato", è l'amore del Padre e del Figlio e,
come tale, è il dono trinitario e, al tempo stesso, l'eterna fonte di
ogni elargizione divina al creato. Proprio in lui possiamo concepire come personificata
e attuata in modo trascendente quella misericordia, che la tradizione patristica
e teologica, sulla linea dell'Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a Dio.
Nell'uomo la misericordia include dolore e compassione per le miserie del prossimo.
In Dio lo Spirito-amore traduce la considerazione del peccato umano in una nuova
elargizione di amore salvifico. Da lui, nell'unità col Padre e col Figlio
nasce l'economia della salvezza, che riempie la storia dell'uomo con i doni
della redenzione. Se il peccato, rifiutando l'amore, ha generato la "sofferenza"
dell'uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione, lo
Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova
elargizione di amore, che redimerà il mondo. E sulla bocca di Gesù
Redentore, nella cui umanità si invera la "sofferenza" di Dio,
risuonerà una parola in cui si manifesta l'eterno amore, pieno di misericordia:
"Misereor". Così da parte dello Spirito Santo il "convincere
del peccato" diventa un manifestare davanti alla creazione "sottomessa
alla caducità" e, soprattutto, nel profondo delle coscienze umane,
come il peccato viene vinto mediante il sacrificio dell'Agnello di Dio, il quale
è divenuto "fino alla morte" il servo obbediente che, riparando
alla disobbedienza dell'uomo, opera la redenzione del mondo. In questo modo
lo Spirito di verità, il Paraclito, "convince del peccato".
40. Il valore redentivo del sacrificio di Cristo è espresso con parole
molto significative dall'autore della Lettera agli Ebrei, il quale, dopo aver
ricordato i sacrifici dell'Antica Alleanza, in cui "il sangue dei capri
e dei vitelli... purifica nella carne", soggiunge: "Quanto più
il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso
senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte,
per servire il Dio vivente"? Pur consapevoli di altre possibili interpretazioni,
le nostre considerazioni sulla presenza dello Spirito Santo in tutta la vita
di Cristo ci portano a ravvisare in questo testo come un invito a riflettere
sulla presenza del medesimo Spirito anche nel sacrificio redentore del Verbo
Incarnato. Riflettiamo prima sulle parole iniziali che trattano di questo sacrificio
e, in seguito, separatamente, sulla "purificazione della coscienza",
da esso operata. È, infatti, un sacrificio offerto "con (= per opera
di) uno Spirito eterno", il quale da esso "attinge" la forza
di "convincere del peccato" in ordine alla salvezza. È lo stesso
Spirito Santo che, secondo la promessa del Cenacolo, Gesù Cristo "porterà"
agli apostoli il giorno della sua risurrezione, presentandosi loro con le ferite
della crocifissione, e che "darà" loro "per la remissione
dei peccati": "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi". Sappiamo che "Dio consacrò in Spirito Santo
e potenza Gesù di Nazareth", come diceva Simon Pietro nella casa
del centurione Cornelio. Conosciamo il mistero pasquale della sua "dipartita",
secondo il Vangelo di Giovanni Le parole della lettera agli Ebrei ora ci spiegano
in quale modo Cristo "offrì se stesso senza macchia a Dio"
e come ciò fece "con uno Spirito eterno". Nel sacrificio del
Figlio dell'uomo lo Spirito Santo è presente ed agisce così come
agiva nel suo concepimento, nella sua venuta al mondo, nella sua vita nascosta
e nel suo ministero pubblico. Secondo la Lettera agli Ebrei, sulla via della
sua "dipartita" attraverso il Getsemani e il Golgota, lo stesso Cristo
Gesù nella propria umanità si è aperto totalmente a questa
azione dello Spirito-Paraclito, che dalla sofferenza fa emergere l'eterno amore
salvifico. Egli è stato, dunque, "esaudito per la sua pietà.
Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì".
In questo modo tale Lettera dimostra come l'umanità, sottomessa al peccato
nei discendenti del primo Adamo, in Gesù Cristo è diventata perfettamente
sottomessa a Dio ed a lui unita e, nello stesso tempo, piena di misericordia
verso gli uomini. Si ha così una nuova umanità, che in Gesù
Cristo mediante la sofferenza della Croce è ritornata all'amore, tradito
da Adamo col peccato. Essa si è ritrovata nella stessa fonte divina dell'elargizione
originaria: nello Spirito, che "scruta le profondità di Dio"
ed è amore e dono egli stesso. Il Figlio di Dio Gesù Cristo, come
uomo, nell'ardente preghiera della sua passione, permise allo Spirito Santo,
che già aveva penetrato fino in fondo la sua umanità, di trasformarla
in un sacrifcio perfetto mediante l'atto della sua morte, come vittima di amore
sulla Croce. Da solo egli fece questa oblazione. Come unico sacerdote, "offrì
se stesso senza macchia a Dio". Nella sua umanità era degno di divenire
un tale sacrificio, poiché egli solo era "senza macchia". Ma
l'offrì "con uno Spirito eterno": il che vuol dire che lo Spirito
Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio
dell'uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo.
41. Nell'Antico Testamento più volte si parla del "fuoco dal cielo",
che bruciava le oblazioni presentate dagli uomini. Per analogia si può
dire che lo Spirito Santo è il "fuoco dal cielo", che opera
nel profondo del mistero della Croce. Provenendo dal Padre, egli indirizza verso
il Padre il sacrificio del Figlio, introducendolo nella divina realtà
della comunione trinitaria. Se il peccato ha generato la sofferenza, ora il
dolore di Dio in Cristo crocifisso acquista per mezzo dello Spirito Santo la
sua piena espressione umana. Si ha così un paradossale mistero d'amore:
in Cristo soffre un Dio rifiutato dalla propria creatura: "Non credono
in me!". ma, nello stesso tempo dal profondo di questa sofferenza--e, indirettamente,
dal profondo dello stesso peccato "di non aver creduto" --lo Spirito
trae una nuova misura del dono fatto all'uomo e alla creazione fin dall'inizio.
Nel profondo del mistero della Croce agisce l'amore, che riporta nuovamente
l'uomo a partecipare alla vita, che è in Dio stesso. Lo Spirito Santo
come amore e dono discende, in un certo senso, nel cuore stesso del sacrifcio
che viene offerto sulla Croce. Riferendoci alla tradizione biblica, possiamo
dire: egli consuma questo sacrifcio col fuoco dell'amore, che unisce il Figlio
col Padre nella comunione trinitaria. E poiché il sacrificio della Croce
è un atto proprio di Cristo, anche in questo sacrificio "egli riceve
lo Spirito Santo". Lo riceve in modo tale, che poi egli--ed egli solo con
Dio Padre--può "darlo" agli apostoli, alla Chiesa, all'umanità.
Egli solo lo "manda" dal Padre. Egli solo si presenta davanti agli
apostoli riuniti nel Cenacolo, "alita su di loro" e dice: "Ricevete
lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi", come aveva
preannunciato Giovanni Battista: "Egli vi battezzerà nello Spirito
Santo e nel fuoco". Con quelle parole di Gesù lo Spirito Santo è
rivelato ed insieme è reso presente come amore che opera nel profondo
del mistero pasquale, come fonte della potenza salvifica della Croce di Cristo,
come dono della vita nuova ed eterna. Questa verità sullo Spirito Santo
trova quotidiana espressione nella liturgia romana, quando il sacerdote, prima
della comunione, pronuncia quelle significative parole: "Signore Gesù
Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera
dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo...". E nella III
Preghiera Eucaristica, riferendosi alla stessa economia salvifica, il sacerdote
chiede a Dio che lo Spirito Santo "faccia di noi un sacrificio perenne
a te gradito".
5. Il sangue, che purifica la coscienza
42. Abbiamo detto che, al culmine del mistero pasquale, lo Spirito Santo è
definitivamente rivelato e reso presente in un mondo nuovo. Il Cristo risorto
dice agli apostoli: "Ricevete lo Spirito Santo". Viene in questo modo
rivelato lo Spirito Santo, perché le parole di Cristo costituiscono la
conferma delle promesse e degli annunci del discorso nel Cenacolo. E con ciò
il Paraclito viene anche reso presente in un modo nuovo. Egli, in realtà,
operava sin dall'inizio nel mistero della creazione e lungo tutta la storia
dell'antica Alleanza di Dio con l'uomo. La sua azione è stata pienamente
confermata dalla missione del Figlio dell'uomo come Messia, che è venuto
nella potenza dello Spirito Santo. Al culmine della missione messianica di Gesù,
lo Spirito Santo diventa presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività
divina: come colui che deve ora continuare l'opera salvifica, radicata nel sacrificio
della Croce. Senza dubbio quest'opera viene affidata da Gesù ad uomini:
agli apostoli, alla Chiesa. Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi,
lo Spirito Santo rimane il trascendente soggetto protagonista della realizzazione
di tale opera nello spirito dell'uomo e nella storia del mondo: l'invisibile
e, al tempo stesso, onnipresente Paraclito! Lo Spirito che "soffia dove
vuole". Le parole, pronunciate da Cristo risorto, il giorno "primo
dopo il sabato", mettono in particolare rilievo la presenza del Paraclito
consolatore, come di colui che "convince il mondo quanto al peccato, alla
giustizia e al giudizio". Infatti, solo in questo rapporto, si spiegano
le parole che Gesù pone in diretto riferimento col "dono" dello
Spirito Santo agli apostoli. Egli dice: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi
rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno
non rimessi". Gesù conferisce agli apostoli il potere di rimettere
i peccati, perché lo trasmettano ai loro successori nella Chiesa. Tuttavia,
questo potere, concesso ad uomini, presuppone e include l'azione salvifica dello
Spirito Santo. Divenendo "luce dei cuori", cioè delle coscienze,
lo Spirito Santo "convince del peccato", ossia fa conoscere all'uomo
il suo male e, nello stesso tempo lo orienta verso il bene. Grazie alla molteplicità
dei suoi doni, per cui è invocato come il "settiforme", ogni
genere di peccato dell'uomo può essere raggiunto dalla potenza salvifica
di Dio. In realtà--come dice san Bonaventura--"in virtù dei
sette doni dello Spirito Santo tutti i mali sono distrutti e sono prodotti tutti
i beni". Sotto l'influsso del consolatore si compie, dunque quella conversione
del cuore umano, che è condizione indispensabile del perdono dei peccati.
Senza una vera conversione, che implica una interiore contrizione e senza un
sincero e fermo proposito di cambiamento, i peccati rimangono "non rimessi",
come dice Gesù e con lui la Tradizione dell'Antica e della Nuova Alleanza.
Infatti, le prime parole pronunciate da Gesù all'inizio del suo ministero,
secondo il Vangelo di Marco, sono queste: "Convertitevi e credete al vangelo".
La conferma di questa esortazione è il "convincere quanto al peccato"
che lo Spirito Santo intraprende in modo nuovo in forza della redenzione, operata
dal sangue del Figlio dell'uomo. Perciò, la Lettera agli Ebrei dice che
questo "sangue purifica la coscienza". Esso, dunque, per così
dire, apre allo Spirito Santo la via verso l'intimo dell'uomo, cioè il
santuario delle coscienze umane.
43. Il Concilio Vaticano II ha ricordato l'insegnamento cattolico sulla coscienza,
parlando della vocazione dell'uomo e, in particolare, della dignità della
persona umana. Proprio la coscienza decide in modo specifico di questa dignità.
Essa, infatti, è "il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo,
dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimo". Essa
chiaramente "dice alle orecchie del cuore: Fa' questo, fuggi quest'altro".
Una tale capacità di comandare il bene e di proibire il male, inserita
dal Creatore nell'uomo, è la principale proprietà del soggetto
personale. Ma, al tempo stesso, "nell'intimo della coscienza l'uomo scopre
una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire".
La coscienza, dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere
ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in
essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi
della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni
con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano, come traspare
fin dalla pagina del Libro della Genesi, già richiamato. Proprio in questo
senso la coscienza è l'"intimo sacrario", in cui "risuona
la voce di Dio". Essa è "la voce di Dio" persino quando
l'uomo riconosce esclusivamente in essa il principio dell'ordine morale, di
cui umanamente non si può dubitare, anche senza un diretto riferimento
al Creatore: proprio in questo riferimento la coscienza trova sempre il suo
fondamento e la sua giustificazione. L'evangelico "convincere quanto al
peccato" sotto l'influsso dello Spirito di verità non può
realizzarsi nell'uomo per altra via se non per quella della coscienza. Se la
coscienza è retta, allora serve "per risolvere secondo verità
i problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella
sociale"; allora "le persone e i gruppi sociali si allontanano dal
cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità".
Frutto della retta coscienza è, prima di tutto, il chiamare per nome
il bene e il male, come fa ad esempio la stessa Costituzione pastorale: "Tutto
ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio,
il genocidio l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò
che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture
inflitte al corpo e alla mente; gli sforzi di costrizione psicologica. tutto
ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita infraumana,
le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione,
il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di
lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno,
e non come persone libere e responsabili"; e, dopo aver chiamato per nome
i molteplici peccati, così frequenti e diffusi nel nostro tempo, essa
aggiunge: "Tutte queste cose e altre simili sono certamente vergognose
e, mentre corrompono la civiltà umana, inquinano coloro che così
si comportano ben più di quelli che le subiscono; e offendono al massimo
l'onore del Creatore". Chiamando per nome i peccati che più disonorano
l'uomo, e dimostrando che essi sono un male morale che grava negativamente su
qualsiasi bilancio del progresso dell'umanità, il Concilio insieme descrive
tutto ciò come una tappa "della lotta drammatica tra il bene e il
male, tra la luce e le tenebre", che caratterizza "tutta la vita umana,
sia individuale che collettiva". L'assemblea del Sinodo dei Vescovi del
1983 sulla riconciliazione e la penitenza ha precisato ancor meglio il significato
personale e sociale del peccato dell'uomo.
44. Ebbene, nel Cenacolo, la vigilia della sua Passione, e poi la sera di Pasqua,
Gesù Cristo si è appellato allo Spirito Santo come a colui, il
quale testimonia che nella storia dell'umanità perdura il peccato. Tuttavia,
il peccato è sottoposto alla potenza salvifica della redenzione. Il "convincere
il mondo del peccato" non si esaurisce nel fatto che esso viene chiamato
per nome e identificato per quello che è su tutta la scala che gli è
propria. Nel convincere il mondo del peccato, lo Spirito di verità s'incontra
con la voce delle coscienze umane. Su questa via si giunge alla dimostrazione
delle radici del peccato, che sono nell'intimo dell'uomo, come mette in rilievo
la stessa Costituzione pastorale: "In verità, gli squilibri di cui
soffre il mondo contemporaneo si collegano con quello squilibrio più
fondamentale, radicato nel cuore dell'uomo. È nell'uomo stesso che molti
elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura fa l'esperienza
dei suoi molteplici limiti; dall'altra, si sente illimitato nelle sue aspirazioni
e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è
costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunciare alle altre. Inoltre, debole
e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe".
Il testo conciliare fa qui riferimento alle note parole di san Paolo. Il "convincere
quanto al peccato", che accompagna la coscienza umana in ogni approfondita
riflessione su se stessa, porta dunque alla scoperta delle sue radici nell'uomo,
come anche dei condizionamenti della coscienza stessa nel corso della storia.
Ritroviamo in questo modo quella realtà originaria del peccato, della
quale si è già parlato. Lo Spirito Santo "convince quanto
al peccato" in rapporto al mistero dell'inizio, indicando il fatto che
l'uomo è un essere creato e, dunque, è in una totale dipendenza
ontologica ed etica dal Creatore, e ricordando, al tempo stesso, l'ereditaria
peccaminosità della natura umana. Ma lo Spirito Santo consolatore "convince
del peccato" sempre in relazione alla Croce di Cristo. In questa relazione
il cristianesimo respinge ogni "fatalità" del peccato. È
"una dura lotta contro le potenze delle tenebre, lotta che, cominciata
fin dall'origine del mondo, continuerà, come dice il Signore, fino all'ultimo
giorno"--insegna il Concilio. "Ma il Signore stesso è venuto
a liberare l'uomo e a dargli forza". L'uomo, dunque, lungi dal lasciarsi
"irretire" nella sua condizione di peccato, appoggiandosi alla voce
della propria coscienza, "deve combattere senza soste per aderire al bene,
né può conseguire la sua unità interiore se non a prezzo
di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio". Il Concilio giustamente
vede il peccato come fattore della rottura, che grava sia sulla vita personale
che su quella sociale dell'uomo; ma, nello stesso tempo, ricorda instancabilmente
la possibilità della vittoria.
45. Lo Spirito di verità, che "convince il mondo del peccato",
s'incontra con quella fatica della coscienza umana, di cui i testi conciliari
parlano in modo così suggestivo. Tale fatica della coscienza determina
anche le vie delle conversioni umane: il voltare le spalle al peccato, per ricostruire
la verità e l'amore nel cuore stesso dell'uomo. Si sa che riconoscere
il male in se stessi a volte costa molto. Si sa che la coscienza non solo comanda
o proibisce, ma giudica alla luce degli ordini e divieti interiori. Essa é
anche fonte di rimorsi: l'uomo soffre interiormente a causa del male commesso.
Non è questa sofferenza quasi un'eco lontana di quel "pentimento
di aver creato l'uomo", che con linguaggio antropomorfico il Libro sacro
attribuisce a Dio? di quella "riprovazione" che, inscrivendosi nel
"cuore" della Trinità, in forza dell'eterno amore si traduce
nel dolore della Croce, nell'obbedienza di Cristo fino alla morte? Quando lo
Spirito di verità consente alla coscienza umana di partecipare a quel
dolore, allora la sofferenza della coscienza diventa particolarmente profonda,
ma anche particolarmente salvifica. Allora, mediante un atto di contrizione
perfetta, si opera l'autentica conversione del cuore: è l'evangelica
"métanoia". La fatica del cuore umano, la fatica della coscienza,
in cui si compie questa "métanoia", o conversione, è
il riflesso di quel processo per cui la riprovazione viene trasformata in amore
salvifico, che sa soffrire. Il dispensatore nascosto di questa forza salvatrice
è lo Spirito Santo: egli, che viene chiamato dalla Chiesa "luce
delle coscienze", penetra e riempie "la profondità dei cuori"
umani. Mediante una tale conversione nello Spirito Santo, l'uomo si apre al
perdono, alla remissione dei peccati E in tutto questo mirabile dinamismo della
conversione-remissione, si conferma la verità di ciò che scrive
sant'Agostino sul mistero dell'uomo, commentando le parole del Salmo: "L'abisso
chiama l'abisso". Proprio nei riguardi di questa "abissale profondità"
dell'uomo della coscienza umana, si compie la missione del Figlio e dello Spirito
Santo. Lo Spirito Santo "viene" in forza della "dipartita"
di Cristo nel mistero pasquale: viene in ogni fatto concreto di conversione-remissione,
in forza del sacrificio della Croce: in esso, infatti, "il sangue di Cristo...
purifica le coscienze dalle opere morte, per servire il Dio vivente". Si
adempiono così di continuo le parole sullo Spirito Santo come "un
altro consolatore", le parole rivolte nel Cenacolo agli apostoli e indirettamente
a tutti: "Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi sarà
in voi".
6. Il peccato contro lo Spirito Santo
46. Sullo sfondo di ciò che abbiamo detto finora, diventano più
comprensibili alcune altre parole, impressionanti e sconvolgenti, di Gesù.
Le potremmo chiamare le parole del "non-perdono". Esse ci sono riferite
dai Sinottici in rapporto ad un particolare peccato, che è chiamato "bestemmia
contro lo Spirito Santo". Eccole come sono state riferite nella triplice
loro redazione.
Matteo:
"Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la
bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà
male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito
non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello
futuro".
Marco:
"Tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini, e anche tutte
le bestemmie che diranno, ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo,
non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna".
Luca:
"Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato,
ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo non sarà perdonato".
Perché la bestemmia contro lo Spirito Santo è imperdonabile?
Come intendere questa bestemmia? Risponde san Tommaso d'Aquino che si tratta
di un peccato:
"irremissibile secondo la sua natura, in quanto esclude quegli elementi,
grazie ai quali avviene la remissione dei peccati". Secondo una tale esegesi
la "bestemmia" non consiste propriamente nell'offendere con le parole
lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che
Dio offre all'uomo mediante lo Spirito Santo, operante in virtù del sacrificio
della Croce. Se l'uomo rifiuta quel "convincere quanto al peccato",
che proviene dallo Spirito Santo ed ha carattere salvifico, egli insieme rifiuta
la "venuta" del consolatore--quella "venuta" che si è
attuata nel mistero pasquale, in unità con la potenza redentrice del
sangue di Cristo: il sangue che "purifica la coscienza dalle opere morte".
Sappiamo che frutto di una tale purificazione è la remissione dei peccati.
Pertanto, chi rifiuta lo Spirito e il sangue rimane nelle "opere morte",
nel peccato. E la bestemmia contro lo Spirito Santo consiste proprio nel rifiuto
radicale di accettare questa remissione, di cui egli è l'intimo dispensatore
e che presuppone la reale conversione, da lui operata nella coscienza. Se Gesù
dice che la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere rimessa
né in questa vita né in quella futura, è perché
questa "non-remissione" è legata, come a sua causa, alla "non
penitenza", cioè al radicale rifiuto di convertirsi. Il che significa
il rifiuto di raggiungere le fonti della redenzione, le quali, tuttavia, rimangono
"sempre" aperte nell'economia della salvezza, in cui si compie la
missione dello Spirito Santo. Questi ha l'infinita potenza di attingere a queste
fonti: "Prenderà del mio", ha detto Gesù. In questo
modo egli completa nelle anime umane l'opera della redenzione, compiuta da Cristo,
dispensandone i frutti. Ora la bestemmia contro lo Spirito Santo è il
peccato commesso dall'uomo, che rivendica un suo presunto "diritto"
di perseverare nel male--in qualsiasi peccato--e rifiuta così la redenzione.
L'uomo resta chiuso nel peccato, rendendo da parte sua impossibile la sua conversione
e, dunque, anche la remissione dei peccati, che ritiene non essenziale o non
importante per la sua vita. È, questa, una condizione di rovina spirituale,
perché la bestemmia contro lo Spirito Santo non permette all'uomo di
uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione
delle coscienze e della remissione dei peccati.
47. L'azione dello Spirito di verità, che tende al salvifico "convincere
quanto al peccato", incontra nell'uomo che si trova in tale condizione
una resistenza interiore, quasi un'impermeabilità della coscienza, uno
stato d'animo che si direbbe consolidato in ragione di una libera scelta: è
ciò che la Sacra Scrittura di solito chiama "durezza di cuore".
Nella nostra epoca a questo atteggiamento di mente e di cuore corrisponde forse
la perdita del senso del peccato, alla quale dedica molte pagine l'Esortazione
Apostolica Reconciliatio et paenitentia. Già il Papa Pio XII aveva affermato
che "il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato",
e tale perdita va di pari passo con la "perdita del senso di Dio".
Nell'Esortazione citata leggiamo: "In realtà, Dio è la radice
e il fine supremo dell'uomo, e questi porta in sé un germe divino. Perciò,
è la realtà di Dio che svela e illumina il mistero dell'uomo.
È vano, quindi, sperare che prenda consistenza un senso del peccato nei
confronti dell'uomo e dei valori umani, se manca il senso dell'offesa commessa
contro Dio, cioè il senso vero del peccato". La Chiesa, perciò,
non cessa di implorare da Dio la grazia che non venga meno la rettitudine nelle
coscienze umane, che non si attenui la loro sana sensibilità dinanzi
al bene e al male. Questa rettitudine e sensibilità sono profondamente
legate all'intima azione dello Spirito di verità. In questa luce acquistano
particolare eloquenza le esortazioni dell'Apostolo: "Non spegnete lo Spirito".
"Non vogliate rattristare lo Spirito Santo". Soprattutto, però,
la Chiesa non cessa di implorare con sommo fervore che non aumenti nel mondo
quel peccato chiamato dal Vangelo "bestemmia contro lo Spirito Santo";
che esso, anzi, retroceda nelle anime degli uomini--e per riflesso negli stessi
ambienti e nelle varie forme della società--, cedendo il posto all'apertura
delle coscienze, necessaria per l'azione salvifica dello Spirito Santo. La Chiesa
implora che il pericoloso peccato contro lo Spirito lasci il posto ad una santa
disponibilità ad accettare la sua missione di consolatore, quando egli
viene per "convincere il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio".
48. Nel suo discorso di addio Gesù ha unito questi tre àmbiti
del "convincere" come componenti della missione del Paraclito: il
peccato, la giustizia e il giudizio. Essi segnano lo spazio di quel mistero
della pietà, che nella storia dell'uomo si oppone al peccato, al mistero
dell'iniquità. Da un lato, come si esprime sant'Agostino, c'è
l'"amore di sé fino al disprezzo di Dio"; dall'altro, c'è
l'"amore di Dio fino al disprezzo di sé". La Chiesa di continuo
innalza la sua preghiera e presta il suo servizio, perché la storia delle
coscienze e la storia delle società nella grande famiglia umana non si
abbassino verso il polo del peccato col rifiuto dei comandamenti divini "fino
al disprezzo di Dio", ma piuttosto si elevino verso l'amore, in cui si
rivela lo Spirito che dà la vita. Coloro che si lasciano "convincere
quanto al peccato" dallo Spirito Santo, si lasciano anche convincere quanto
"alla giustizia e al giudizio". Lo Spirito di verità, che aiuta
gli uomini, le coscienze umane, a conoscere la verità del peccato, al
tempo stesso fa sì che conoscano la verità di quella giustizia
che entrò nella storia dell'uomo con Gesù Cristo. In questo modo,
coloro che "convinti del peccato" si convertono sotto l'azione del
consolatore, vengono, in un certo senso, condotti fuori dall'orbita del "giudizio":
di quel "giudizio", col quale "il principe di questo mondo è
stato giudicato". La conversione, nella profondità del suo mistero
divino-umano, significa la rottura di ogni vincolo col quale il peccato lega
l'uomo nell'insieme del mistero dell'iniquità. Coloro che si convertono,
dunque, vengono condotti dallo Spirito Santo fuori dall'orbita del "giudizio",
e introdotti in quella giustizia, che è in Cristo Gesù, e vi è
perché la riceve dal Padre, come un riflesso della santità trinitaria.
Questa è la giustizia del Vangelo e della redenzione, la giustizia del
Discorso della montagna e della Croce, che opera la purificazione della coscienza
mediante il sangue dell'Agnello. È la giustizia che il Padre rende al
Figlio ed a tutti coloro, che sono uniti a lui nella verità e nell'amore.
In questa giustizia lo Spirito Santo, Spirito del Padre e del Figlio, che "convince
il mondo quanto al peccato", si rivela e si rende presente nell'uomo come
Spirito di vita eterna.
PARTE III
LO SPIRITO CHE DÀ LA VITA
1. Motivo del Giubileo del Duemila: Cristo, il quale fu concepito di
Spirito Santo
49. Allo Spirito Santo si volgono il pensiero e il cuore della Chiesa in questa
fine del ventesimo secolo e nella prospettiva del terzo Millennio dalla venuta
di Gesù Cristo nel mondo, mentre guardiamo verso il grande Giubileo con
cui la Chiesa celebrerà l'evento. Tale venuta, infatti, si misura, secondo
il computo del tempo, come un evento che appartiene alla storia dell'uomo sulla
terra. La misura del tempo adoperata comunemente definisce gli anni, i secoli
e i millenni secondo che trascorrono prima o dopo la nascita di Cristo. Ma bisogna
anche tener presente che questo evento significa per noi cristiani, secondo
l'Apostolo, la "pienezza del tempo", perché in esso la storia
dell'uomo è stata completamente penetrata dalla "misura" di
Dio stesso: una trascendente presenza del "nunc" eterno. "Colui
che è che era e che viene". colui che è "l'alfa e l'omega,
il primo e l'ultimo, il principio e la fine". "Dio, infatti, ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede
in lui non muoia, ma abbia la vita eterna". "Quando venne la pienezza
del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna..., perché ricevessimo
l'adozione a figli". E questa incarnazione del Figlio-Verbo è avvenuta
per opera dello Spirito Santo. I due evangelisti, ai quali dobbiamo il racconto
della nascita e dell'infanzia di Gesù di Nazareth, si pronunciano in
questa questione allo stesso modo. Secondo Luca all'annunciazione della nascita
di Gesù, Maria domanda "Come avverrà questo? Non conosco
uomo", e riceve questa risposta: "Lo Spirito Santo scenderà
su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui
che nascerà sarà, dunque, santo e chiamato Figlio di Dio".
Matteo narra direttamente: "Ecco come avvenne la nascita di Gesù
Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero
a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo".
Turbato da questo stato di cose, Giuseppe riceve durante il sonno la seguente
spiegazione: "Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché
quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà
un figlio, e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo
popolo dai suoi peccati". Perciò, la Chiesa sin dall'inizio professa
il mistero dell'incarnazione, questo mistero-chiave della fede, riferendosi
allo Spirito Santo. Recita il Simbolo Apostolico: "Il quale fu concepito
di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine". Non diversamente il Simbolo
niceno-costantinopolitano attesta: "Per opera dello Spirito Santo si è
incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo". "Per
opera dello Spirito Santo" si è fatto uomo colui che la Chiesa,
con le parole dello stesso Simbolo, confessa essere Figlio consostanziale al
Padre: "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato".
Si è fatto uomo "incarnandosi nel seno della Vergine Maria".
Ecco che cosa si è compiuto, quando "venne la pienezza del tempo".
50. Il grande Giubileo, conclusivo del secondo Millennio, al quale la Chiesa
già si prepara, ha direttamente un profilo cristologico: si tratta, infatti,
di celebrare la nascita di Gesù Cristo. Nello stesso tempo, esso ha un
profilo pneumatologico, poiché il mistero dell'incarnazione si è
compiuto "per opera dello Spirito Santo". L'ha "operato"
quello Spirito che--consostanziale al Padre e al Figlio--è, nell'assoluto
mistero di Dio uno e trino, la Persona-amore, il dono increato, che è
fonte eterna di ogni elargizione proveniente da Dio nell'ordine della creazione,
il principio diretto e, in certo senso, il soggetto dell'autocomunicazione di
Dio nell'ordine della grazia. Di questa elargizione, di questa divina autocomunicazione
il mistero dell'incarnazione costituisce il culmine. In effetti, la concezione
e la nascita di Gesù Cristo sono la più grande opera compiuta
dallo Spirito Santo nella storia della creazione e della salvezza: la suprema
grazia--la "grazia dell'unione", fonte di ogni altra grazia come spiega
san Tommaso. A questa opera si riferisce il grande Giubileo e si riferisce anche--se
penetriamo nel suo profondo--all'artefice di quest'opera, alla Persona dello
Spirito Santo. Alla "pienezza del tempo" corrisponde, infatti, una
particolare pienezza dell'autocomunicazione di Dio uno e trino nello Spirito
Santo. "Per opera dello Spirito Santo" si compie il mistero dell'"unione
ipostatica", cioè dell'unione della natura divina e della natura
umana della divinità e dell'umanità nell'unica Persona del Verbo-Figlio.
Quando Maria, al momento dell'annunciazione, pronuncia il suo "fiat":
"Avvenga di me quello che hai detto", ella concepisce in modo verginale
un uomo, il Figlio dell'uomo, che è il Figlio di Dio. Mediante una tale
"umanizzazione" del Verbo-Figlio, l'autocomunicazione di Dio raggiunge
la sua pienezza definitiva nella storia della creazione e della salvezza. Questa
pienezza acquista una particolare densità ed eloquenza espressiva nel
testo del Vangelo di Giovanni: "Il Verbo si fece carne". L'incarnazione
di Dio-Figlio significa l'assunzione all'unità con Dio non solo della
natura umana, ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è
"carne": di tutta l'umanità, di tutto il mondo visibile e materiale.
L'incarnazione, dunque, ha anche un suo significato cosmico, una sua cosmica
dimensione. Il "generato prima di ogni creatura", incarnandosi nell'umanità
individuale di Cristo, si unisce in qualche modo con l'intera realtà
dell'uomo, il quale è anche "carne" --e in essa con ogni "carne",
con tutta la creazione.
51. Tutto ciò si compie per opera dello Spirito Santo e dunque, appartiene
al contenuto del futuro grande Giubileo. La Chiesa non può prepararsi
ad esso in nessun altro modo, se non nello Spirito Santo. Ciò che "nella
pienezza del tempo" si è compiuto per opera dello Spirito Santo,
solo per opera sua può ora emergere dalla memoria della Chiesa. Per opera
sua può rendersi presente nella nuova fase della storia dell'uomo sulla
terra: l'anno Duemila dalla nascita di Cristo. Lo Spirito Santo, che con la
sua potenza adombrò il corpo verginale di Maria, dando in lei inizio
alla maternità divina, nello stesso tempo rese il suo cuore perfettamente
obbediente nei riguardi di quell'autocomunicazione di Dio, che superava ogni
concetto e ogni facoltà dell'uomo. "Beata colei che ha creduto!":
così viene salutata Maria dalla sua parente Elisabetta, anche lei "piena
di Spirito Santo". Nelle parole di saluto a colei che "ha creduto"
sembra delinearsi un lontano (ma, in effetti, molto vicino) contrasto nei riguardi
di tutti coloro, dei quali Cristo dirà che "non hanno creduto".
Maria è entrata nella storia della salvezza del mondo mediante l'obbedienza
della fede. E la fede, nella sua più profonda essenza, é l'apertura
del cuore umano davanti al dono: davanti all'autocomunicazione di Dio nello
Spirito Santo. Scrive san Paolo: "Il Signore è lo Spirito, e dove
c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà". Quando Dio
uno e trino si apre all'uomo nello Spirito Santo, questa sua "apertura"
rivela ed insieme dona alla creatura-uomo la pienezza della libertà.
Tale pienezza si è manifestata in modo sublime proprio mediante la fede
di Maria, mediante "l'obbedienza della fede" davvero, "beata
colei che ha creduto!".
2. Motivo del Giubileo: si è manifestata la grazia
52. Nel mistero dell'incarnazione l'opera dello Spirito, "che dà
la vita", raggiunge il suo vertice. Non è possibile dare la vita,
che in Dio è in modo pieno, che facendo di essa la vita di un Uomo, quale
è Cristo nella sua umanità personalizzata dal Verbo nell'unione
ipostatica. E, al tempo stesso, col mistero dell'incarnazione si apre in modo
nuovo la fonte di questa vita divina nella storia dell'umanità: lo Spirito
Santo. Il Verbo, "generato prima di ogni creatura", diventa "il
primogenito tra molti fratelli" e così diventa anche il capo del
corpo che è la Chiesa, la quale nascerà sulla Croce e sarà
rivelata il giorno della Pentecoste--e nella Chiesa, il capo dell'umanità:
degli uomini di ogni nazione, di ogni razza, di ogni paese e cultura, di ogni
lingua e continente, tutti chiamati alla salvezza. "Il Verbo si fece carne,
(quel Verbo in cui) era la vita e la vita era la luce degli uomini... A quanti
l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio". Ma tutto ciò
si è compiuto ed incessantemente si compie "per opera dello Spirito
Santo". "Figli di Dio", infatti, sono--come insegna l'Apostolo
-- "tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio". La figliolanza
dell'adozione divina nasce negli uomini sulla base del mistero dell'incarnazione,
dunque grazie a Cristo, l'eterno Figlio. Ma la nascita, o rinascita, avviene
quando Dio Padre "manda nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio".
Allora, infatti, "riceviamo uno spirito da figli adottivi per mezzo del
quale gridiamo: "Abbà, Padre!"". Pertanto, quella figliolanza
di Dio innestata nell'anima umana con la grazia santificante, è opera
dello Spirito Santo. "Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo
figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di
Cristo". La grazia santificante è nell'uomo il principio e la fonte
della nuova vita: vita divina, soprannaturale. L'elargizione di questa nuova
vita è come la risposta definitiva di Dio alle parole del Salmista, nelle
quali in certo modo risuona la voce di tutte le creature: "Se mandi il
tuo Spirito saranno creati e rinnoverai la faccia della terra". Colui che
nel mistero della creazione dà all'uomo e al cosmo la vita nelle sue
molteplici forme visibili ed invisibili, egli ancora la rinnova mediante il
mistero dell'incarnazione. La creazione viene così completata dall'incarnazione
e permeata fin da quel momento dalle forze della redenzione, che investono l'umanità
e tutto il creato. Ce lo dice san Paolo, la cui visione cosmico-teologica sembra
riprendere la voce dell'antico Salmo: la creazione "attende con impazienza
la rivelazione dei figli di Dio", ossia di coloro che Dio, avendoli "da
sempre conosciuti", ha anche "predestinati ad essere conformi all'immagine
del Figlio suo". Si ha così una soprannaturale "adozione"
degli uomini, di cui è origine lo Spirito Santo, amore e dono. Come tale
egli viene elargito agli uomini E nella sovrabbondanza del dono increato ha
inizio, nel cuore di ogni uomo, quel particolare dono creato, mediante il quale
gli uomini "diventano partecipi della natura divina". Così
la vita umana viene penetrata per partecipazione dalla vita divina ed acquista
anch'essa una dimensione divina, soprannaturale. Si ha la nuova vita, nella
quale, come partecipi del mistero dell'incarnazione, "gli uomini nello
Spirito Santo hanno accesso al Padre". Vi è, dunque, una stretta
relazione tra lo Spirito, che dà la vita, e la grazia santificante e
quella molteplice vitalità soprannaturale, che ne deriva nell'uomo: tra
lo Spirito increato e lo spirito umano creato.
53. Si può dire che tutto ciò rientra nell'ambito del grande Giubileo,
sopra menzionato. Bisogna, infatti, oltrepassare la dimensione storica del fatto,
considerato nella sua superficie. Bisogna raggiungere, nello stesso contenuto
cristologico del fatto, la dimensione pneumatologica, abbracciando con lo sguardo
della fede i due millenni dell'azione dello Spirito di verità, il quale,
attraverso i secoli, ha attinto dal tesoro della redenzione di Cristo dando
agli uomini la nuova vita, operando in essi l'adozione nel Figlio unigenito,
santificandoli, sicché essi possono ripetere con san Paolo: "Abbiamo
ricevuto lo Spirito di Dio". Ma, seguendo questo motivo del Giubileo, non
è possibile limitarsi ai duemila anni trascorsi dalla nascita di Cristo.
Bisogna risalire indietro, abbracciare tutta l'azione dello Spirito Santo anche
prima di Cristo--sin dal principio, in tutto il mondo e, specialmente, nell'economia
dell'Antica Alleanza. Questa azione, infatti, in ogni luogo e in ogni tempo,
anzi in ogni uomo, si è svolta secondo l'eterno piano di salvezza, per
il quale essa è strettamente unita al mistero dell'incarnazione e della
redenzione, che a sua volta esercitò il suo influsso nei credenti in
Cristo venturo. Ciò è attestato in modo particolare nella Lettera
agli Efesini. La grazia, pertanto, porta congiuntamente in sé una caratteristica
cristologica ed insieme pneumatologica, che si verifica soprattutto in coloro
che espressamente aderiscono al Cristo: "In lui (in Cristo)... avete ricevuto
il suggello dello Spirito Santo, che era stato promesso, il quale è caparra
della nostra eredità in attesa della completa redenzione". Ma, sempre
nella prospettiva del grande Giubileo, dobbiamo anche guardare più ampiamente
e andare "al largo", sapendo che "il vento soffia dove vuole",
secondo l'immagine usata da Gesù nel colloquio con Nicodemo. Il Concilio
Vaticano II, concentrato soprattutto sul tema della Chiesa, ci ricorda l'azione
dello Spirito Santo anche "al di fuori" del corpo visibile della Chiesa.
Esso parla appunto di "tutti gli uomini di buona volontà, nel cui
cuore opera invisibilmente la grazia. Cristo infatti, è morto per tutti
e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina;
perciò, dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti, nel modo
che Dio conosce, la possibilità di essere associati al mistero pasquale".
54. "Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito
e verità". Queste parole Gesù le ha dette in un altro suo
colloquio: quello con la Samaritana. Il grande Giubileo, che si celebrerà
al termine di questo Millennio ed all'inizio di quello successivo, deve costituire
un potente appello rivolto a tutti coloro che "adorano Dio in spirito e
verità". Deve essere per tutti una speciale occasione per meditare
il mistero di Dio uno e trino, il quale in se stesso è completamente
trascendente nei riguardi del mondo, specialmente del mondo visibile: è
infatti, Spirito assoluto, "Dio è spirito" ed insieme, in modo
mirabile, è non solo vicino a questo mondo, ma vi è presente e,
in certo senso, immanente, lo compenetra e vivifica dall'interno. Ciò
vale in modo speciale per l'uomo: Dio è nell'intimo del suo essere, come
pensiero, coscienza, cuore; e realtà psicologica e ontologica, considerando
la quale sant'Agostino diceva di lui: "È più intimo del mio
intimo". Queste parole ci aiutano a capir meglio quelle rivolte da Gesù
alla Samaritana: "Dio è spirito". Solo lo Spirito può
essere "più intimo del mio intimo" sia nell'essere, sia nell'esperienza
spirituale; solo lo Spirito può essere tanto immanente nell'uomo e nel
mondo, permanendo inviolabile e immutabile nella sua assoluta trascendenza.
Ma in modo nuovo e in forma visibile la presenza divina nel mondo e nell'uomo
si è manifestata in Gesù Cristo. In lui davvero "è
apparsa la grazia". L'amore di Dio Padre, dono, grazia infinita, principio
di vita, è divenuto palese in Cristo, e nell'umanità di lui si
è fatto "parte" dell'universo, del genere umano, della storia.
Quell'"apparizione" della grazia nella storia dell'uomo, mediante
Gesù Cristo, si è compiuta per opera dello Spirito Santo, che
è il principio di ogni azione salvifica di Dio nel mondo: egli, "Dio
nascosto", che come amore e dono "riempie l'universo". Tutta
la vita della Chiesa, quale si manifesterà nel grande Giubileo, significa
andare incontro al Dio nascosto: incontro allo Spirito, che dà la vita.
3. Lo Spirito Santo nel dissidio interno dell'uomo: la carne ha desideri
contrari allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne.
55. Purtroppo, risulta dalla storia della salvezza che quel farsi vicino e presente
di Dio all'uomo e al mondo, quella mirabile "condiscendenza" dello
Spirito incontra nella nostra realtà umana resistenza ed opposizione.
Quanto sono eloquenti da questo punto di vista le parole profetiche del vegliardo
di nome Simeone, il quale "mosso dallo Spirito" si recò al
tempio di Gerusalemme, per annunciare davanti al bambino di Betlemme che "egli
è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione".
L'opposizione a Dio, che è Spirito invisibile, nasce in una certa misura
già sul terreno della radicale diversità del mondo da lui, cioè
dalla sua "visibilità" e "materialità" in
rapporto a lui "invisibile" e "assoluto Spirito"; dalla
sua essenziale e inevitabile imperfezione in rapporto a lui, essere perfettissimo.
Ma l'opposizione diventa conflitto, ribellione sul terreno etico per quel peccato
che prende possesso del cuore umano, nel quale "la carne... ha desideri
contrari allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne". Di
questo peccato lo Spirito Santo deve "convincere il mondo", come abbiamo
detto. San Paolo è colui che in modo particolarmente eloquente descrive
la tensione e la lotta, che agita il cuore umano. "Vi dico dunque--leggiamo
nella Lettera ai Galati--: camminate secondo lo spirito, e non sarete portati
a soddisfare i desideri della carne; la carne, infatti, ha desideri contrari
allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono
a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste". Già
nell'uomo come essere composto, spirituale-corporale, esiste una certa tensione,
si svolge una certa lotta di tendenze tra lo "spirito" e la "carne".
Ma essa di fatto appartiene all'eredità del peccato, ne è una
conseguenza e, nello stesso tempo, una conferma. Essa fa parte dell'esperienza
quotidiana. Come scrive l'Apostolo: "Del resto, le opere della carne sono
ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, ubriachezze, orge e
cose del genere". Sono i peccati che si potrebbero definire "carnali".
Ma l'Apostolo ne aggiunge anche altri: "Inimicizie, discordia, gelosia,
dissensi, divisioni, fazioni, invidie". Tutto questo costituisce "le
opere della carne". Ma a queste opere, che sono indubbiamente cattive,
Paolo contrappone "il frutto dello Spirito", come "amore, gioia,
pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio
di sé". Dal contesto risulta chiaro che per l'Apostolo non si tratta
di discriminare e di condannare il corpo, che con l'anima spirituale costituisce
la natura dell'uomo e la sua soggettività personale; egli tratta, invece,
delle opere, o meglio delle stabili disposizioni--virtù e vizi--moralmente
buone o cattive, che sono frutto di sottomissione (nel primo caso) oppure di
resistenza (nel secondo) all'azione salvifca dello Spirito Santo. Perciò,
l'Apostolo scrive: "Se pertanto viviamo dello spirito, camminiamo anche
secondo lo spirito". E in altri passi: "Coloro infatti che vivono
secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli, invece, che vivono
secondo lo spirito, alle cose dello spirito"; "Viviamo, infatti, sotto
il dominio dello spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi".
La contrapposizione che san Paolo stabilisce tra la vita "secondo lo spirito"
e la vita "secondo la carne", genera un'ulteriore contrapposizione:
quella della "vita" e della "morte". "I desideri della
carne portano alla morte, mentre i desideri dello spirito portano alla vita
e alla pace"; di qui l'ammonimento: "Se vivete secondo la carne, voi
morirete; se, invece, con l'aiuto dello Spirito fate morire le opere del corpo,
voi vivrete". A ben considerare, questa è un'esortazione a vivere
nella verità, cioè secondo i dettami della retta coscienza e,
nello stesso tempo, è una professione di fede nello Spirito di verità,
come in colui che dà la vita. Il corpo, infatti, "è morto
a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione";
"Così dunque... siamo debitori, ma non verso la carne per vivere
secondo la carne". Siamo piuttosto debitori a Cristo, che nel mistero pasquale
ha operato la nostra giustificazione, ottenendo a noi lo Spirito Santo: "Infatti,
siamo stati comprati a caro prezzo". Nei testi di san Paolo si sovrappongono--e
reciprocamente si compenetrano--la dimensione ontologica (la carne e lo spirito),
quella etica (il bene e il male morale), quella pneumatologica (l'azione dello
Spirito Santo nell'ordine della grazia). Le sue parole (specialmente nelle Lettere
ai Romani e ai Galati ci fanno conoscere e sentire al vivo la grandezza di quella
tensione e lotta, che si svolge nell'uomo tra l'apertura verso l'azione dello
Spirito Santo e la resistenza e l'opposizione a lui, al suo dono salvifìco.
I termini o poli contrapposti sono, da parte dell'uomo, la sua limitatezza e
peccaminosità, punti nevralgici della sua realtà psicologica ed
etica; e, da parte di Dio, il mistero del dono, quell'incessante donarsi della
vita divina nello Spirito Santo. Di chi sarà la vittoria? Di chi avrà
saputo accogliere il dono.
56. Purtroppo, la resistenza allo Spirito Santo, che san Paolo sottolinea nella
dimensione interiore e soggettiva come tensione, lotta, ribellione che avviene
nel cuore umano, trova nelle varie epoche della storia e, specialmente, nell'epoca
moderna la sua dimensione esteriore, concretizzandosi come contenuto della cultura
e della civiltà, come sistema filosofico, come ideologia, come programma
di azione e di formazione dei comportamenti umani. Essa trova la sua massima
espressione nel materialismo, sia nella sua forma teorica--come sistema di pensiero,
sia nella sua forma pratica--come metodo di lettura e di valutazione dei fatti
e come programma, altresì, di condotta corrispondente. Il sistema che
ha dato il massimo sviluppo e ha portato alle estreme conseguenze operative
questa forma di pensiero, di ideologia e di prassi, è il materialismo
dialettico e storico, riconosciuto tuttora come sostanza vitale del marxismo.
In linea di principio e di fatto il materialismo esclude radicalmente la presenza
e l'azione di Dio, che è spirito nel mondo e, soprattutto, nell'uomo
per la fondamentale ragione che non accetta la sua esistenza, essendo un sistema
essenzialmente e programmaticamente ateo. È il fenomeno impressionante
del nostro tempo, al quale il Concilio Vaticano II ha dedicato alcune pagine
significative: l'ateismo. Anche se non si può parlare dell'ateismo in
modo univoco né si può ridurlo esclusivamente alla filosofia materialistica,
dato che esistono varie specie di ateismo e forse si può dire che spesso
si usa tale parola in senso equivoco, tuttavia è certo che un vero e
proprio materialismo, inteso come teoria che spiega la realtà e assunto
come principio-chiave dell'azione personale e sociale, ha carattere ateo. L'orizzonte
dei valori e dei fini dell'agire, che esso delinea, è strettamente legato
all'interpretazione come "materia" di tutta la realtà. Se esso
parla a volte anche dello "spirito e delle questioni dello spirito",
per esempio nel campo della cultura o della morale, ciò fa soltanto in
quanto considera certi fatti come derivati (epifenomeni) dalla materia, la quale
secondo questo sistema è l'unica ed esclusiva forma dell'essere. Ne consegue
che, secondo tale interpretazione, la religione può essere intesa solamente
come una specie di "illusione idealistica", da combattere nei modi
e con i metodi più opportuni secondo i luoghi e le circostanze storiche,
per eliminarla dalla società e dal cuore stesso dell'uomo. Si può
dire, pertanto, che il materialismo è lo sviluppo sistematico e coerente
di quella "resistenza" e opposizione, denunciate da san Paolo con
le parole: "La carne ha desideri contrari allo spirito". Questa conflittualità
è, però, reciproca, come mette in rilievo l'Apostolo nella seconda
parte del suo aforisma: "Lo spirito ha desideri contrari alla carne".
Chi vuole vivere secondo lo Spirito nell'accettazione e nella corrispondenza
alla sua azione salvifica, non può non respingere le tendenze e le pretese,
interne ed esterne, della "carne", anche nella sua espressione ideologica
e storica di "materialismo" antireligioso. Su questo sfondo così
caratteristico del nostro tempo si devono sottolineare i "desideri dello
spirito" nei preparativi al grande Giubileo, come richiami che risuonano
nella notte di un nuovo tempo di avvento, in fondo al quale, come duemila anni
fa, "ogni uomo vedrà la salvezza di Dio". Questa è una
possibilità e una speranza, che la Chiesa affida agli uomini di oggi.
Essa sa che l'incontro-scontro, tra i "desideri contrari allo spirito",
che caratterizano tanti aspetti della civiltà contemporanea, specialmente
in alcuni suoi àmbiti, e i "desideri contrari alla carne",
con l'avvicinarsi di Dio, con la sua incarnazione, con la sua sempre nuova comunicazione
nello Spirito Santo, può presentare in molti casi un carattere drammatico
e forse risolversi in nuove sconfitte umane. Ma essa crede fermamente che, da
parte di Dio, è sempre un comunicarsi salvifico, una venuta salvifica
e, semmai, un salvifico "convincere del peccato" ad opera dello Spirito.
57. Nella contrapposizione paolina dello "spirito" e della "carne"
è inscritta anche la contrapposizione della "vita" e della
"morte". Grave problema, questo, circa il quale bisogna dire subito
che il materialismo, come sistema di pensiero, in ogni sua versione, significa
l'accettazione della morte quale definitivo termine dell'esistenza umana. Tutto
ciò che è materiale, è corruttibile e, perciò, il
corpo umano (in quanto "animale") è mortale. Se l'uomo nella
sua essenza è solo "carne", la morte rimane per lui un confine
e un termine invalicabile. Allora si capisce come si possa dire che la vita
umana è esclusivamente un "esistere per morire". Bisogna aggiungere
che sull'orizzonte della civiltà contemporanea--specialmente di quella
più sviluppata in senso tecnico-scientifico--i segni e i segnali di morte
sono diventati particolarmente presenti e frequenti. Basti pensare alla corsa
agli armamenti e al pericolo, in essa insito, di un'autodistruzione nucleare.
D'altra parte, si è rivelata sempre più a tutti la grave situazione
di vaste regioni del nostro pianeta, segnate dall'indigenza e dalla fame apportatrici
di morte. Si tratta di problemi che non sono solo economici, ma anche e prima
di tutto etici. Senonché, sull'orizzonte della nostra epoca si addensano
"segni di morte" anche più cupi: si è diffuso il costume
--che in alcuni luoghi rischia di diventare quasi un'istituzione--di togliere
la vita agli esseri umani prima ancora della loro nascita, o anche prima che
siano arrivati al naturale traguardo della morte. E ancora: nonostante tanti
nobili sforzi in favore della pace, sono scoppiate e sono in corso nuove guerre,
che privano della vita o della salute centinaia di migliaia di uomini. E come
non ricordare gli attentati alla vita umana da parte del terrorismo, organizzato
anche su scala internazionale? Purtroppo, questo è solo un abbozzo parziale
ed incompleto del quadro di morte che si sta componendo nella nostra epoca,
mentre ci avviciniamo sempre di più alla fine del secondo Millennio cristiano.
Dalle tinte fosche della civiltà materialistica e, in particolare, da
quei segni di morte che si moltiplicano nel quadro sociologico-Storico, in cui
essa si è attuata, non sale forse una nuova invocazione, più o
meno consapevole, allo Spirito che dà la vita? In ogni caso, anche indipendentemente
dall'ampiezza delle speranze o delle disperazioni umane, come delle illusioni
o degli inganni, derivanti dallo sviluppo dei sistemi materialistici di pensiero
e di vita, rimane la certezza cristiana che lo Spirito soffia dove vuole e che
noi possediamo "le primizie dello Spirito", e che perciò, possiamo
anche essere soggetti alle sofferenze dei tempo che passa, ma "gemiamo
interiormente aspettando... la redenzione del nostro corpo", ossia di tutto
il nostro essere umano, corporeo e spirituale. Gemiamo, sì, ma in un'attesa
carica di indefettibile speranza, perché proprio a questo essere umano
si è avvicinato Dio, che è Spirito. Dio Padre ha mandato "il
proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e, in vista del peccato,
ha condannato il peccato". Al culmine del mistero pasquale, il Figlio di
Dio, fatto uomo e crocifisso per i peccati del mondo, si è presentato
in mezzo ai suoi apostoli dopo la risurrezione, ha alitato su di loro e ha detto:
"Ricevete lo Spirito Santo". Questo "soffio" continua sempre.
Ed ecco, "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza".
4. Lo Spirito Santo nel rafforzamento dell'"uomo interiore"
58. Il mistero della Risurrezione e della Pentecoste è annunciato e vissuto
dalla Chiesa, che è l'erede e la continuatrice della testimonianza degli
apostoli circa la risurrezione di Gesù Cristo. Essa è la testimone
perenne di questa vittoria sulla morte, che ha rivelato la potenza dello Spirito
Santo e ha determinato la sua nuova venuta, la sua nuova presenza negli uomini
e nel mondo. Infatti nella risurrezione di Cristo lo Spirito Santo Paraclito
si è rivelato soprattutto come colui che dà la vita: "Colui
che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi
mortali per mezzo del suo Spirito, che abita in voi". Nel nome della risurrezione
di Cristo la Chiesa annuncia la vita, che si è manifestata oltre il limite
della morte, la vita che è più forte della morte. Al tempo stesso,
essa annuncia colui che dà questa vita: lo Spirito vivificatore; lo annuncia
e con lui coopera nel dare la vita. Infatti, se "il corpo è morto
a causa del peccato..., lo spirito è vita a causa della giustificazione",
operata da Cristo crocifisso e risorto. E in nome della risurrezione di Cristo
la Chiesa serve la vita che proviene da Dio stesso, in stretta unione ed in
umile servizio allo Spirito. Proprio per questo servizio l'uomo diventa in modo
sempre nuovo la "via della Chiesa", come ho già detto nell'Enciclica
su Cristo Redentore ed ora ripeto in questa sullo Spirito Santo. Unita con lo
Spirito, la Chiesa è consapevole più di ogni altro della realtà
dell'uomo interiore, di ciò che nell'uomo è più profondo
ed essenziale, perché spirituale ed incorruttibile. A questo livello
lo Spirito innesta la "radice dell'immortalità", dalla quale
spunta la nuova vita: cioè, la vita dell'uomo in Dio, che, come frutto
della sua autocomunicazione salvifica nello Spirito Santo, può svilupparsi
e consolidarsi solo sotto l'azione di costui. Perciò, l'Apostolo si rivolge
a Dio in favore dei credenti, ai quali dichiara: "Piego le ginocchia davanti
al Padre..., perché vi conceda... di essere potentemente rafforzati dal
suo Spirito nell'uomo interiore". Sotto l'influsso dello Spirito Santo
matura e si rafforza quest'uomo interiore, cioè "spirituale".
Grazie alla divina comunicazione lo spirito umano, che "conosce i segreti
dell'uomo", si incontra con lo "Spirito che scruta le profondità
di Dio". In questo Spirito, che è il dono eterno, Dio uno e trino
si apre all'uomo, allo spirito umano. Il soffio nascosto dello Spirito divino
fa sì che lo spirito umano si apra, a sua volta, davanti all'aprirsi
salvifico e santificante di Dio. Per il dono della grazia, che viene dallo Spirito,
l'uomo entra in "una vita nuova", viene introdotto nella realtà
soprannaturale della stessa vita divina e diventa "dimora dello Spirito
Santo", "tempio vivente di Dio". Per lo Spirito Santo, infatti,
il Padre e il Figlio vengono a lui e prendono dimora presso di lui. Nella comunione
di grazia con la Trinità si dilata l'"area vitale" dell'uomo,
elevata al livello soprannaturale della vita divina. L'uomo vive in Dio e di
Dio: vive "secondo lo Spirito" e "pensa alle cose dello Spirito".
59. L'intima relazione con Dio nello Spirito Santo fa sì che l'uomo comprenda
in modo nuovo anche se stesso la propria umanità. Viene così realizzata
pienamente quell'immagine e somiglianza di Dio, che è l'uomo sin dall'inizio.
Tale intima verità dell'essere umano deve essere di continuo riscoperta
alla luce di Cristo, che è il prototipo del rapporto con Dio, e, in lui,
deve essere anche riscoperta la ragione del "ritrovarsi pienamente attraverso
un dono sincero di sé" con gli altri uomini, come scrive il Concilio
Vaticano II: proprio in ragione della somiglianza divina che "manifesta
che nella terra l'uomo... è l'unica creatura che Dio abbia voluto per
se stessa", nella sua dignità di persona, ma aperta all'integrazione
e alla comunione sociale. La conoscenza efficace e l'attuazione piena di questa
verità dell'essere avvengono solo per opera dello Spirito Santo. L'uomo
impara questa verità da Gesù Cristo e la attua nella propria vita
per opera dello Spirito, che egli stesso ci ha dato. Su questa via--sulla via
di una tale maturazione interiore, che include la piena scoperta del senso dell'umanità--Dio
si fa intimo all'uomo, penetra sempre più a fondo in tutto il mondo umano.
Dio uno e trino, che in se stesso "esiste" come trascendente realtà
di dono interpersonale, comunicandosi nello Spirito Santo come dono all'uomo,
trasforma il mondo umano dal di dentro, dall'interno dei cuori e delle coscienze.
Su questa via il mondo, reso partecipe del dono divino, diventa--come insegna
il Concilio--"sempre più umano, sempre più profondamente
umano", mentre in esso matura, mediante i cuori e le coscienze degli uomini,
il Regno in cui Dio sarà definitivamente "tutto in tutti":
come dono e amore. Dono e amore: è questa l'eterna potenza dell'aprirsi
di Dio uno e trino all'uomo e al mondo, nello Spirito Santo. Nella prospettiva
dell'anno Duemila dalla nascita di Cristo si tratta di ottenere che un numero
sempre più grande di uomini "possa ritrovarsi pienamente... attraverso
un dono sincero di sé", secondo la citata espressione del Concilio.
Che sotto l'azione dello Spirito Paraclito si realizzi nel nostro mondo quel
processo di vera maturazione nell'umanità, nella vita individuale e in
quella comunitaria, in ordine al quale Gesù stesso, "quando prega
il Padre perché "tutti siano una cosa sola, come io e te siamo una
cosa sola" (Gv17,21), ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione
delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella
carità". Il Concilio ribadisce tale verità sull'uomo, e la
Chiesa vede in essa un'indicazione particolarmente forte e determinante dei
propri compiti apostolici. Se, infatti, l'uomo è la via della Chiesa,
questa via passa attraverso tutto il mistero di Cristo, come divino modello
dell'uomo. Su questa via lo Spirito Santo, rafforzando in ciascuno di noi "l'uomo
interiore", fa sì che l'uomo sempre meglio "si ritrovi attraverso
un dono sincero di sé". Si può dire che in queste parole
della Costituzione pastorale del Concilio si riassuma tutta l'antropologia cristiana:
quella teoria e prassi, fondata sul Vangelo, nella quale l'uomo scoprendo in
se stesso l'appartenenza a Cristo e, in lui, l'elevazione a figlio di Dio, comprende
meglio anche la sua dignità di uomo, proprio perché è il
soggetto dell'avvicinamento e della presenza di Dio, il soggetto della condiscendenza
divina, nella quale è contenuta la prospettiva ed addirittura la radice
stessa della definitiva glorificazione. Allora si può veramente ripetere
che "gloria di Dio è l'uomo vivente, ma vita dell'uomo è
la visione di Dio": l'uomo, vivendo una vita divina, è la gloria
di Dio, e di questa vita e di questa gloria lo Spirito Santo è il dispensatore
nascosto. Egli--dice il grande Basilio -- "semplice nell'essenza, molteplice
nelle sue virtù..., si diffonde senza che subisca alcuna diminuzione,
è presente a ciascuno di quanti sono capaci di riceverlo come se fosse
lui solo, ed in tutti infonde la grazia sufficiente e completa".
60. Quando, sotto l'influsso del Paraclito, gli uomini scoprono questa dimensione
divina del loro essere e della loro vita, sia come persone che come comunità,
essi sono in grado di liberarsi dai diversi determinismi derivati principalmente
dalle basi materialistiche del pensiero, della prassi e della sua relativa metodologia.
Nella nostra epoca questi fattori sono riusciti a penetrare fin nell'intimo
dell'uomo, in quel santuario della coscienza dove lo Spirito Santo immette di
continuo la luce e la forza della vita nuova secondo la "libertà
dei figli di Dio". La maturazione dell'uomo in questa vita è impedita
dai condizionamenti e dalle pressioni, che su di lui esercitano le strutture
e i meccanismi dominanti nei diversi settori della società. Si può
dire che in molti casi i fattori sociali, anziché favorire lo sviluppo
e l'espansione dello spirito umano, finiscono con lo strapparlo alla genuina
verità del suo essere e della sua vita--sulla quale veglia lo Spirito
Santo--per sottometterlo al "principe di questo mondo". Il grande
Giubileo del Duemila contiene, pertanto, un messaggio di liberazione ad opera
dello Spirito, che solo può aiutare le persone e le comunità a
liberarsi dai vecchi e nuovi determinismi, guidandole con la "legge dello
Spirito, che dà vita in Cristo Gesù", così scoprendo
e attuando la piena misura della vera libertà dell'uomo. Infatti--come
scrive san Paolo--là "dove c'è lo Spirito del Signore, c'è
libertà". Tale rivelazione della libertà e, dunque, della
vera dignità dell'uomo acquista una particolare eloquenza per i cristiani
e per la Chiesa in stato di persecuzione--sia nei tempi antichi, sia in quello
presente: perché i testimoni della Verità divina diventano allora
una vivente verifica dell'azione dello Spirito di verità, presente nel
cuore e nella coscienza dei fedeli, e non di rado segnano col loro martirio
la suprema glorificazione della dignità umana. Anche nelle comuni condizioni
della società i cristiani, come testimoni dell'autentica dignità
dell'uomo, per la loro obbedienza allo Spirito Santo, contribuiscono al molteplice
"rinnovamento della faccia della terra", collaborando con i loro fratelli
per realizzare e valorizzare tutto ciò che nell'odierno progresso della
civiltà, della cultura, della scienza, della tecnica e degli altri settori
del pensiero e dell'attività umana, è buono, nobile e bello. Ciò
fanno come discepoli di Cristo, che--come scrive il Concilio--"con la sua
risurrezione costituito Signore,... opera nel cuore degli uomini con la virtù
del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò
stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi,
con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria
vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra". Così essi
affermano ancor più la grandezza dell'uomo, fatto a immagine e somiglianza
di Dio, grandezza che s'illumina al mistero dell'incarnazione del Figlio di
Dio, il quale "nella pienezza del tempo", per opera dello Spirito
Santo, è entrato nella storia e si è manifestato vero uomo, lui
generato prima di ogni creatura, "in virtù del quale esistono tutte
le cose e noi esistiamo per lui".
5. La Chiesa sacramento dell'intima unione con Dio
61. Avvicinandosi la conclusione del secondo Millennio, che deve ricordare a
tutti e quasi render di nuovo presente l'avvento del Verbo nella "pienezza
del tempo" la Chiesa ancora una volta intende penetrare nell'essenza stessa
della sua costituzione divino-umana e di quella missione, che la fa partecipare
alla missione messianica di Cristo, secondo l'insegnamento e il progetto sempre
valido del Concilio Vaticano II. Seguendo questa linea, possiamo risalire al
Cenacolo, dove Gesù Cristo rivela lo Spirito Santo come Paraclito, come
Spirito di verità, e parla della propria "dipartita" mediante
la Croce quale condizione necessaria della sua "venuta": "È
bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà
a voi il consolatore; ma, quando me ne sarò andato, ve lo manderò".
Abbiamo visto che questo annuncio ha avuto la prima realizzazione già
la sera del giorno di Pasqua e poi durante la celebrazione gerosolimitana della
Pentecoste, e che da allora esso si verifica nella storia dell'umanità
mediante la Chiesa. Alla luce di quell'annuncio prende pieno significato anche
ciò che Gesù, sempre durante l'Ultima Cena, dice a proposito della
sua nuova "venuta". È, infatti, significativo che nello stesso
discorso di addio egli annunci non solo la sua "dipartita", ma anche
la sua nuova "venuta". Dice appunto: "Non vi lascerò orfani,
ritornerò da voi". E nel momento del definitivo congedo, prima di
salire al Cielo, ripeterà ancora più esplicitamente: "Ecco
io sono con voi", lo sono "tutti i giorni, fino alla fine dei mondo".
Questa nuova "venuta" di Cristo, questo suo continuo venire per essere
con gli apostoli, con la Chiesa, questo suo "sono con voi fino alla fine
del mondo", non cambia certo il fatto della sua "dipartita".
Segue ad essa dopo la conclusione dell'attività messianica di Cristo
sulla terra, ed avviene nell'ambito del preannunciato invio dello Spirito Santo
e, per così dire, s'inscrive all'interno della sua stessa missione. E
tuttavia si compie per opera dello Spirito Santo, il quale fa sì che
il Cristo, che è andato via, venga ora e sempre in modo nuovo. Questo
nuovo venire di Cristo per opera dello Spirito Santo e la sua costante presenza
e azione nella vita spirituale si attuano nella realtà sacramentale.
In essa il Cristo, che è andato via nella sua umanità visibile,
viene, è presente e agisce nella Chiesa in modo talmente intimo da costituirla
come suo corpo. Come tale, la Chiesa vive opera e cresce "fino alla fine
del mondo". Tutto ciò avviene per opera dello Spirito Santo.
62. La più completa espressione sacramentale della "dipartita"
di Cristo per mezzo del mistero della Croce e della Risurrezione è l'Eucaristia.
In essa si realizza ogni volta sacramentalmente la sua venuta, la sua presenza
salvifica: nel sacrificio e nella comunione. Si realizza per opera dello Spirito
Santo, all'interno della sua propria missione. Mediante l'Eucaristia lo Spirito
Santo realizza quel "rafforzamento dell'uomo interiore", di cui parla
la Lettera agli Efesini. Mediante l'Eucaristia le persone e le comunità,
sotto l'azione del Paraclito consolatore, imparano a scoprire il senso divino
della vita umana, richiamato dal Concilio: quel senso, per cui Gesù Cristo
"svela pienamente l'uomo all'uomo", suggerendo "una certa similitudine
tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità
e nella carità". Una tale unione si esprime e si realizza specialmente
mediante l'Eucaristia, nella quale l'uomo, partecipando al sacrificio di Cristo,
che tale celebrazione attualizza, impara anche a "ritrovarsi... attraverso
un dono... di sé", nella comunione con Dio e con gli altri uomini,
suoi fratelli. Per questo i primi cristiani, sin dai giorni successivi alla
discesa dello Spirito Santo, "erano assidui nella frazione del pane e nelle
preghiere", formando in questo modo una comunità unita all'insegnamento
degli apostoli. Così essi "riconoscevano" che il loro Signore,
risorto e già asceso al cielo, nuovamente veniva in mezzo a loro, nella
comunità eucaristica della Chiesa e per suo mezzo. Guidata dallo Spirito
Santo, la Chiesa sin dall'inizio espresse e confermò se stessa mediante
l'Eucaristia. E così è stato sempre, in tutte le generazioni cristiane,
fino ai nostri tempi, fino a questa vigilia del compimento del secondo Millennio
cristiano. Certo, dobbiamo, purtroppo, constatare che questo Millennio, ormai
trascorso, è stato quello delle grandi separazioni tra i cristiani. Tutti
i credenti in Cristo, dunque, sull'esempio degli apostoli, dovranno mettere
ogni impegno nel conformare pensiero e azione alla volontà dello Spirito
Santo, "principio di unità della Chiesa", affinché tutti
i battezzati in un solo Spirito per costituire un solo corpo, si ritrovino fratelli
uniti nella celebrazione della medesima Eucaristia, "sacramento di pietà,
segno di unità, vincolo di carità!".
63. La presenza eucaristica di Cristo --il suo sacramentale "sono con voi"--
permette alla Chiesa di scoprire sempre più profondamente il proprio
mistero, come attesta tutta l'ecclesiologia del Concilio Vaticano II, per il
quale "la Chiesa è in Cristo come un sacramento, o segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano".
Come sacramento, la Chiesa si sviluppa dal mistero pasquale della "dipartita"
di Cristo, vivendo della sua sempre nuova "venuta" per opera dello
Spirito Santo, all'interno della stessa missione del Paraclito-Spirito di verità.
Proprio questo è il mistero essenziale della Chiesa, come professa il
Concilio. Se in forza della creazione Dio è colui nel quale noi tutti
"viviamo, ci muoviamo ed esistiamo", a sua volta la potenza della
redenzione perdura e si sviluppa nella storia dell'uomo e del mondo come in
un duplice "ritmo", la cui fonte si trova nell'eterno Padre. È
il ritmo, da un lato, della missione del Figlio, che è venuto nel mondo,
nascendo da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo; e, dall'altro, è
anche il ritmo della missione dello Spirito Santo, quale è stato rivelato
definitivamente da Cristo. Per la "dipartita" del Figlio, lo Spirito
è venuto e viene continuamente come consolatore e Spirito di verità.
E nell'ambito della sua missione, quasi nell'intimo dell'invisibile presenza
dello Spirito, il Figlio, che "era andato via" nel mistero pasquale,
"viene" ed è continuamente presente nel mistero della Chiesa,
ed ora si cela, ora si manifesta nella sua storia, sempre conducendone il corso.
Tutto ciò avviene in modo sacramentale per opera dello Spirito Santo,
il quale, attingendo alle ricchezze della redenzione di Cristo, continuamente
dà la vita. Nel prendere sempre più viva coscienza di questo mistero,
la Chiesa vede meglio se stessa soprattutto come sacramento. Ciò avviene
anche perché, per volere del suo Signore, mediante i vari Sacramenti
la Chiesa compie il suo ministero salvifico nei riguardi dell'uomo. Il ministero
sacramentale, ogni volta che si attua, porta con sé il mistero della
"dipartita" di Cristo mediante la Croce e la Risurrezione, in forza
della quale viene lo Spirito Santo. Viene e opera: "dà la vita".
I Sacramenti, infatti, significano la grazia e conferiscono la grazia: esprimono
la vita e danno la vita. La Chiesa è la dispensatrice visibile dei sacri
segni, mentre lo Spirito Santo vi agisce come il dispensatore invisibile della
vita che essi significano. Insieme con lo Spirito c'è ed agisce Cristo
Gesù.
64. Se la Chiesa è il sacramento dell'intima unione con Dio, tale è
in Gesù Cristo, in cui questa stessa unione si attua come realtà
salvifca. Tale è in Gesù Cristo per opera dello Spirito Santo.
La pienezza della realtà salvifica, che è il Cristo nella storia,
si diffonde in modo sacramentale nella potenza dello Spirito Paraclito. In questo
modo lo Spirito Santo è l'"altro consolatore", o nuovo consolatore,
perché mediante la sua azione la Buona Novella prende corpo nelle coscienze
e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo
Spirito Santo che dà la vita. Quando usiamo la parola "sacramento"
in riferimento alla Chiesa, dobbiamo tener presente che nel testo conciliare
la sacramentalità della Chiesa appare distinta da quella che è
propria, in senso stretto, dei Sacramenti. Leggiamo infatti: "La Chiesa
è... come un sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio".
Ma ciò che conta ed emerge dal senso analogico con cui la parola è
impiegata nei due casi, è il rapporto che la Chiesa ha con la potenza
dello Spirito Santo, colui che solo dà la vita: la Chiesa è segno
e strumento della presenza e dell'azione dello Spirito vivificante. Il Vaticano
II aggiunge che la Chiesa è "un sacramento... dell'unità
di tutto il genere umano". Si tratta evidentemente dell'unità che
il genere umano, in se stesso variamente differenziato, ha da Dio e in Dio.
Essa si radica nel mistero della creazione ed acquista una dimensione nuova
nel mistero della redenzione, in ordine all'universale salvezza. Poiché
Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza
della verità", la redenzione comprende tutti gli uomini e, in certo
modo, tutta la creazione. Nella stessa universale dimensione della redenzione
agisce, in forza della "dipartita" di Cristo, lo Spirito Santo. Perciò
la Chiesa, radicata mediante il suo proprio mistero nell'economia trinitaria
della salvezza, a buon diritto intende se stessa come "sacramento dell'unità
di tutto il genere umano". Essa sa di esserlo per la potenza dello Spirito
Santo, della quale è segno e strumento nell'attuazione del piano salvifico
di Dio. In questo modo si realizza la "condiscendenza" dell'infinito
amore trinitario: l'avvicinarsi di Dio, Spirito invisibile, al mondo visibile.
Dio uno e trino si comunica all'uomo nello Spirito Santo sin dall'inizio mediante
la sua "immagine e somiglianza". Sotto l'azione dello stesso Spirito
l'uomo e, per suo mezzo, il mondo creato, redento da Cristo, si avvicinano ai
loro definitivi destini in Dio. Di questo avvicinamento dei due poli della creazione
e della redenzione, Dio e l'uomo, la Chiesa è "un sacramento, cioè
segno e strumento". Essa opera per ristabilire e rafforzare l'unità
alle radici stesse del genere umano: nel rapporto di comunione che l'uomo ha
con Dio come suo Creatore, Signore e Redentore. E una verità che, in
base all'insegnamento del Concilio, possiamo meditare, spiegare e applicare
in tutta l'ampiezza del suo significato in questa fase di passaggio dal secondo
al terzo Millennio cristiano. E ci è caro prendere una coscienza sempre
più viva del fatto che dentro l'azione svolta dalla Chiesa nella storia
della salvezza, inscritta nella storia dell'umanità, è presente
e operante lo Spirito Santo, colui che col soffio della vita divina pervade
il pellegrinaggio terreno dell'uomo e fa confluire tutta la creazione--tutta
la storia--al suo termine ultimo, nell'oceano infinito di Dio.
6. Lo Spirito e la Sposa dicono: "Vieni!"
65. Il soffio della vita divina, lo Spirito Santo, nella sua maniera più
semplice e comune, si esprime e si fa sentire nella preghiera. È bello
e salutare pensare che, dovunque si prega nel mondo, ivi è lo Spirito
Santo, soffio vitale della preghiera. È bello e salutare riconoscere
che, se la preghiera è diffusa in tutto l'orbe, nel passato, nel presente
e nel futuro, altrettanto estesa è la presenza e l'azione dello Spirito
Santo, che "alita" la preghiera nel cuore dell'uomo in tutta la gamma
smisurata delle situazioni più diverse e delle condizioni ora favorevoli,
ora avverse alla vita spirituale e religiosa. Molte volte, sotto l'azione dello
Spirito, la preghiera sale dal cuore dell'uomo nonostante i divieti e le persecuzioni,
e persino le proclamazioni ufficiali circa il carattere areligioso, o addirittura
ateo della vita pubblica. La preghiera rimane sempre la voce di tutti coloro
che apparentemente non hanno voce--e in questa voce risuona sempre quel "forte
grido", attribuito a Cristo dalla Lettera agli Ebrei. La preghiera è
anche la rivelazione di quell'abisso, che è il cuore dell'uomo: una profondità,
che è da Dio e che solo Dio può colmare, proprio con lo Spirito
Santo. Leggiamo in Luca: "Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare
cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà
lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! ". Lo Spirito Santo è
il dono, che viene nel cuore dell'uomo insieme con la preghiera. In questa egli
si manifesta prima di tutto e soprattutto come il dono, che "viene in aiuto
alla nostra debolezza". È il magnifico pensiero sviluppato da san
Paolo nella Lettera ai Romani quando scrive: "Noi nemmeno sappiamo che
cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza
per noi, con gemiti inesprimibili". Dunque, lo Spirito Santo non solo fa
sì che preghiamo, ma ci guida "dall'interno" nella preghiera,
supplendo alla nostra insufficienza, rimediando alla nostra incapacità
di pregare: egli è presente nella nostra preghiera e le dà una
dimensione divina. Così "colui che scruta i cuori sa quali sono
i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo
i disegni di Dio". La preghiera per opera dello Spirito Santo diventa l'espressione
sempre più matura dell'uomo nuovo, che per mezzo di essa partecipa alla
vita divina. La nostra difficile epoca ha uno speciale bisogno della preghiera.
Se nel corso della storia--ieri come oggi-- numerosi uomini e donne hanno dato
testimonianza dell'importanza della preghiera, consacrandosi alla lode di Dio
e alla vita di orazione soprattutto nei monasteri con grande vantaggio per la
Chiesa, in questi anni va pure crescendo il numero delle persone che, in movimenti
e gruppi sempre più estesi, mettono al primo posto la preghiera ed in
essa cercano il rinnovamento della vita spirituale. È questo un sintomo
significativo e consolante, giacché da tale esperienza è derivato
un reale contributo alla ripresa della preghiera tra i fedeli, che sono stati
aiutati a meglio considerare lo Spirito Santo come colui che suscita nei cuori
un profondo anelito alla santità. In molti individui e in molte comunità
matura la consapevolezza che, pur con tutto il vertiginoso progresso della civiltà
tecnico-scientifica, nonostante le reali conquiste e le mète raggiunte,
l'uomo è minacciato, l'umanità è minacciata. Dinanzi a
questo pericolo, e anzi sperimentando già la paurosa realtà della
decadenza spirituale dell'uomo, persone singole e intere comunità, quasi
guidate da un senso interiore della fede, cercano la forza capace di risollevare
l'uomo, di salvarlo da se stesso, dai propri sbagli e abbagli, che spesso rendono
nocive le sue stesse conquiste. E così scoprono la preghiera, nella quale
si manifesta lo "Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza".
In questo modo i tempi, in cui viviamo, avvicinano allo Spirito Santo molte
persone, che ritornano alla preghiera. Ed io confido che tutte trovino nell'insegnamento
di questa Enciclica un nutrimento per la loro vita interiore e riescano ad irrobustire,
sotto l'azione dello Spirito, il loro impegno di preghiera in consonanza con
la Chiesa e col suo Magistero.
66. In mezzo ai problemi, alle delusioni e alle speranze, alle diserzioni e
ai ritorni di questi tempi, la Chiesa rimane fedele al mistero della sua nascita.
Se è un fatto storico che la Chiesa è uscita dal Cenacolo il giorno
di Pentecoste, in un certo senso si può dire che non lo ha mai lasciato.
Spiritualmente l'evento della Pentecoste non appartiene solo al passato: la
Chiesa è sempre nel Cenacolo, che porta nel cuore. La Chiesa persevera
nella preghiera, come gli apostoli insieme a Maria, Madre di Cristo, ed a coloro
che in Gerusalemme costituivano il primo germe della comunità cristiana
e attendevano, pregando, la venuta dello Spirito Santo. La Chiesa persevera
nella preghiera con Maria. Questa unione della Chiesa orante con la Madre di
Cristo fa parte del mistero della Chiesa fin dall'inizio: noi la ve diamo presente
in questo mistero, come è presente in quello di suo Figlio. Ce lo dice
il Concilio: "La Beata Vergine..., adombrata dallo Spirito Santo, ... diede
alla luce il Figlio, che Dio ha posto quale primogenito tra molti fratelli (Rm8,29),
cioè tra i fedeli, alla cui rigenerazione e formazione essa coopera con
materno amore". ella è "per le sue singolari grazie e funzioni...
intimamente congiunta con la Chiesa: è figura della Chiesa". "La
Chiesa, contemplando l'arcana santità di lei ed imitandone la carità,
diventa anch'essa madre" e "ad imitazione della Madre del suo Signore,
con la virtù dello Spirito Santo, conserva verginalmente integra la fede,
salda la speranza, sincera la carità: essa pure (cioè la Chiesa)
è vergine, che custodisce... la fede data allo Sposo". Si capisce
così il senso profondo del motivo, per cui la Chiesa, unita con la Vergine
Madre, si rivolge ininterrottamente quale Sposa al suo divino Sposo, come attestano
le parole dell'Apocalisse, riportate dal Concilio: "Lo Spirito e la Sposa
dicono al Signore Gesù: "Vieni!"". La preghiera della
Chiesa è questa invocazione incessante, nella quale "lo Spirito
stesso intercede per noi": in certo modo, egli stesso la pronuncia con
la Chiesa e nella Chiesa. Lo Spirito, infatti, è dato alla Chiesa, affinché
per la sua potenza tutta la comunità del Popolo di Dio, per quanto largamente
ramificata e varia, perseveri nella speranza: in quella speranza, nella quale
"siamo stati salvati". È la speranza escatologica, la speranza
del definitivo compimento in Dio, la speranza del Regno eterno, che si attua
nella partecipazione alla vita trinitaria. Lo Spirito Santo, dato agli apostoli
come consolatore, è il custode e l'animatore di questa speranza nel cuore
della Chiesa. Nella prospettiva del terzo Millennio dopo Cristo, mentre "lo
Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni!"",
questa loro preghiera è carica, come sempre, di una portata escatologica,
destinata a dare pienezza di significato anche alla celebrazione del grande
Giubileo. E una preghiera rivolta in direzione dei destini salvifici, verso
i quali lo Spirito Santo apre i cuori con la sua azione attraverso tutta la
storia dell'uomo sulla terra. Nello stesso tempo, però, questa preghiera
si orienta verso un preciso momento della storia, in cui è messa in rilievo
la "pienezza del tempo", scandita dall'anno Duemila. A questo Giubileo
la Chiesa desidera prepararsi nello Spirito Santo, come dallo Spirito Santo
fu preparata la Vergine di Nazareth, nella quale il Verbo si fece carne.
CONCLUSIONE
67. Vogliamo concludere queste considerazioni nel cuore della Chiesa e nel cuore
dell'uomo. La via della Chiesa passa attraverso il cuore dell'uomo, perché
è qui il luogo recondito dell'incontro salvifico con lo Spirito Santo,
col Dio nascosto, e proprio qui lo Spirito Santo diventa "sorgente di acqua,
che zampilla per la vita eterna". Qui egli giunge come Spirito di verità
e come Paraclito, quale è stato promesso da Cristo. Di qui egli agisce
come consolatore, intercessore, avvocato--specialmente quando l'uomo, o l'umanità,
si trova davanti al giudizio di condanna di quell'"accusatore", del
quale l'Apocalisse dice che "accusa i nostri fratelli davanti al nostro
Dio giorno e notte". Lo Spirito Santo non cessa di essere il custode della
speranza nel cuore dell'uomo: della speranza di tutte le creature umane e, specialmente,
di quelle che "possiedono le primizie dello Spirito" ed "aspettano
la redenzione del loro corpo". Lo Spirito Santo, nel suo misterioso legame
di divina comunione col Redentore dell'uomo, è il realizzatore della
continuità della sua opera: egli prende da Cristo e trasmette a tutti,
entrando incessantemente nella storia del mondo attraverso il cuore dell'uomo.
Qui egli diventa --come proclama la Sequenza liturgica della solennità
di Pentecoste-- vero "padre dei poveri, datore dei doni luce dei cuori";
diventa "dolce ospite dell'anima", che la Chiesa saluta incessantemente
sulla soglia dell'intimità di ogni uomo. Egli, infatti, porta "riposo
e riparo" in mezzo alle fatiche, al lavoro delle braccia e delle menti
umane; porta "riposo" e "sollievo" in mezzo alla calura
del giorno, in mezzo alle inquietudini, alle lotte e ai pericoli di ogni epoca;
porta, infine, la "consolazione", quando il cuore umano piange ed
è tentato dalla disperazione. Per questo, la stessa Sequenza esclama:
"Senza la tua forza nulla è nell'uomo, nulla è senza colpa".
Solo lo Spirito Santo, infatti, "convince del peccato", del male,
allo scopo di instaurare il bene nell'uomo e nel mondo umano: per "rinnovare
la faccia della terra". Perciò, egli opera la purificazione da tutto
ciò che "deturpa" l'uomo, da "ciò che è
sordido"; cura le ferite anche più profonde dell'umana esistenza;
cambia l'interiore aridità delle anime, trasformandole in fertili campi
di grazia e di santità. Quello che è "rigido - lo piega",
quello che è "gelido - lo riscalda", quello che è "sviato
- lo raddrizza" lungo le vie della salvezza. Pregando così, la Chiesa
incessantemente professa la sua fede: c'è nel nostro mondo creato uno
Spirito che è un dono increato. È questi lo Spirito del Padre
e del Figlio: come il Padre e il Figlio, è increato, immenso, eterno,
onnipotente, Dio, Signore. Questo Spirito di Dio "riempie l'universo",
e tutto ciò che è creato in lui riconosce la fonte della propria
identità, in lui trova la propria trascendente espressione, a lui si
volge e lo attende, lo invoca col suo stesso essere. A lui, come a Paraclito,
a Spirito di verità e di amore, si rivolge l'uomo che vive di verità
e di amore e che senza la fonte della verità e dell'amore non può
vivere. A lui si rivolge la Chiesa, che è il cuore dell'umanità,
per invocare per tutti ed a tutti dispensare quei doni dell'amore, che per mezzo
suo "è stato riversato nei nostri cuori". A lui si rivolge
la Chiesa lungo le intricate vie del pellegrinaggio dell'uomo sulla terra: e
chiede, incessantemente chiede la rettitudine degli atti umani come opera sua;
chiede la gioia e la consolazione, che solo lui, il vero consolatore, può
portare scendendo nell'intimo dei cuori umani; chiede la grazia delle virtù,
che meritano la gloria celeste; chiede la salvezza eterna, nella piena comunicazione
della vita divina, a cui il Padre ha eternamente "predestinato" gli
uomini, creati per amore ad immagine e somiglianza della Santissima Trinità.
La Chiesa col suo cuore, che in sé comprende tutti i cuori umani, chiede
allo Spirito Santo la felicità, che solo in Dio ha la sua completa attuazione:
la gioia "che nessuno potrà togliere", la gioia che è
frutto dell'amore e, dunque, di Dio che è amore; chiede "la giustizia,
la pace e la gioia nello Spirito Santo", in cui, secondo san Paolo, consiste
il Regno di Dio. Anche la pace è frutto dell'amore: quella pace interiore,
che l'uomo affaticato cerca nell'intimo del suo essere. quella pace chiesta
dall'umanità, dalla famiglia umana dai popoli, dalle nazioni, dai continenti,
con una trepida speranza di ottenerla nella prospettiva del passaggio dal secondo
al terzo Millennio cristiano. Poiché la via della pace passa in definitiva
attraverso l'amore e tende a creare la civiltà dell'amore, la Chiesa
fissa lo sguardo in colui che è l'amore del Padre e del Figlio e, nonostante
le crescenti minacce, non cessa di aver fiducia, non cessa di invocare e di
servire la pace dell'uomo sulla terra. La sua fiducia si fonda su colui che,
essendo lo Spirito-amore, è anche lo Spirito della pace e non cessa di
esser presente nel nostro mondo umano, sull'orizzonte delle coscienze e dei
cuori, per "riempire l'universo" di amore e di pace. Davanti a lui
io m'inginocchio al termine di queste considerazioni, implorando che, come Spirito
del Padre e del Figlio, egli conceda a noi tutti la benedizione e la grazia,
che desidero trasmettere, nel nome della Santissima Trinità, ai figli
e alle figlie della Chiesa ed all'intera famiglia umana.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 18 maggio, Solennità di Pentecoste, dell'anno 1986, ottavo del mio Pontificato.