LUCREZIO - DE RERUM NATURA - La Primavera
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La Primavera

1)A prima vista può stupire il fatto che Lucrezio dedichi gran parte del proemio della sua opera più importante, il De Rerum Natura, ad una dea, Venere, essendo Lucrezio un antireligioso convinto. Leggendo con attenzione l'opera, però, si può notare che Venere non è mai descritta in maniera completa, se non con qualche cenno: tereti cervice, eque tuo, corpore sancto, ex ore sono le uniche espressioni di fisicità che abbiamo nell'inizio del poema. Non sembra azzardata, quindi, l'ipotesi che Lucrezio, parlando di Venere, intendesse in realtà la Natura, madre di tutte le cose. Qual è, dunque, la migliore espressione della Natura nel mondo, se non la primavera? Si può analizzare la visione di Lucrezio della primavera, quindi, analizzando la sua descrizione di Venere.
Lucrezio inizia il primo libro della sua opera con Aenaedum genetrix, cioè, per trasposizione, generatrice di tutti gli uomini. Questo è dunque il primo significato che Lucrezio ci pone, cioè una primavera generatrice, creatrice di vita. Ancora più risalto a questo suo compito dà l'aggettivo alma, che è addirittura un epiteto diretto a Venere, appartenente al campo semantico della fecondità. Quindi la primavera viene vista come il principio, ciò da cui tutto ha origine, ed assume un forte carico di vita. Questo principio vitale, poi, ha molti risultati: terras frugiferentis, suavis daedala tellus summittit flores, perculsae corda tua vi, e così via. E' da notare, inoltre, come un verso carichi di significato questo principio vitale, portandolo veramente all'origine di tutte le cose: visit exortum lumina solis. Questa frase porta il lettore all'inizio della vita, cioè quando un essere vivente per la prima volta apre gli occhi e vede la luce del sole, trasportando il concetto di primavera all'estremo inizio. La primavera, inoltre, è la sola a fare ciò, e Lucrezio lo sottolinea con sola gubernas. Il suo compito, alla fine, è di continuare questo spirito procreatore, e per far ciò lo infonde ad ogni essere vivente, dando quindi ogni volta un nuovo stimolo al cerchio della vita.
Un altro significato importante si trova concentrato in hominum divumque voluptas. Il primo scopo di questa frase è di dare alla primavera la suprema potenza, cioè allargando il suo governo ad ogni uomo e ad ogni dio, rendendola così superiore. Ma il vero scopo risiede nell'ultima parola: voluttà, piacere. Oltre a portatrice di vita, quindi, la primavera si fa anche portatrice di piacere, ma non un piacere qualunque, bensì un piacere cosmico, che penetra in ogni parte del mondo ed ha potere su tutto: testimoni di questo sono le frasi tibi rident aequora ponti, placatum nitet, aeriae volucres te, per pectora amorem e così via.
A Lucrezio questo non basta e nella sua invocazione prega Venere di un'altra cosa: tu sola potes tranquilla pace iuvare mortalis. Per rendere l'idea di come possa la primavera fare ciò, Lucrezio usa una metafora: Venere che riesce a placare Marte usando le arti del piacere. E' proprio il piacere, dunque, che con la sua potenza riesce a dominare ciò che c'è nel mondo di malvagio e bestiale, portando così una pace universale.
La visione di Lucrezio della primavera, in conclusione, è molto ottimistica e si riduce a poche parole: portatrice di vita, di piacere e di pace.
2)Foscolo pone l'apice della primavera in tempi diversi rispetto a Lucrezio: nel De Rerum Natura la primavera si vedeva appieno nel suo inizio, cioè appena finito l'inverno, quando fugiunt venti e nubila caeli. In più è pieno giorno, dato che gli esseri viventi hanno aperto gli occhi vedendo la luce del sole. Invece il Foscolo pensa alla primavera "migliore" come un giorno di maggio, quando è già ben sviluppata ed inizia a dare i suoi frutti, e soprattutto la pensa di notte. Questo aspetto si può identificare più chiaramente in due opere: un brano delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, e più precisamente il bacio del 14 maggio, e un sonetto della raccolta Poesie, e più precisamente Forse perché della fatal quiete. Nel primo brano, infatti, si ha una lunga descrizione della natura, che può essere paragonata in molti passi alla descrizione di Lucrezio, formando anch'essa, quindi, un'ode alla Natura: "I fiori esalavano un odore soave", scrive Foscolo, mentre Lucrezio parla di suavis flores. "I rivi risuonavano" e Lucrezio narra di rapacis fluvios. "Il lamentare degli augelli, e il bisbiglio de' zefiri" sono tutte immagini che si possono ritrovare nel proemio di Lucrezio. Gli zefiri si ritrovano in un sonetto del Foscolo, Forse perché della fatal quiete: "ti corteggian liete le nubi estive e i zefiri sereni". Anche in questo caso le nubi sono estive, quindi a primavera avanzata, e chiaramente il sonetto è ambientato durante l'oscurità, dato che è dedicato alla sera.
I significati che Lucrezio ha dato alla primavera li ritroviamo anche in Foscolo: è generatrice, poiché grazie a lei "le piante si fecondano" (15 maggio, Ultime lettere di Jacopo Ortis); è portatrice di piacere e questo tema Foscolo lo riprende sistematicamente nelle sue descrizione, per esempio "son oggi più soavi che mai"; infine è portatrice di pace e questo è bene espresso nel sonetto citato sopra. A riprova di tutto questo nell'ode All'amica risanata il Foscolo parla di "Citera e Cipro ove perpetua odora primavera" in un contesto di lode, quindi dando ancora alla primavera un significato di apportatrice di bene. Nel Dei Sepolcri Foscolo assume due atteggiamenti diversi rispetto alla primavera, ricalcando la struttura da testo argomentativo dell'intero carme: all'inizio si distacca subito da Lucrezio, poiché non accetta l'eternità della primavera ("Ove più il Sole per me alla terra non fecondi questa bella d'erbe famiglia e d'animali"), ma dopo cambia idea, dando alla Natura comunque una funzione eternatrice, utilizzando la solita immagine degli zefiri ("Ma cipressi e cedri i puri effluvi i zefiri impregnando perenne verde protendean su l'urne").
Nella lettera del 15 maggio delle Ultime lettere di Jacopo Ortis notiamo però una frase che cambia le carte in tavola: "Se tu fuggissi la Terra diverrebbe ingrata" e prima ancora "Dopo quel bacio mi pare che tutto s'abbellisca a' miei sguardi". Dunque la primavera non è così potente, se basta una donna a disintegrare ogni suo effetto? Ma soprattutto, dov'era la primavera prima del famoso bacio, se solo dopo di esso Ortis si è accorto che esistesse? La primavera non è più un evento a sé stante, allora, ma, in questo caso, è direttamente collegato all'Amore, che cessa di essere un effetto della primavera e ne diventa una causa. Ma dal mio punto di vista il Foscolo è andato più in là. Infatti non ha localizzato la primavera con una banale stagione dell'anno, ma l'ha posta direttamente nell'animo umano. La primavera, dunque, diventa uno stato d'animo, causa ed effetto dell'amore, che porta vita, piacere, trasformato in bellezza, e pace, che si può pensare anche come armonia. Qualunque sia la stagione dell'anno è lo stato d'animo che comanda le vere stagioni, così, anche se è inverno, il mondo si può vedere come bello, armonioso e vitale, basta che ci sia la primavera dentro se stessi, valendo naturalmente anche il contrario.
3)Mary Shelley, nel suo Frankestein, usa molto le stagioni, ma non sempre la primavera ha le stesse funzioni degli altri due autori. L'uso della primavera che fa la prima volta è classico: Dr Frankestein, dopo aver creato il mostro ed essere rimasto alterato di mente a causa dello shock per un paio d'anni, ritorna normale e felice in primavera. La primavera, quindi, ha un effetto di rinascita, quindi ancora portatrice di vita, di piaceri e di pace. Ma manca una delle sue funzioni essenziali: la cacciata degli effetti negativi dell'inverno. Manca questa funzione non tanto perché gli effetti rimangano, tanto perché gli effetti dell'inverno non vengono visti sempre in modo negativo, ma ogni tanto l'esatto opposto. Il protagonista, infatti, ha una delle sue più belle passeggiate proprio d'inverno, tra i monti, durante una nevicata, e proprio in quel momento ha dimenticato tutti i suoi pensieri, rinascendo un'altra volta. Questo non vuol dire che l'inverno non viene negativizzato: molte delle scene più tragiche avvengono d'inverno: la creazione del mostro, l'uccisione dei parenti del Dr Frankestein e così via. Ma la primavera, in questo modo, viene privata dell'esclusività del suo potere, quindi non è più vero che sola gubernas, ma anche la maestosità dell'inverno, l'esplosione dell'estate e la velata malinconia dell'autunno possono aiutarla nel suo compito di apportatrice di piacere e di pace, anche se sempre a lei rimane il trono di creatrice della vita. Questo aspetto si può vedere come un riflesso della cultura inglese dei romantici: basta rivedere qual è la loro visione di sublime. Il sublime è ciò che turba le menti, che lascia senza fiato, e i romantici non possono che provare piacere davanti a questa manifestazione dell'irrazionalità umana. Ma cosa può provocare il sublime? Non solo aspetti della natura piacevoli, come può essere il suo risveglio in primavera, e monumentali, ma anche ciò che fa paura, come profondi crepacci o lo stesso inverno, che porta ogni anno il ricordo della morte vivo nella mente di ogni uomo. Non c'è da stupirsi, dunque, se una tempesta estiva o una bufera di neve, secondo la visione romantica, possono essere considerate apportatrici di piacere.
4)Queste tre poesie hanno un punto in comune, che contrasta direttamente con i tre autori analizzati prima: la primavera, per loro, non è più un elemento da analizzare, da esaltare. Per loro, infatti, diventa semplicemente un espediente narrativo, un'immagine già presente nella mente del lettore, usata per i loro scopi letterari. Nonostante questo descrizioni della primavera ci sono in tutte e tre le poesie. Ma sono tutte e tre diverse e con scopi diversi. Catullo non scrive una vera e propria descrizione della primavera, ma dà solo un piccolo cenno: egelidos refert tepores, iam caeli furor aequinoctialis iocundis Zephyri silescit aureis. Si affida, dunque, alla visione del lettore della primavera. Non tenta di darne una descrizione positiva né di esaltarla, scrive semplicemente che è arrivata, solamente accennandola positivamente, in modo che il lettore si diriga con i suoi pensieri sulla parte positiva della primavera. Dopo avergli lasciato il tempo di ricostruirsi la "sua" primavera, Catullo descrive a chi legge le sue sensazioni, la sua voglia di tornare nella sua patria e di fuggire l'esilio. Catullo vuole che questo sia visto come un pensiero positivo, ma non fa nulla per descriverlo come tale, semplicemente dà la colpa di questo alla primavera. Come può la primavera, che scaccia la furia dell'inverno, essere malvagia?
Al contrario Petrarca, che non dà solo un cenno, ma una lunga descrizione, sembra avvicinarsi nelle prime quartine alla visione di Lucrezio: rinascita della natura, piacere dei prati e del cielo, riferimenti mitici, amore tra gli esseri viventi. Per questo motivo il sonetto del Petrarca è quello che più si allontana dal punto in comune delle tre poesie. Si avvicina, poi, nelle ultime due terzine: allora si scopre che la descrizione benigna iniziale della poesia serve solo a far risaltare lo stato negativo del suo animo. In questo caso il sonetto si avvicina molto alla visione della primavera del Foscolo: la primavera, come stagione, non è onnipotente. E' all'interno dell'animo dell'uomo che ci deve essere primavera, altrimenti il bel tempo primaverile è assolutamente inutile, diventa anzi doloroso agli occhi del triste, così poco in sintonia con la natura circostante.
Shakespeare si evidenzia nettamente rispetto ad ogni autore che abbiamo visto: la sua descrizione della primavera è completamente diversa, per molti versi opposta. Gli aspetti della primavera citati sono pochi: buds of May (boccioli di Maggio), eye of heaven (occhio del cielo, cioè il sole) e pochi altri più dissimulati. Questo perché la sua descrizione della primavera non è più positiva, ma nettamente negativa. E' breve, il sole è troppo caldo e le nubi lo coprono continuamente, ma soprattutto finisce. Ancora una volta questa descrizione non viene usata come assioma filosofico. Naturalmente il fine di Shakespeare non era di convincere il pubblico che la primavera non fosse pari alla bellezza che le si dava, ma voleva semplicemente dimostrare che la sua amata (o il suo amato?) era molto meglio della primavera e non aveva confronti.
In conclusione la primavera è una stagione che con la sua rigogliosità ha ispirato molti poeti, con risultati diversi, ma tutti (le ultime tre poesie analizzate ce l'hanno fatto capire meglio) hanno un punto in comune: la primavera è sicuramente la stagione più felice dell'anno. Perfino Shakespeare, che ne fa una descrizione negativa, in realtà parte proprio dal fatto che la primavera è molto positiva, altrimenti la sua ode non sarebbe certo un complimento, ma un semplice dato di fatto. I suoi colori, la sua vivacità hanno ispirato molti altri artisti e in molti altri campi: basta pensare a Botticelli o a Vivaldi, con le loro opere comunque molto mosse. Ma sarà sempre così? Non è forse vero che la primavera sta scomparendo, a causa dell'aumento inverosimile del dominio della torrida estate? A cosa sono valsi i versi di tutti questi grandi autori, se l'effetto serra continua a distruggere sempre più di questa magnifica stagione? Sono domande purtroppo senza alcun interlocutore, domande che si spera un giorno non abbiano più senso.

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