Paradiso
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CANTO PRIMO
1-36. PROEMIO AL PARADISO. Dichiarato l'argomento del suo canto, Dante invoca Apollo: se il dio della poesia lo aiuterà nel suo compito, egli potrà sperare nella corona d'alloro, il cui solo desiderio sarà al nume tanto più gradito quanto più raro è sulla terra, "colpa e vergogna de l'umane voglie".
37-81. TRASUMANAZIONE E ASCENSIONE DI DANTE. Riprende la narrazione del viaggio rimasta interrotta con la fine della seconda cantica e il proemio della terza. Indicato il momento cronologico dell'azione, Dante narra che, tornato dall'Eunoè, vede Beatrice volta a sinistra a fissare il sole. Anch'egli fa altrettanto e, riuscendo a figgervi gli occhi, scorge una grande luce. Tornato con lo sguardo a Beatrice si sente trasumanare: pur non accorgendosene, sta salendo con la sua donna verso il cielo, solo da un fatto nuovo è colpito: una dolce armonia e una straordinaria luminosità.
82-93. PRIMO DUBBIO DI DANTE. La novità della dolce armonia e della grande luminosità suscita in Dante il desiderio di conoscerne la ragione, poiché egli crede di essere ancora sulla terra. Beatrice, che legge il dubbio nella mente di Dante, senza essere interrogata, gli spiega che essi stanno salendo velocissimamente verso il cielo.
94-142. SECONDO DUBBIO E SOLUZIONE DI BEATRICE: L?ORDINE DELL?UNIVERSO. Sorge in Dante un nuovo dubbio. Come mai egli, corpo pesante, possa trascendere "questi corpi levi". Ne chiede la ragione a Beatrice e questa gli spiega come tutte le cose siano ordinate e dirette al proprio fine, per raggiungere il quale una forza speciale, l'istinto, dà loro impulso. Il fine dell'uomo è Dio, da cui però la creatura può, ingannata da beni fallaci, deviare volontariamente. Ma Dante è purificato e libero di ogni legame terreno e per questa forza naturale tende verso Dio. Ci sarebbe invece da meravigliarsi se in tale rinnovellata condizione fosse rimasto sulla terra, come se la fiamma viva non tendesse in alto verso la propria sfera.

CANTO SECONDO
1-18. MONITO AI LETTORI. Dante, prima di proseguire nella narrazione del suo viaggio, si rivolge ai lettori ammonendoli a considerare le proprie forze e a ben riflettere se possano seguirlo ancora nell'ardua materia del suo canto. Fin qui hanno potuto intenderlo, ma ora la materia che egli tratta è difficile e nuova e solo coloro, che per tempo si sono rivolti ai più alti studi filosofici e teologici, possono seguirlo e comprenderlo. Udiranno allora inaudite meraviglie.
19-45. DANTE E BEATRICE GIUNGONO AL CIELO DELLA LUNA. Beatrice, guardando in alto, e Dante, in lei, sono sospinti velocemente verso il cielo, in minor tempo di quanto un dardo si stacca dalla corda dell'arco e giunge al bersaglio. Giungono così al primo cielo e la donna invita il poeta a ringraziare dio in ciò. A Dante sembra d'essere penetrato in una nube "lucida, spessa, solida e pulita", splendente come un diamante al sole, si stupisce come egli, corpo, possa esser penetrato nella compattezza di un altro corpo, e paragona il fatto prodigioso al raggio di luce che penetra nella massa dell'acqua senza disunirla.
46-105. TEORIA DELLE MACCHIE LUNARI: BEATRICE CONFUTA L?OPINIONE DI DANTE. Dichiarata la propria gratitudine a Dio, Dante chiede a Beatrice spiegazione sulle macchie lunari. Prima di procedere alla dimostrazione della verità, Beatrice vuole sapere l'opinione di Dante in proposito e questi spiega come, secondo lui, le macchie lunari dipendano da maggiore o minore densità della materia. Beatrice, con due ragionamenti, uno di ordine generale, e uno basato sull'esperienza, confuta l'opinione di Dante.
106-148. TEORIA DELLE MACCHIE LUNARI: BEATRICE NE SPIEGA LA VERA RAGIONE. Confutata la teoria di Dante, Beatrice si accinge a spiegare la vera ragione delle macchie lunari. La teoria esposta si basa su presupposti metafisici e investe il problema più generale delle influenze celesti, in quanto la maggiore o minore luminosità degli astri non è se non il modo in cui si manifesta la virtù delle intelligenze motrici.

CANTO TERZO
1-33. APPARIZIONE DELLE ANIME BEATE. Dante alza il capo verso Beatrice per dichiarare di aver compreso la verità sulle macchie lunari, ma una improvvisa visione lo distrae. Gli appaiono i volti di varie anime, ma così tenui da sembrare immagini riflesse in un vetro trasparente o in acque nitide. Credendo appunto di vedere delle immagini riflesse, Dante si volge indietro, ma non scorge nulla. Stupito, guarda Beatrice che, sorridendo, gli spiega che si tratta veramente di spiriti beati relegati qui per non aver adempiuto ai voti fatti, e lo invita a parlare con essi fiduciosamente.
34-57. PICCARDA DONATI. Dante si rivolge a quell'anima che dimostra più intensamente il desiderio di parlare e le chiede chi sia e quale è la situazione dei beati in quel cielo. L'anima dichiara di essere Piccarda Donati e spiega come essa e gli altri spiriti che la circondano siano in quel cielo, che è il più basso di tutti, per non aver adempiuto sino alla fine ai voti fatti.
58-90. PICCARDA SPIEGA A DANTE I VARI GRADI DI BEATITUDINE. Dante, dopo aver dichiarato che la nuova bellezza di Piccarda gli aveva impedito un pronto riconoscimento, chiede se queste anime, collocate nel più basso dei cieli, non sentano il desiderio di stare in un cielo più alto. Piccarda, insieme con le altre anime, sorride e poi risponde che i beati vogliono ciò che Dio vuole, e proprio in tale adeguarsi della loro volontà alla volontà divina sta la loro beatitudine.
91-108. SPIEGAZIONE DELL'INADEMPIENZA DEL VOTO. Dante ringrazia della spiegazione ottenuta, e chiede ancora a Piccarda quale sia stato il voto da lei non adempiuto. Essa narra allora di essersi da giovane ritirata dal mondo, facendosi suora nell'ordine di S.Chiara; ma purtroppo uomini, adusati al male, la trassero violentemente dal chiostro e solo Dio sa la tristezza della sua vita successiva.
109-120. PICCARDA ADDITA LO SPIRITO DI COSTANZA IMPERATRICE. Piccarda indica un'anima luminosa alla sua destra, che comprende bene ciò che essa dice di sé, perché vittima lei pure della violenza: monaca, fu con la forza strappata al convento, anche se rimase nel cuore fedele alle "sacre bende". Essa è la luce dell'imperatrice Costanza, che generò l'ultima "possanza" dell'Impero.
121-130. SPARIZIONE DELLE ANIME. Terminato il suo discorso, Piccarda intona l'Ave Maria e cantando svanisce a poco a poco insieme con le altre anime. Dante la segue fin che può con lo sguardo, poi rivolge gli occhi a Beatrice; ma il fulgore di lei lo sopraffà in tal modo che non riesce neppure a rivolgerle la domanda che intendeva farle.

CANTO SESTO
1-27. RISPOSTA ALLA PRIMA DOMANDA: GIUSTINIANO NARRA LA SUA VITA. Lo spirito, rispondendo alla prima domanda del poeta, dichiara di essere Giustiniano, portatore dell'Aquila romana dopo più di duecento anni che Costantino ne aveva trasferito la sede in oriente. Parla poi della sua conversione alla fede vera e della sua opera legislativa.
28-36. RAGIONI DELLA DIGRESSIONE SULL'IMPERO. Data risposta alla prima domanda del poeta, Giustiniano afferma che la natura stessa di tale risposta, con l'accenno all'aquila romana, lo obbliga ad indicare come erroneamente agiscano i Guelfi e i Ghibellini, gli uni combattendo "il sacrosanto segno", gli altri indebitamente appropriandoselo. Si tratta della lunga storia dell'Impero, che lo rende degno di riverenza.
37-54. STORIA DELL'AQUILA ROMANA: L'ETA' DEI RE E DELLA REPUBBLICA. Giustiniano comincia il racconto della storia del "sacrosanto segno": fatta dimora in Alba per più di trecento anni, esso passò nelle mani di Roma con la lotta fra Orazi e Curiazi. Vinse i nemici vicini durante il periodo dei sette re e successivamente debellò i Galli e i Tarentini, e atterrò l'orgoglio dei Cartaginesi, che pure, dietro ad Annibale, erano giunti sino in Italia. Trionfarono sotto di lui, ancor giovani, Scipione e Pompeo, come prima erano rifulse le gesta di Torquato, di Cincinnato, dei Deci e dei Fabi.
55-96. STORIA DELL'AQUILA ROMANA: L'ETA' IMPERIALE. Giustiniano sintetizza poi le gesta dell'aquila, affermando che quando il Cielo stabilì che tutt'il mondo fosse in pace, Cesare prese in mano il sacrosanto segno. Però la massima gloria toccò al terzo Cesare, Tiberio, sotto il cui regno avvenne la Redenzione. Anche la vendetta dell'uccisione di Gesù fu opera del "sacrosanto segno", tenuto allora da Tito, e finalmente esso protesse la Chiesa, attaccata dal "dente longobardo", col concorso di Carlo Magno.
97-111. INVETTIVA CONTRO I GUELFI E I GHIBELLINI. Giustiniano conclude la digressione, ribadendo il suo rimprovero contro Guelfi e Ghibellini: i primi contrappongono al "sacrosanto segno" i gigli gialli di Francia, i secondi si appropriano di quel "segno", simbolo di giustizia, per ingiusti interessi di parte.
112-126. RISPOSTA ALLA SECONDA DOMANDA: CONDIZIONE DEGLI SPIRITI DEL CIELO DI MERCURIO. Rispondendo alla seconda domanda, Giustiniano afferma che nel cielo di Mercurio sono apparse a Dante le anime di coloro che operarono il bene, ma per ambizione di gloria e di fama. Questa diminuisce i loro meriti, ma del grado della loro beatitudine essi sono contenti, perché vedono che la ricompensa è perfettamente pari a ciò che hanno meritato.
127-142. GIUSTINIANO INDICA LO SPIRITO DI ROMEO DI VILLANOVA. Giustiniano conclude dicendo che in questo cielo vi è anche l'anima di Romeo di Villanova che, giunto alla corte di Raimondo Berengario, seppe giovare grandemente al suo signore. Ma poi l'invidia dei cortigiani lo rese sospetto a Raimondo, per cui, partito vecchio e povero dalla corte, dovette andar mendicando, ma con animo saldo e dignitoso.

CANTO UNDICESIMO
1-12. CONTRASTO TRA LA VANITA' DELLE COSE UMANE E LA GLORIA CELESTE. Il poeta, accolto nel cielo del Sole dall'ineffabile dolcezza del canto dei beati e dalla danza della "gloriosa rota", pensa, per contrasto, alla vanità dei beni terreni, e commisera gli uomini per la loro ottusa cecità.
13-27. DUE DUBBI DI DANTE. Dopo che la corona di spiriti luminosi ha compiuto un intero giro su se stessa e ciascuno è tornato nel punto di partenza, S.Tommaso riprende il discorso e, leggendo nel pensiero di Dante, accenna ai due dubbi che tormentano il poeta, l'uno per la frase "u' ben s'impingua se non si vaneggia", detta a proposito dell'Ordine domenicano e l'altro per la frase "a veder tanto non surse il secondo" detta di Salomone e dichiara che occorre innanzi tutto procedere distinguendo.
28-42. S.TOMMASO COMINCIA IL CHIARIMENTO DEL PRIMO DUBBIO: I DUE CAMPIONI DELLA CHIESA. S.Tommaso inizia il suo discorso premettendo che, per venire in aiuto della Chiesa, la Provvidenza dispose il sorgere di due grandi campioni che le fossero di guida: S.Francesco e S.Domenico, diversi fra loro, ma necessari entrambi. Dire dell'uno - prosegue l'Aquinate - e dire dell'altro è la stessa cosa, perché entrambi mirarono allo stesso fine: la salvezza della Chiesa.
43-117. VITA DI S.FRANCESCO. Con parole di alta ammirazione S.Tommaso traccia un quadro delle grandi virtù di S.Francesco, della sua mirabile unione con Madonna povertà e delle straordinarie opere del suo apostolato.
118-139. BIASIMO AI DOMENICANI DEGENERI. Terminata l'esaltazione di S.Francesco, Tommaso ne prende lo spunto per elogiare l'altrettanta grandezza del fondatore del suo Ordine, S.Domenico, e per biasimare, con accorate e dure parole, la degenerazione dei suoi seguaci. Pochi ormai si raccolgono vicino al pastore, la maggior parte si perde, attirata dai falsi beni della terra. Resta così spiegato, conclude l'Aquinate, il dubbio sorto a Dante dall'espressione "u' ben s'impingua, se non si vaneggia".

CANTO QUINDICESIMO
1-12. IL SILENZIO DEI BEATI. I beati interrompono il canto per permettere a Dante di esprimere i suoi desideri. Questo segno di carità ci dà la sicurezza che le anime beate non sono sorde alle nostre preghiere; è giusto perciò che colui che, per l'amore vano delle cose terrene ed effimere, rinuncia a questo vero amore sia dannato in eterno.
13-30. CACCIAGUIDA SI AVVICINA A DANTE E LO SALUTA. Una delle luci scorre lungo il braccio destro, discende ai piedi della croce e, rivolgendosi in latino, saluta Dante come suo discendente.
31-69. CACCIAGUIDA INVITA DANTE A PARLARE. Alle parole di quell'anima, Dante guarda stupito Beatrice ed è colto da un nuovo stupore nel vedere la prodigiosa bellezza di lei. Intanto l'anima riprende a parlare; ma le sue parole sono così alte, che Dante non riesce ad intenderle. Quando finalmente il discorso scende a un livello comprensibile ad un mortale, Dante sente che si tratta di un ringraziamento che Cacciaguida rivolge a Dio. L'avo invita quindi Dante a parlare e a chiedere ciò che desidera sapere: egli ha già pronta la risposta.
70-87. DANTE CHIEDE ALLO SPIRITO DI MANIFESTARSI. Dante si rivolge a Beatrice con lo sguardo, per avere l'assenso a parlare, ed ella, con un cenno, acconsente. Con un ampio discorso, costruito secondo i dettami della retorica, Dante si scusa di non potere ringraziare della festosa accoglienza con le parole, ma solo con il cuore, e prega lo spirito di rivelarsi.
88-96. CACCIAGUIDA SI RIVELA. Dopo aver affermato di essere la sua "radice", Cacciaguida prosegue ricordando a Dante che il primo di nome Alighiero fu suo figlio e bisavolo del poeta, che questi da più di cento anni gira nella prima cornice del Purgatorio: è giusto quindi che, con le sue opere, Dante cerchi di accorciarne la pena.
97-129. L'ANTICA FIRENZE. Cacciaguida, prima di parlare di se stesso, descrive la condizione felice e pacifica di Firenze al momento della sua nascita: in una vita patriarcale i costumi erano sobri e onesti e le donne fiorentine, pudiche e operose.
130-148. CACCIAGUIDA PARLA DI SE' E DELLA SUA VITA. Descritta la felice condizione della Firenze antica, Cacciaguida aggiunge che, in quel periodo di pace e di probità, egli venne al mondo e, battezzato in S.Giovanni, ricevette il nome di Cacciaguida. Sposò poi una donna proveniente dalla Valle Padana: da lei si formò il cognome del poeta. Successivamente seguì l'imperatore Corrado e, armato cavaliere da questi, combatté contro gli infedeli e morì in battaglia. Martire, quindi, della fede, salì direttamente in Paradiso.

CANTO DICIASSETTESIMO
1-30. DANTE CHIEDE ALL'AVO NOTIZIE SULLA SUA VITA FUTURA. Dante ripensa alle oscure predizioni che gli erano state fatte nell'Inferno e nel Purgatorio e desidererebbe sapere qualche cosa dall'avo, ma si trattiene dal domandare. Cacciaguida e Beatrice leggono però il suo pensiero per cui quest'ultima invita a chiedere liberamente. Egli allora si rivolge all'avo, manifestando il desiderio di sapere ciò che il futuro gli riserba, pur dichiarando di essere pronto a sopportare i colpi della fortuna.
31-45. CACCIAGUIDA ACCENNA ALLA PRESCIENZA DIVINA. Cacciaguida premette alla sua profezia l'asserzione che, in realtà, tutta la contingenza futura è "dipinta nel cospetto etterno", anche se ciò non rende necessarie le cose, non diversamente dallo sguardo che vede la nave scender secondo corrente, né per questo ne necessita l'andare. Egli pertanto vede in Dio le vicende future della vita del poeta.
46-51. PROFEZIA DELL'ESILIO. Cacciaguida profetizza a Dante che dovrà allontanarsi da Firenze, anche se innocente, come Ippolito ha dovuto abbandonare Atene; tutto ciò si cerca, si vuole e si otterrà presso la curia romana, dove ogni giorno si mercanteggia Cristo.
52-69. AFFANNI DELL'ESILIO. All'aperta profezia della cacciata di Dante da Firenze, Cacciaguida fa seguire l'accenno ai gravi affanni che l'esilio porta con sé: il poeta lascerà "ogne cosa diletta", sarà costretto all'umiliazione del chiedere l'ospitalità altrui, e, cosa peggiore, dovrà accorgersi della stoltezza dei suoi compagni di partito in esilio, cosicché meglio sarà per lui farsi "parte per se stesso".
70-93. ALCUNI CONFORTI NELLE TRISTI VICENDE FUTURE. Proseguendo la sua profezia, Cacciaguida accenna poi a qualche conforto che pure avrà nel dolore dell'esilio. Predice dunque che Dante verrà ospitalmente accolto dal signore della Scala, dove potrà anche conoscere Cangrande, le cui "magnificenze" e il cui valore saranno palesi anche ai suoi nemici più tardi, prima che Clemente V inganni il grande Arrigo. Aggiunge poi altre profezie su Cangrande, ma ordina a Dante di non rivelarle.
94-99. PAROLE DI CONFORTO DELL'AVO. A conclusione del suo dire, Cacciaguida esorta Dante a non portare invidia ai suoi concittadini che sono rimasti in patria; la sua vita si prolungherà nel futuro ben oltre alla giusta punizione che cadrà su di quelli.
100-120. DUBBIO DI DANTE. Come Dante si accorge che Cacciaguida ha terminato il suo dire, gli rivolge la parola per chiedergli un consiglio. Durante il viaggio nei due altri regni, egli ha visto e udito cose che, se dovesse riferirle, potrebbero inimicarlo con molta gente, cosa pericolosa proprio ora, che sarà costretto a richiedere l'aiuto altrui. D'altronde egli ben sa che, se sarà "timido amico" della verità, non potrà conseguire fama presso i posteri.
121-142. LA MISSIONE DEL POETA. Cacciaguida risponde invitando Dante a dire francamente la verità. Anche se le parole del poeta riusciranno sgradite a molti, egli non deve tacere: anzi sarà per lui non poco onore se proprio i più grandi della terra sentiranno la sua "parola brusca". Proprio per questo nel viaggio ultraterreno gli sono state mostrate le anime "di fama note", perché il suo dovrà essere un salutare insegnamento per gli uomini.

CANTO VENTITREESIMO
1-15. ATTESA DI BEATRICE. Beatrice è tutta rivolta verso la parte più alta della volta celeste, mostrando, dall'aspetto, un'ansiosa attesa; Dante è quindi preso dal desiderio di sapere qual è l'oggetto di così grande attenzione e di così viva aspettazione. Ma frena la propria ansietà, non privo però della speranza di vedere presto la novità tanto attesa.
16-45. TRIONFIO DI CRISTO. Dopo alcuni istanti Beatrice esclama: " Ecco il trionfo di Cristo!" e il poeta vede migliaia di lumi e un sole abbagliante illuminarli dall'alto. Attraverso la luce raggiante di quel sole, Dante vede trasparire una "lucente sostanza". Beatrice spiega che è la persona stessa di Cristo quella luce, che vince la debole vista del poeta: "virtù da cui nulla si ripara". La mente di Dante esce allora di se stessa e il poeta è costretto a confessare di non ricordare più ciò che ha fatto allora.
46-69. IL SORRISO DI BEATRICE E LA SUA INEFFABILITA'. Beatrice rivolge a Dante l'invito a guardarla, perché egli, dopo ciò che ha visto, ha ormai acquistato nuova forza al suo senso visivo, così da poter sostenere il sorriso di lei. Dante obbedisce, ma dichiara di essere incapace a descriverlo e si scusa se è costretto a tacere tali bellezze, superiori alla mente e alla parola umana.
70-87. LE ANIME DEI BEATI ILLUMINATE DALLA LUCE DI CRISTO. Mentre Dante è assorto nella contemplazione di Beatrice, questa lo esorta a guardar di nuovo il trionfo di Cristo. Il poeta ubbidisce e vede la grande turba dei beati, illuminata dall'alto: Cristo, ormai salito, irraggia su di loro la sua luce splendente, come un raggio di sole, che passando attraverso uno squarcio di nube, illumina un prato fiorito.
88-111. TRIONFO E INCORONAZIONE DI MARIA. Dante guarda la più fulgida di quelle luci, Maria, e vede una facella scendente dall'alto a guisa di corona, che girando cinge la Vergine, e canta una dolcissima melodia: è l'arcangelo Gabriele. Tutti i beati ripetono devotamente il nome di Maria.
112-120. CRISTO E MARIA RISALGONO ALL'EMPIREO. Seguendo il Figlio, Maria s'innalza verso il cielo. Dante la segue con lo sguardo fin che può; poi essa scompare alla sua vista.
121-139. INNO A MARIA E APPARIZIONE DI S.PIETRO. Mentre la Vergine sale all'Empireo, tutti insieme, i beati protendono la loro fiamma verso di lei, mostrando l'immenso affetto che essi hanno per la Regina del Cielo; poi intonano, con sovrumana dolcezza, l'antifona Regina Coeli : Dante esce in una gloriosa esclamazione a quel ricordo. Dinanzi a lui stanno ora i beati e, tra loro, trionfa della sua vittoria S.Pietro.

CANTO VENTISETTESIMO
1-9. I BEATI INTONANO IL "GLORIA". Tutti i beati intonano l'inno del "Gloria", con un canto così dolce che Dante ne è inebriato. Ciò che il poeta vede davanti a sé pare "un riso de l'universo", così che egli esce in una esclamazione ammirativa, che è al tempo stesso espressione dell'intenso desiderio di possedere quella "ineffabile allegrezza", quella felicità perfetta e completa.
10-27. S.PIETRO CONDANNA LA CORRUZIONE DEL PAPATO. Davanti agli occhi di Dante stanno le quattro luci di Pietro, di Iacopo, di Giovanni e di Adamo: quando improvvisamente la luce di S.Pietro si fa corrusca, e, come finisce il cantare dei beati, escono da quella luce queste parole: "Non meravigliarti se io trascoloro, perché mentre parlo vedrai trascolorare tutti i beati". S.Pietro continua dicendo che colui, che sulla terra usurpa il suo luogo, ha corrotto e guastato Roma, ov'egli è sepolto, facendone una cloaca di vizi, cosicchè Lucifero, nell'Inferno, è soddisfatto.
28-36. INDIGNAZIONE DEI BEATI. Alle parole di S.Pietro, tutti i beati "trascolorano" e la loro luce diventa rossa come una nube opposta al sole, la mattina o la sera. Anche Beatrice "trascolora" come una donna onesta, che arrossisce all'udire il fallo altrui. Dante pensa che il trascolorare dei beati possa paragonarsi all'eclisse avvenuta alla morte di Cristo.
37-60. S.PIETRO CONTINUA L'INVETTIVA CONTRO LA CHIESA CORROTTA. Con la voce alterata non meno della luce della sua figura, S.Pietro continua l'aspra rampogna, affermando che il suo martirio e quello dei suoi successori nutrì, "allevò" la Chiesa per l'acquisto del tesoro spirituale del Cielo, non per quello dei tesori terreni, né fu intenzione dei primi pontefici favorire una parte del popolo cristiano (i Guelfi), per avversare un'altra (i Ghibellini), o che le chiavi a lui concesse diventassero emblemi di un vessillo per combattere i cristiani stessi. S.Pietro afferma di arrossire di vergogna nel vedere la sua figura diventata il sigillo per autenticare privilegi simoniaci: dall'alto del cielo - prosegue - si vedono dovunque i pastori diventare lupi rapaci e già i Caorsini e i Guaschi prepararsi a trarre vergognoso lucro dal sangue degli antichi pontefici, versato per la salute della Chiesa.
61-66. PROFEZIA DI UN FUTURO INTERVENTO PROVVIDENZIALE - MISSIONE DI DANTE. Terminata la terribile requisitoria, S.Pietro accenna ad un prossimo futuro intervento dalla Provvidenza divina e invita il poeta, una volta ritornato sulla terra, a rivelare agli uomini ciò che egli non gli ha nascosto.
67-75. SALITA DEI BEATI ALL'EMPIREO. Terminato di parlare, S.Pietro e gli apostoli con tutti i beati, che erano rimasti nel cielo delle Stelle fisse ad assistere all'esame di Dante salgono all'Empireo. Dante li segue con lo sguardo finché può, poi la distanza li nasconde ai suoi occhi.
76-99. SGUARDO ALLA TERRA E SALITA AL PRIMO MOBILE. Quando Beatrice si accorge che Dante, non vedendo più nulla, ha distolto gli occhi dall'alto, lo invita a volgere lo sguardo in giù, per vedere quanto spazio ha girato intorno alla terra, insieme col cielo. Dante obbedisce e vede, al di là di Cadice, il "varco folle di Ulisse" e dall'altra parte fino ai lidi della Fenicia. Poi torna con lo sguardo a Beatrice e la virtù prodigiosa degli occhi di lei lo spinge velocemente nel cielo successivo, il Primo Mobile.
100-120. BEATRICE SPIEGA LE CARATTERISTICHE DEL NONO CIELO. Dante non sa dire quale parte del Primo Mobile Beatrice scegliesse per entrarvi con lui, perché tutte le parti di esso sono uniformi. Poiché egli è desideroso di conoscere le caratteristiche di quel cielo, Beatrice spiega che da esso comincia il moto delle sfere e che è mosso direttamente da Dio. Anche la misura del tempo comincia da quel cielo, come da quello si misura il movimento.
121-141. INVETTIVA DI BEATRICE CONTRO LA CORRUZIONE UMANA. Continuando il suo dire, Beatrice afferma che gli uomini, ingannati dai beni terreni, non sanno più sollevare i loro sguardi, e, quand'anche cerchino di farlo, l'ambiente stesso corrotto, in cui vivono, glielo impedisce. La corruzione è ormai generale: fede e innocenza si trovano solo nei bambini e ciò avviene perché sulla terra non c'è chi governa, per cui l'umanità è sviata.
142-148. PROFEZIA DI UN FUTURO RIMEDIO. Beatrice conclude il suo discorso, annunciando che non passerà molto tempo che finalmente le cose muteranno, per cui "vero frutto verrà dopo 'l fiore".

CANTO TRENTESIMO
1-33. SPARIZIONE DEI CORI ANGELICI E NUOVA BELLEZZA DI BEATRICE. Dalla vista di Dante scompaiono a poco a poco i nove cerchi e il punto luminosissimo, per cui il poeta ritorna con lo sguardo a Beatrice. Ma la bellezza di lei è così sovrumana, che il poeta dichiara la sua impotenza a descriverla: da quando la vide la prima volta fino ad ora le parole sono state sufficienti a rappresentarla: ora è costretto a rinunciarvi: forse solo Dio può goderla appieno.
34-81. ARRIVO ALL'EMPIREO: IL FIUME DI LUCE. Beatrice annuncia a Dante che sono ormai saliti all'Empireo, in cui gli sarà concesso di contemplare l'una e l'altra milizia del Paradiso, cioè gli angeli e i beati e questi con l'aspetto che avranno dopo il giudizio universale, quando cioè rivestiranno i loro corpi. Appena Beatrice ha terminato di parlare, Dante viene abbagliato da una luce vivissima e la sua guida gli spiega che questo è il modo con cui l'Empireo accoglie chi vi entra, per prepararlo alle sovrumane visioni di quel cielo. Dante infatti, sente che la sua forza visiva si è accresciuta e scorge un fiume di luce, che scorre tra due rive coperte di fiori, mentre una miriade di faville va e viene dai fiori al fiume. Beatrice lo esorta a fissare bene lo sguardo nel fiume, avvisandolo però che ciò che vede è solo un adombramento del vero.

CANTO TRENTATRE'
1-39. ORAZIONE DI S.BERNARDO ALLA VERGINE. Con ardente affetto S.Bernardo innalza alla Vergine un inno di lode, esaltandola come la più alta tra le creature, destinata ab aeterno ad essere madre di Gesù. Essa è "face di caritate" nel cielo e "fontana di speranza" sulla terra; la sua misericordia è così grande che soccorre gli uomini prima ancora di essere pregata. All'inno di lode S.Bernardo fa seguire la preghiera di intercedere presso Dio per Dante affinché questi possa alzare lo sguardo fino a Lui, e infine invoca la protezione della Vergine finche il poeta resterà ancora sulla terra. Alla preghiera di S.Bernardo tutti i beati e Beatrice si associano.
40-45. INTERCESSIONE DI MARIA. Maria ha tenuto sinora fissi i suoi occhi in quelli di S.Bernardo, segno che la preghiera le è tornata gradita. Poi rivolge lo sguardo a Dio per intercedere a favore del poeta.
46-75. DANTE FISSA LO SGUARDO NEL LUME DIVINO. INSUFFICIENZA DEL RICORDO E INVOCAZIONE A DIO PER OTTENERNE L'AIUTO. Dante sente che il suo ardore sta raggiungendo il culmine della sua intensità. S.Bernardo, con un sorriso, gli fa cenno di guardare in alto, ma il poeta l'ha già fatto senza attendere esortazioni; il suo sguardo cerca di penetrare nella luce divina. A questo punto il poeta confessa che, ciò che ha visto, va tanto al di là delle possibilità umane, che è costretto a rinunciare di descriverlo. Anche se la visione è dileguata, il poeta nel momento della narrazione, sente ancora in sé la dolcezza provata e invoca Dio affinchè gli conceda di lasciare ai posteri anche solo una pallida immagine di ciò che ha veduto.

Ricerche Scolastiche