1- Da dove deriva la denominazione Decadentismo?
Il termine "decadente" ebbe, in origine, un senso negativo;
fu infatti rivolto contro alcuni poeti che esprimevano lo smarrimento
delle coscienze e la crisi di valori di fine Ottocento, sconvolto dalla
rivoluzione industriale, dai conflitti di classe, da un progressivo
scatenarsi degli imperialismi, dal decadere dei più nobili ideali
romantici. Questi poeti avvertirono il fallimento del sogno più
ambizioso del Positivismo: la persuasione che la scienza, distruggendo
le "superstizioni" religiose, sarebbe riuscita a dare una
spiegazione razionale ed esauriente del mistero della vita e avrebbe
posto i fondamenti di una migliore convivenza degli uomini.
Gli scrittori fecero della definizione una polemica insegna di lotta,
in cui si gettavano, di fatto, i fondamenti d'una nuova visione del
mondo e d'una nuova realtà. Essi ebbero la coscienza di vivere
un'età di trasformazioni e di trapasso, si sentirono insomma
gli scrittori della crisi, e avvertirono che il loro compito non era
quello di proporre nuove certezze, ma di approfondire i termini esistenziali
di questa crisi sul piano conoscitivo.
Decadentismo ebbe origine in Francia e si sviluppò in Europa
tra gli anni Ottanta dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento:
fu l'esasperazione di una delle due tendenze del Romanticismo, quella
rivolta alla contemplazione di un mondo di mistero e di sogno, all'espressione
di un soggettivismo estremo, mentre il realismo e il verismo ne avevano
sviluppato la tendenza oggettiva. Due sono gli aspetti fondamentali
della spiritualità decadentista, che risultano poi essere due
motivi essenziali del Romanticismo: il sentimento della realtà
come mistero e la scoperta di una nuova dimensione nello spirito umano,
quella cioè, dell'inconscio, dell'istinto, concepita come anteriore
e sostanzialmente superiore alla razionalità.
2- Crisi dei valori:
a) Quali sono i presupposti filosofici e storici?
· Filosofici_ Le componenti culturali del Decadentismo vanno
individuate nel "superomismo" di Nietzsche, nell' "intuizionismo"
di Bergson e nella scoperta dell'inconscio di Freud.
Una tra le più importanti filosofie che descrivono la crisi della
cultura europea ottocentesca è sicuramente quella di Friedrich
Wilhelm Nietzsche (1844-1900), il quale si inserisce negli atteggiamenti
decadentisti per la reazione antipositivistica e per la polemica contro
la tirannia della ragione scientifica. Egli contrappone a tutti i valori
tradizionali (principi democratico-egualitari, piatta fiducia nel deterministico
progresso) l'esaltazione della forza, del vitalismo, l'Eros gioioso
e libero, e, all'apice di tutto, la "volontà di potenza"
e lo spirito agonistico. Sono le componenti del superuomo, la cui etica
è al di sopra della morale comune con i suoi concetti di bene
e male, di pietà per i falliti ed i deboli.
Anche Henri Bergson critica i procedimenti e le verità scientifiche,
affermando i valori spiritualistici, religiosi, mistici o comunque irrazionalistici.
Le scienze positive possono darci nozioni inerenti alla materia, ma
solo l'intuizione può rivelarci la "durata", può
svelarci il principio generatore della vita ("intuizionismo").
Sigmund FREUD (1856-1939), fondatore della psicanalisi, determinò
la presenza di tre livelli o zone della psiche: l'inconscio, il subconscio
(o "subcoscienza") e la coscienza. La prima è la zona
più misteriosa dell'individuo umano e rappresenta la sede degli
istinti più primordiali e il campo di un'attività psichica
assolutamente libera da ogni controllo della volontà.
Come si vede, tutti e tre i filosofi furono ostili, per un verso o per
un altro, alle scienze positive, contestarono la filosofia del "positivismo"
e diedero maggiore importanza alle attività istintive che a quelle
razionali dell'uomo. Sotto questo aspetto essi da un lato furono espressione
delle nuove esigenze spirituali che si andavano diffondendo in Europa
alla fine dell'Ottocento ed agli inizi del Novecento, dall'altro valsero
a chiarire ed incrementare le nuove istanze.
· Storici_ Con l'avvento della "Sinistra" al governo
dello Stato unitario, nel 1876, Depretis concepì ed attuò
quello (sciagurato) metodo parlamentare che va col nome di "trasformismo"
e che consisteva nel fare e disfare maggioranze numeriche al di fuori
di ogni logica di gruppo precostituito e naturalmente legato a visioni
ed interessi politici ben determinati. Tale sistema, ovviamente, giovò
molto ai detentori della ricchezza (i capitalisti industriali del Nord
e i grossi proprietari terrieri del Sud) coalizzati nello sfruttamento
delle classi subalterne (specialmente del proletariato, cioè
degli operai delle fabbriche nel Nord e dei braccianti agricoli nel
Sud).
Intanto il proletariato prendeva sempre più coscienza della propria
funzione e quindi della sua forza e dei suoi diritti e riusciva a sollecitare
in suo favore l'interessamento di non pochi intellettuali e dello stesso
pontefice Leone XIII.
Lo Stato ufficiale non seppe o non volle interpretare questi fermenti
popolari come una forza vitale ed una spinta morale capaci di avviare
un processo di rinnovamento sociale utile e necessario all'intero Paese,
e vide invece in essi un nemico da combattere con ogni mezzo, non escluso
quello della violenza militare. L'unico ad avere una più realistica
intelligenza dei fenomeni sociali di quegli anni fu Giovanni Giolitti,
ma questo stato di cose (crisi morale, esasperazione dei comportamenti
conservatori da parte della classe dominante, disordinato atteggiamento
rivendicativo da parte delle classi subalterne) non poteva non determinare
una crisi di coscienza tra gli intellettuali e soprattutto tra gli artisti,
indirizzandoli verso quel tipo di "sensibilità" che
si andava diffondendo un po' in tutta l'Europa e che già si era
abbastanza affermato in Francia, ove per prima fu definito "decadente".
b) Da cosa si vede in letteratura?
Nato in un'epoca di spinte materiali e intellettuali contraddittorie,
che vide rinnovamento del sistema produttivo e stagnazione economica,
repressione delle masse popolari e attenzione per la questione sociale,
il decadentismo ha radici filosofiche nelle correnti irrazionalistiche
che, alla fine dell'Ottocento, convivevano con il razionalismo positivistico
dal quale era nata la letteratura. Al centro della sensibilità
decadente sta il rifiuto dell'esistenza quietamente borghese e "normale"
e la valorizzazione di tutto ciò che pare sottrarsi ad essa.
Di qui deriva una serie di atteggiamenti che isolatamente o combinati
tra loro fornisce la cifra di tale sensibilità e della conseguente
poetica. L'estetismo, atteggiamento assai diffuso, che assegna la preminenza
ai valori estetici, arrivando a negare tutti gli altri. Si individua
negli ideali della bellezza, della ricercatezza, della raffinatezza,
dell'esotismo, l'unico mezzo di distinzione dalle masse e di ricostituzione
di un'identità perduta. A questo si aggiunge un atteggiamento
che prende il nome di "dandismo", che in Inghilterra e in
Francia stava ad indicare la snobistica ed eccentrica eleganza di quegli
individui che cercavano in ogni modo di distinguersi, fino allo scandalo,
attraverso la cura maniacale dell'abbigliamento, dei gusti e dei comportamenti.
Esempi tipici possono essere individuati in molti romanzi del periodo:
"Dorian Gray" di Wilde , "Andrea Sperelli" di D'Annunzio,
ecc
Ultimo atteggiamento è quello dell'esotismo che rappresenta
la ricerca del bizzarro e dell'inusuale, di tutto ciò che facesse
risaltare in mezzo alla massa.
3- Quali sono gli artisti e i movimenti italiani che rientrano nel
Decadentismo?
In Italia, il Decadentismo non assunse il carattere radicale e dirompente
che ebbe nella vicina Francia, dove la trasformazione economica in senso
capitalistico avvenne in ritardo e in modo repentino: i primi accenni
di Decadentismo in Italia cominciano a scorgersi solo sul finire dell'Ottocento,
con Graf e Fogazzaro. Più decisa e consapevole l'adesione alle
nuove idee e forme letterarie europee in autori come Pascoli, per la
poesia basata sui miti dell'infanzia e dell'ignoto, e D'Annunzio, per
il superomismo, l'estetismo e bellicismo nazionalistico. Esemplare è
la figura di quest'ultimo, poeta e letterato ma anche uomo pubblico
e straordinario precursore della moderna società dello spettacolo
(si pensi al gesto clamoroso del suo volo su Vienna, con il lancio di
volantini tricolori), il quale, rimarcando la superiorità dell'intellettuale,
si atteggia a vate e condottiero degli spiriti più nobili e arditi
della nazione.
Inoltre si possono definire decadenti i crepuscolari, per la poesia
fatta di malinconica ironia per le piccole cose, e i futuristi, per
il loro vitalismo e gusto provocatorio. Anche la narrativa di Pirandello
e Svevo si può' ricondurre al gusto decadente, anche se mutano
temi e forme.
4- Ci sono diverse tendenze nel Decadentismo italiano?
In Italia non è possibile ritrovare una corrente letteraria
unificante, ma piuttosto poetiche individuali che si rifanno ai miti
italiani: quella del "superuomo" in D'Annunzio, del "fanciullino"
in Pascoli, del "santo" in Fogazzaro. Una reazione a questi
miti, all'affermazione eroica dell'io, è rappresentata dalla
poesia dei crepuscolari italiani che si rifanno ai temi del decadentismo
francese: appare cosi' evidente, in Italia più che altrove, della
contraddittorietà del Decadentismo, poichè vi si trovano
insieme l'esaltazione della forza e il rinchiudersi rinunciatario nel
proprio mondo, la voglia di trasgredire e la flebile voce del fanciullo,
il mito del superuomo e l'angoscia profonda dell'io.
Accomuna queste esperienze la ricerca di nuovi strumenti espressivi,
il rigetto della cultura positivista e il rifiuto spesso aristocratico
della società contemporanea in ciò che essa ha di abitudinario,
di etica comune, di valori diffusi a livello di massa.
5- Temi e motivi della poetica pascoliana?
La poesia pascoliana è molto suggestiva e ha un'istintiva affinità
con l'esperienza dei simbolisti francesi, anche se le manca quella dimensione
contestatrice e trasgressiva propria di tali autori.
Il carattere dominante della poesia del Pascoli è costituito
dall'evasione della realtà per rifugiarsi nel mondo dell'infanzia,
un mondo rassicurante, dove l'individuo si sente isolato ma tranquillo
rispetto ad una realtà che non capisce e quindi teme.
Il Pascoli esprime questa sua poetica in uno scritto che intitola "Il
fanciullino" in cui afferma che in tutti noi c'è un fanciullo
che durante l'infanzia fa sentire la sua voce, che si confonde con la
nostra, mentre in età adulta la lotta per la vita impedisce di
sentire la voce del fanciullo, per cui il momento veramente poetico
è in definitiva quello dell'infanzia. Di fatti il fanciullo vede
tutto per la prima volta, quindi con meraviglia; scopre la poesia che
c'è nelle cose, queste stesse gli rivelano il loro sorriso, le
loro lacrime, per cui il poeta non ha bisogno di creare nulla di nuovo,
ma scopre quello che già c'è in natura. L'atteggiamento
del fanciullo gli permette di penetrare nel mistero della realtà,
mistero colto non attraverso la logica, ma attraverso l'intuizione ed
espresso con linguaggio non razionale ma fondato sull'analogia e sul
simbolo.
La situazione tipica della poesia pascoliana è quella del poeta
solitario, immerso nella campagna vasta e silenziosa ed inteso a descrivere
le rivelazioni delle cose. Di fatti gli eventi tragici della vita del
Pascoli ne condizionano la vita stessa ed anche la poesia, creando vari
miti; tra questi vediamo il "nido", che rappresenta la famiglia,
che lo preserva dalla vita violenta e difficile da affrontare, solo
nel nido può trovare tranquillità e serenità. Al
di là del nido troviamo la "siepe", e con questo mito
il Pascoli rappresenta la situazione o il desiderio della piccola borghesia
contadina che mira ad una vita indipendente dall'esterno e quindi autarchica.
Oltre la siepe vi troviamo il "campo santo": una strada dritta
porta dal podere al campo santo, ove giacciono i morti, presenze costanti
nella vita del Pascoli e che ritornano continuamente confondendosi con
i vivi. A questi tre elementi di fondo il Pascoli circoscrive tutta
quanta la sua esistenza.
6- Temi e motivi della poetica dannunziana?
La poetica e la poesia del D'Annunzio sono l'espressione più
appariscente del Decadentismo italiano. Dei poeti decadenti europei
egli accoglie modi e forme, senza però approfondirne l'intima
problematica, ma usandoli come elementi decorativi della sua arte fastosa
e composita. Aderisce soprattutto alla tendenza irrazionalistica e al
misticismo estetico del Decadentismo, collegandoli alla propria ispirazione
narrativa, naturalistica e sensuale. Egli rigetta la ragione come strumento
di conoscenza per abbandonarsi alle suggestioni del senso e dell'istinto;
spesso vede nell'erotismo e nella sensualità il mezzo per attingere
la vita profonda e segreta dell'io. Egli cerca una fusione dei sensi
e dell'animo con le forze della vita, accogliendo in sé e rivivendo
l'esistenza molteplice della natura, con piena adesione fisica, prima
ancora che spirituale. E' questo il "panismo dannunziano",
quel sentimento di unione con il tutto, che ritroviamo in tutte le poesie
più belle di D'Annunzio, in cui riesce ad aderire con tutti i
sensi e con tutta la sua vitalità alla natura, s'immerge in essa
e si confonde con questa stessa. La poesia diviene quindi scoperta intuitiva;
la parola del poeta, modulata in un verso privo di ogni significato
logico, ridotta a pura musica evocativa, coglie quest'armonia e la esprime
continuando e completando l'opera della natura. La sua vocazione poetica
si muta poi in esibizionismo e la poesia vuol diventare atto vitale
supremo, una sorta di moralità alla rovescia, estremamente individualistica
e irrazionale. Abbiamo allora l'esaltazione del falso primitivo, dell'erotismo
o quella sfrenata del proprio io, indicata nei due aspetti dell'estetismo
e del superomismo. L'estetismo è in definitiva il culto del bello,
in pratica vivere la propria vita come se fosse un'opera d'arte, o al
contrario vivere l'arte come fosse vita. Quest'atteggiamento, preso
dal Decadentismo francese, è molto consono, corrispondente cioè
alla personalità del poeta. Quindi l'esteta si limita a realizzare
l'arte, ricercando sempre la bellezza; ogni suo gesto deve distinguersi
dalla normalità, dalle masse. Di conseguenza vengono meno i principi
sociali e morali che legano al contrario gli altri uomini. A differenza
di questo, il superuomo assomiglia all'esteta, ma si distingue per il
suo desiderio di agire: il superuomo considera che la civiltà
è un dono dei pochi ai tanti e per questo motivo si vuole elevare
al di sopra della massa; è l'esteta attivo, che cerca di realizzare
la sua superiorità a danno delle persone comuni.