LA CRITICA AL POSITIVISMO
Negli ultimi decenni dell'800nella cultura europea - in Germania come
in Francia, in Inghilterra e in Italia - si sviluppa una critica dei
principi su cui si era fondata sino a quel momento l'idea stessa della
ragione umana.
In prima fila, l'avversario da abbattere appare il dogmatismo scientista
del positivismo, con la sua certezza di leggi operanti all'interno della
vita naturale, psichica e sociale. Ma la critica coinvolge, al di là
del Positivismo, tutta la cultura e la civiltà borghese precedente,
dall'illuminismo al Neoclassicismo, dal Naturalismo al Romanticismo.
Siamo in presenza della più rilevante frattura, della più
forte discontinuità di principi e di concetti all'interno della
cultura moderna.
Viene negata la piena conoscibilità del reale e in genere ogni
obiettività della rappresentazione del mondo esterno. La causalità
e le leggi scientifiche sono considerate delle categorie mentali costruite
dall'uomo e prive di un riscontro reale nella natura delle cose. Possono
essere, anzi sono, utili, ma solo perché hanno un valore pratico
ed economico. Funzionano in quanto ci permettono di operare con successo
nella realtà naturale, ma sono prive di una validità conoscitiva
assoluta.
Moltissimi sono i pensatori che contribuiscono a porre in dubbio le
precedenti certezze scientifiche, morali, conoscitive. Su tutti dominano
Nietzsche, il pensatore francese Bergson, i filosofi pragmatisti americani
James e Peirce, gli austriaci Freud e Mach.
Nietzsche definisce e approfondisce, sul piano teorico e morale, questa
crisi della ragione. Per lui, la tradizione cultuale dell'idealismo
e del razionalismo ha creato una falsa filosofia con obiettivi e fini
elaborati non come risultato di un'attenta analisi dell'uomo, ma per
interessi di controllo sociale. I concetti di bene, di virtù,
il tema della responsabilità morale, del male e della colpa,
sono "si universalmente accettati", ma non hanno un vero fondamento.
La loro diffusione, la loro presunta validità, è soltanto
il risultato del consenso sociale, imposto da un'idea di razionalità
che siè diffusa nella civiltà occidentale a partire dal
pensiero greco e dalla spiritualità cristiana.
DECADENTISMO
Alla crisi dei valori della società borghese, a quella della
ragione filosofica e scientifica corrisponde in campo artistico e culturale
il fenomeno del Decadentismo.
Il decadentismo, nell'accezione oggi prevalente, indica le tendenze
letterarie e artistiche che si sono diffuse nelle letterature europee
dal 1870 alla Prima guerra mondiale. Inizialmente usato con connotazioni
negative (si intendevano cioè indicare con esso le manifestazioni
letterarie di un periodo di decadenza), ha finito col significare l'insieme
assai complesso di fenomeni culturali, letterali e artistici di un'epoca
ricca di contraddizioni politiche e sociali.
In quest'epoca, oltre alle trasformazioni economiche, sociali e politiche
avvenute nella cosiddetta "età dell'imperialismo",
vi sono profondi mutamenti che avvengono nel clima culturale complessivo.
Essi sono riconducibili in gran parte alla crisi del positivismo, di
cui cadono le formulazioni più illusorie e divulgate, come la
concezione deterministica, che mortificava la libertà dell'individuo
considerandolo totalmente condizionato dall'ambiente naturale e sociale,
o lo scientismo, rivelatosi troppo ottimistico nelle speranze di risolvere
i problemi dell'uomo.
L'arte di questo periodo, se per un verso subisce l'influsso dei miti
della società borghese dell'età dell'imperialismo, per
un altro verso se ne sottrae e li respinge.
Entro questo quadro, i suoi aspetti caratterizzanti si dispongono su
linee spesso divergenti.
Così, in primo luogo, è proprio di questa la stagione
la coscienza esasperata di una frattura profonda tra la nuova arte e
quella ottocentesca; frattura che non esclude ogni elemento di continuità
fra '800 e '900, ma che, rispetto alla continuità, esalta e sottolinea
le novità.
Un altro tratto caratterizzante è l'atteggiamento anticonformista
diffuso tra gli artisti, il rifiuto cioè delle abitudini, delle
leggi, dei gusti, dei valori della società costituita. La crisi
si manifesta nella vita pratica e morale, come offuscamento, e caduta
di certezze e valori e come insofferenza della sorda angustia della
realtà e della norma sociale, come noia e disgusto, spleen. Nel
prendere coscienza della crisi l'artista abbraccia e soffre, con sdegno
e ironia, una condizione di solitudine ed estraneità nei confronti
del mondo borghese, che continua a celebrare, con norme di vita grette
e ottuse, il culto dei suoi falsi valori, delle sue fedi menzognere
nel progresso, nella sicurezza economica, nei rapporti sociali, nella
produzione e nello scambio di beni,
Tra rifiuto e senso di estraneità,
invincibile, sincero, spesso esacerbato in forme di autoesaltazione,
di egotismo, l'artista decadente si impone al suo mondo, alla sua società,
come "ribelle", "dandy", "veggente", "poeta
maledetto".
A questo è connessa l'esasperazione dell'individualismo, nel
duplice aspetto di esaltazione dell'individuo particolarmente dotato
nei confronti di quello che viene considerato il gregge dei propri simili,
o di sofferenza per la condizione di solitudine dell'uomo, per la sua
incapacità di comunicare con gli altri uomini, di mettersi in
rapporto con la società, con la storia. I grandi ideali egualitari
del secolo precedente, l'impegno sociale e politico dello scrittore,
la fiducia nella trasformazione della società, appaiono definitivamente
tramontati.
Si affaccia in alcune tendenze il culto della violenza, sia collettiva
(la guerra come affermazione di una nazione), sia politica (la dittatura),
sia individuale (il superuomo, che si impone al di sopra della morale
e delle leggi comuni). Per contro in altri scrittori si afferma una
reazione opposta: l'evasione dalla società in cui si vive, evasione
che non conduce solo alla solitudine come condizione esistenziale, ma
anche al vagheggiamento di un'oasi di originaria innocenza, dei luoghi,
dei costumi; oppure induce alla fuga nell'eccentrico e nel patologico,
nella nevrosi e nell'ossessione sessuale.
Si diffonde, si è detto, la sfiducia nella scienza e nella ragione,
e , quindi, nella capacità dell'uomo di comprendere la realtà.
Il mondo esterno, di conseguenza, appare senza nessuna oggettività
e organicità, senza nessuna legge che lo governi e può
essere rappresentato solo da un punto di vista soggettivo, come lo vede
l'occhio dell'artista. Ma un'uguale disorganicità dimostra il
mondo interiore, non meno privo di principi generali a cui ancorarsi,
e che può ritrovare il suo collegamento con l'altro da sé
(quel collegamento, fondato sulla distinzione, dell'Io col non Io, del
soggetto con l'oggetto, senza il quale la vita dell'individuo si disgrega)
solo in una zona dell'animo oscura e misteriosa, inconoscibile, con
i normali strumenti della ragione e raggiungibile solo attraverso l'intuizione
poetica. A questa tendenza è connesso anche il conseguente rifiuto
delle tecniche letterarie (sia in poesia che in prosa) fondate su elementi
logici e discorsivi e, invece, la ricerca di tecniche che proprio attraverso
l'alogicità e la suggestione fonica riescano a penetrare in quella
zona misteriosa e inconoscibile cui abbiamo accennato.
MANIFESTI E MODELLI
Dobbiamo però notare che:
1- il termine decadentismo, per designare una fase storico-letteraria,
è un'acquisizione critica posteriore, che ha avuto fortuna soprattutto
in Italia
2- il termine decadentismo entra in relazione con quello di simbolismo,
adottato da molti letterati del tempo e ancor oggi diffuso all'estero
per designare gli stessi fenomeni o fenomeni in buona misura analoghi.
Nell'accezione più ristretta e storicamente più rigorosa,
ma meno diffusa, il termine decadentismo individua un gruppo di letterati
francesi, sostanzialmente facenti capo a Paul Verlaine, che tra il 1880
e il 1886 animarono la vita culturale e letteraria parigina e che trovarono
un loro organo ufficiale nella rivista "Le Décadent".
Questi, adottandolo esplicitamente per designare il gruppo, si proponeva
di capovolgere l'accezione negativa che il termine aveva nell'uso di
scrittori e critici ostili al movimento per dargli viceversa piena dignità
letteraria e pregnanza programmatica.
Padre spirituale e punto di riferimento ideale del movimento fu soprattutto
Baudelaire.
Già a partire dal 1885 un altro letterato francese, Jean Moréas,
affermava che "il principio della poesia moderna stava in un modo
di interpretare il reale per mezzo di simboli", che l'anno successivo
egli stesso con altri fondava la rivista "Le Symboliste" e
che a partire da allora i poeti decadenti furono chiamati simbolisti.
Nasceva il termine simbolista che nell'uso contemporaneo avrebbe soppiantato
il precedente.
Molti decadenti si ritrovarono nel movimento simbolista, inaugurato,
ancora nel 1886, da un "articolo-manifesto" di Jean Moreas,
nel quale si affermava esattamente che l'essenza della nuova poesia
"era da ricercarsi nel suo carico simbolico". Decadenti e
simbolisti si opponevano ai parnassiani, considerando Charles Baudelaire
un loro grande maestro e Les Fleurs du mal il testo inaugurale del nuovo
tempo poetico.
I parnassiani reagivano agli abbandoni sentimentali e al lirismo romantico
con la disciplina di un'arte tesa all'oggettività e alla chiarezza,
raccolta in immagini accuratamente rilevate e chiuse in un compito di
equilibrio, in un imperturbabile nitore. Celebravano nel principio dell'arte
per l'arte il distacco dai rapporti concreti e dalla moralità
dell'esistenza rappresentato dal culto estetico della bellezza formale.