Miniera di Ribolla
Pane e tomba per i minatori.
Ricordo di un
amico
di Florido Rosati.
A Otello Tacconi.
Ai lettori
chiedo scusa se mancherà la precisione nelle date. Ho riprodotto tutto a
memoria.
Della verità dei fatti, delle circostanze delle cose accadute me ne assumo la
responsabilità; sono controllabili e veritiere.
Montemassi, giugno 2003.
Nato a Roccastrada nel 1913, lavorò come boscaiolo, bracciante agricolo e
successivamente nella miniera e cava di Pietra Tonda, sempre nel comune di
Roccastrada.
Fu militare nella Regia Aeronautica Italiana.
Allo scioglimento delle forze armate scelse la macchia. Fu partigiano con la
formazione di Bagnolo di Roccastrada, prese parte attiva alle azioni di detta
formazione e ne era talmente fiero che portava sempre all'occhiello della giacca
il distintivo: Volontari della Libertà.
Nel 1946 venne a lavorare nella miniera di Ribolla; in breve divenne un buon
minatore.
Date le sue spiccate capacità sindacali, alla fine degli anni '40 fu eletto
segretario della Commissione Interna.
(Nei limiti delle sue possibilità) fece valere i diritti degli operai.
Durante il 1951- '52 mandò ai giornali diversi articoli sul sistema di lavoro
che mese per mese cambiava sotto la direzione dell'ingegnere Leonello Padroni,
peggiorando le condizioni fisiche, morali e materiali degli operai.
Tali articoli ebbero risonanza in più di un giornale.
Nel 1952 pubblicò sull'unità un articolo trattando il problema di misurazione
dell'ossido di carbonio e ossigeno all'interno delle trance di lavoro.
Pressappoco suonava così: per tali misurazioni i minatori sono stati dotati di
un maialino d'india (come ho scritto in altri racconti); essendo il maialino
più vulnerabile dell'uomo, doveva morire prima e l'uomo poteva fuggire.
Non si tenne minimamente conto che il maialino, in una gabbietta appesa a un
asse, beveva e mangiava, mentre il minatore spremeva la resistenza fisica con
martelli picconatori, perforatori, badili, mazze, picconi, assi di sostegno e
quanto di altro, intriso in un mare di sudore che scorreva per tutto il corpo.
In questo la denuncia di Tacconi fu chiara e netta: tali provvedimenti mettevano
a serio rischio l'incolumità dei minatori.
Fin quando un giorno, tra le tante lotte combattute, un gruppo di minatori
occupò il pozzo Raffo.
Tacconi, valendosi dei suoi diritti, andò in miniera e vi rimase insieme agli
altri; dopo tre giorni, violando la legge delle miniere, la direzione e le
forze di polizia fecero scendere i poliziotti e portarono fuori i minatori in
manette come delinquenti comuni, rei di avere difeso il posto di lavoro,
l'incolumità collettiva e il pane per i figli.
Furono associati al carcere di via Saffi a Grosseto.
Quindi furono tutti licenziati; Otello seguì la sorte degli altri minatori.
Tornò a fare lavori precari pur di dare il pane ai figlioli.
Passò non molto tempo e arrivò la tragedia del 1954; anche qui altra
violazione alla legge delle miniere (per cui nessun estraneo poteva scendere
all'interno dei pozzi): la direzione portò giù un reporter
del giornale Il Mattino.
Era il giorno del primo maggio 1954. Il reporter scrisse che nella miniera di
Ribolla mancava solo la televisione.
Il giorno successivo, il 2 maggio, fecero distribuire una copia del giornale a
ogni operaio.
Tre giorni dopo, il 4 dello stesso mese, 43 minatori morirono bruciati dal
grisou e dal pulviscolo nel pozzo Camorra (dove, in altro turno, lavorava anche
lo scrivente).
L'articolo sulle condizioni di lavoro nella miniera di Ribolla e sul maialino
d'india sono lì, pesano sulla coscienza della direzione della miniera e di
quanti l'avevano autorizzata, rimangono sulla memoria dei minatori.
E qui memorie e racconti: Dopo poco tempo, in più riunioni fatte allo scopo di
sapere, Otello raccontava:
"Fui chiamato a Milano dalla direzione Montecatini (qui entra in ballo
l'odore dei soldi, ci disse). Per due giorni mi furono messi alle costole due
avvocati (non vorrei sbagliare i nomi, ma mi pare che si chiamassero uno
Failla e uno Guccione) a nome della Montecatini stessa e mi offrirono
un posto di guardia o di sorvegliante in qualsiasi stabilimento della società a
mia scelta oppure un esborso (all'epoca di venticinque milioni di lire)
perché ritirassi l'articolo sul maialino d'india e le condizioni di lavoro
nella miniera di Ribolla.
Mi nascondevo la mano dietro la schiena per paura di essere convinto a firmare
una cosa che per me sarebbe stata vergognosa sconfitta".
Così tornò a fare il lavoro precario.
Arriviamo al processo che si tenne a Verona per i 43 morti del pozzo Camorra.
L'inchiesta a Ribolla fu fatta da un maresciallo dei carabinieri, poteva anche
essere un buon poliziotto, ma non sicuramente un tecnico minerario. Quindi
nessuna attinenza ai fatti di miniera (o quasi).
Pensavamo di parlare al processo, ma anche qui fummo delusi. Per tutti la stessa
sorte. Tacconi Otello, Fiorenzani Odino, successore di Tacconi alla segreteria
della commissione interna, Sbrana Mario membro della stessa e Rosati Florido. Il
Presidente del Tribunale pose solo una domanda: se confermavamo le dichiarazioni
scritte dal maresciallo, non una parola di più.
Qui ripeto io. Grande avvocatura, gente prezolata e soldi, tanti soldi, la vita
degli operai conta nulla di fronte all'arroganza dei padroni e di quanti, con
loro e per loro, operano non curanti della sorte di chi soffre e muore per le
loro ricchezze.
Torno a Otello Tacconi. Riuscì a entrare cantoniere con la Provincia di
Grosseto nel tratto Incrociatella - Sassofortino, nel comune di Roccastrada.
Si ammalò di un male incurabile nel 1963 e in maniera prematura morì (credo)
con l'amaro in bocca come gli altri che con lui lottarono per un mondo che non
conosceva e non conosce giustizia.
Anche oggi si ripete lo scandalo. Gli uomini potenti fanno sì che la legge non
sia uguale per tutti; i soldi sono la loro legge.
Viva chi ha lottato e chi lotta per l'uguaglianza, per la libertà, come fece il
nostro Otello.