A Priamo Maggi.
Di Florido Rosati. Agosto 2003.

Ricordo di un operaio.
Dopo la prima guerra mondiale in Italia si protrasse una crisi su tutti i settori del lavoro: industria, agricoltura e tutto l'indotto; le paghe erano da fame, anche per chi lavorava.
Fu detta "la crisi del 1929".
Ma dal 1920 al 1936 chi la visse ebbe un bel po' da soffrire: gli operai occupati nelle industrie (io ricordo la miniera di Ribolla) per sopravvivere con le famiglie dovevano poi arrangiarsi, tenere una capretta per avere il latte per una parte dell'anno, allevare conigli, piccioni, galline, fare l'orto.
O trovare un secondo lavoro.
In molti andavano a lavorare dai contadini nei momenti delle faccende pił grosse.
Noi, famiglia di contadini: mio babbo, mia mamma e un fratello. Fin da quando ero bambino veniva a lavorare da noi un operaio della miniera, era capo della segheria e aveva una famiglia sopra la media: lui, la moglie Sabina e i cinque figli Tea, Rino, Dino, Anna e Ginetta.
A me fece un bel regalo, mi fece le ruote di legno per il mio primo carretto; avevo allora circa sette anni.
Usava per noi ragazzi un vezzeggiativo, ci chiamava "boccia".
Nel 1936 avevo circa diciassette anni e fui assunto nella miniera; il mio primo lavoro fu in segheria e vi trovai il Maggi che, oltre a essere onesto lavoratore, si dedicava anche a insegnare a noi ragazzi l'andamento di quel lavoro in un reparto abbastanza complesso.
Nel 1937, non ancora diciottenne, fui avviato all'interno della miniera.
A me restarono nella memoria l'insegnamento di vita e lavoro e le nozioni avute dal Maggi, lavoratore assoluto, cittadino onesto, amico della mia famiglia fino alla fine dei suoi giorni che avvenne nel 1939.
Un uomo schivo anche dalle arroganze fasciste, come mio babbo, Bruni, Masotti, Fiorenzani e pochi altri di quell'epoca che sono rimasti nella mia mente per la loro onestą.
Con questo mio scritto ne voglio anche oggi onorare la memoria.