DON GIUSEPPE GUIDUCCI 
(1911 - 1994) 

Un altro commilitone che cambia divisa e da frate Passionista si fa prete. Fu richiamato alle armi nella guerra europea e fece la campagna di Russia. Nell'ufficio parrocchiale di Ribolla teneva incorniciata una sua grande fotografia da tenente. Quanto era bello! Ma come si cambia da giovani a vecchi! Fece onore alle stellette, ma più al suo carattere sacerdotale, e quando fu congedato, non se la sentì di riprendere la vita di prima. La regola di San Paolo della Croce era tra le più austere. S'indossava un saio nero di lana sopra un camicione pure di lana, chiamato sudario, e sopra un paio di mutandoni di panno grezzo detti brache, aperti davanti e legati alla vita da una fettuccia. Sudario e brache erano di misura standard e dopo lavati passavano dall'uno all'altro. 

Si dormiva vestiti, con gli stessi indumenti del giorno, su un saccone di paglia, senza lenzuola, ma solo una traversa tenuta ferma con delle spille. Dall'una alle due di notte ci si alzava per la recita del Mattutino e delle Lodi e darsi tre volte alla settimana la disciplina fatta da cordicelle ritorte; si tornava a letto e alle 5,30 di nuovo sveglia per Prima e Terza, mezz'ora di preparazione alla Santa Messa o alla Comunione e mezz'ora di ringraziamento. 

La più grossa penitenza però era il sonno. Di ore dedicate al riposo ce n'erano a sufficienza, ma chi dormiva d'estate vestiti in quel modo e con le pulci e le zanzare che ti succhiavano il sangue! Capitava a volte di andare a sbattere la testa contro i muri, perché gli occhi non stavano aperti. E non abbiamo detto che i piedi erano nudi, infilati nei sandali, anche sotto la neve. Un giorno io raccontavo queste cose a mensa ai nostri seminaristi ed essi ci ridevano, ma era da riflettere. Solo l'assidua meditazione sulla Passione del Signore e l'amore a Gesù Crocifisso aiutava a tirare avanti con gioia. 

Don Giuseppe dunque si fece Prete e gli fu assegnata la Parrocchia di Ribolla. Ma Ribolla allora era tutta campagna con poche case sparse qua e là. Io l'ho visto nascere e crescere questo paese, mi diceva egli un giorno. E tuttavia era un centro importante per la miniera di carbone, che dava lavoro a tanti operai anche dei paesi vicini. Dal lato religioso però un disastro. La situazione era delle più drammatiche, scriveva Don Giuseppe nelle sue memorie di 25 anni di vita parrocchiale. La guerra aveva devastato ogni principio: sociale, morale e religioso. L'odio e la vendetta trionfavano. Si godeva a mandare in galera qualcuno. La chiesa era pressoché deserta, i bambini lontani, i giovani inafferrabili, rari i battesimi, più rare le cresime e i matrimoni e i funerali per lo più in forma civile. Che fare? La tentazione era di piantare baracca e burattini e andarsene. Ma lottò e rimase. Stetti però - scrive - sei mesi senza poter uscire dalla canonica per gl'insulti, le brutte parole e le minacce. Ma così non poteva durare, afferrò allora il coraggio con tutte e due le mani e scese per le strade rivolgendo a tutti il saluto. Entrò pure nelle case, dette aiuto alle famiglie bisognose e si rese disponibile per qualunque bisogno. 

Venne poi il crollo della miniera con 45 morti e fu l'occasione per stare vicino ai familiari. Il gelo si sciolse, il disprezzo divenne stima, l'avversità amicizia, l'odio amore, fino alla grandissima festa del 25 di vita parrocchiale. Si organizzò un comitato con a capo il Dott. Andrea Palazzesi, medico condotto. Tutta Ribolla fu presente quel giorno col suo dono e la sua persona, perfino il segretario del P.C.I. Mancarono solo il Vescovo e i Preti, eccetto uno, nota con amarezza Don Giuseppe. 

Ormai non esisteva più distinzione di colore ideologico, si era come una famiglia, si legge sempre nel memoriale. Che bello! che soddisfazione per un Sacerdote! Aveva seminato nel pianto e raccoglieva nella gioia. In questo nuovo clima la chiesa viene man mano ripopolandosi, sorge l'Azione Cattolica ed egli si può dare ad opere di abbellimento della chiesa con quelle splendide vetrate istoriate, e a preparare agli esami Don Silvio Rebora. 

Il catechismo in un primo tempo egli lo faceva per 40 giorni prima della recezione dei sacramenti. Una volta ne parlò in una riunione di clero, il Vescovo disse che non andava bene e si allineò. Si tenne pure un corso di catechesi sul Documento Base a Ribolla. Relatore Don Giovanni Tumiatti e io segretario. Conservo ancora quei verbali col ricordo della tanta gente che vi partecipò. Don Giuseppe, abbiamo detto, veniva dal convento e le virtù lì acquisite gli servirono per affrontare i problemi quotidiani. Freddi e senza riscaldamento erano i Ritiri e freddissima la canonica. Poi le malattie e il ricoveri a San Pietro in Palazzi nell'Opera del Card. Maffi. Un giorno Sua Ecc. Mons. Tacconi, Don Manlio la Greca ed io andammo a trovarlo. Viveva in un appartamento di due stanze e bagno. Aveva televisione e libri e la Cappella a due passi. Una vecchietta ogni tanto veniva a domandargli: Vi serve niente? E si sedeva. In apparenza non gli mancava nulla, stava senz' altro meglio che a Ribolla; però il cuore di un Sacerdote non si riempie di mobili e di servizi, egli ha bisogno di volti amici, della sua chiesa, del suo popolo e invece, povero Don Giuseppe, fuori casa, fuori Diocesi e lontano dai suoi parrocchiani, anche se poi gli hanno fatto i funerali e dato sepoltura a Ribolla. Fu la sua sofferenza di esule.

Tratto da:
                                                        DON TERZINO TATASCIORE, Un secolo di preti.