- "Avanti!", Roma, 28 luglio 1953 -
Luciano Bianciardi, Si smobilita in silenzio nelle miniere di Ribolla,
Da:
La nascita dei "Minatori della Maremma, il carteggio Bianciardi - Cassola -
Laterza e altri scritti. A cura di Velio Abati. Fondazione Luciano Bianciardi,
Quaderni 5, ed. Giunti, 1998.
Ribolla, luglio. Se c'è un luogo, qua in Maremma, che contraddice la immagine convenzionale che molti hanno di questa terra (i butteri, il palude, i cinghiali) quel luogo è certamente Ribolla: su di una pianura diseguale, ondulata da brevi collinette brulle, si stendono sparpagliate le casupole dei minatori, congiunte da una lunga strada tortuosa, piena di polvere.
Al centro, su di un viale più largo, un edificio di chiara architettura del ventennio, che fu la sede del Dopolavoro, poi alcune palazzine con qualche pretesa, uno stento giardinetto, gli eucaliptus annosi, che in Maremma furon piantati quando si credeva che potessero contribuire ad eliminare l'umidità dal terreno, e quindi la malaria.
Da Ribolla si estrae carbone fossile, lignite, una vecchia miniera che era già in attività prima dell'altra guerra.
La guerra, anzi, ha sempre dato maggior lavoro a Ribolla: fu così al tempo della prima, è stato così con la seconda, quando gli oprai salirono sopra i cinquemila. Da allora è stata una progressiva riduzione del personale: dai tremilaseicento del'48 siamo ai milletrecento circa occupati oggi. La Montecatini, che qui è proprietaria, oltre che della miniera, anche degli impianti, delle strade, delle case, e dell'aria, scrive sui manifesti che non è vero quanto affermano le organizzazioni sindacali, che cioè si intende smobilitare, ma le cifre restano quelle e quella è la tecnica.
Si cominciò col mandare a casa gli ultrasessantenni, poi si istituirono premi di smobilitazione per chi intendeva andarsene, prima sessanta, poi cento, infine trecentomila lire per ogni autolicenziato.
Dei cinque pozzi un tempo attivi, due sono stati abbandonati senza allargare le ricerche che molto probabilmente sarebbero state fruttuose: degli altri 3, 2 sono in esaurimento e la società vi pratica la coltivazione a rapina. Non si preoccupa cioè di colmare di terra le gallerie esaurite, e questo rende sempre più probabili vuoti d'aria, frane ed incendi. Si fa economia di legname da armatura, e gli incidenti si fanno sempre più frequenti: nello scorso anno se ne ebbero 200 lievi e 50 gravi, rispetto ai 150 e 35 del 1951, con un aumento, cioè, rispettivamente del 33,33 e del 42,8 per cento. Negli ultimi tre mesi si sono registrate dodici frane.
Il nuovo direttore della miniera, che si chiama (non è uno scherzo) Padroni, e non è ingegnere minerario, me elettrotecnico, ha appunto questo incarico: risparmiare fino alla smobilitazione. Sugli operai si preme in vario modo: minime interruzioni del lavoro sono punite con multa e sospensione in prima istanza, poi con il licenziamento. Il lavoro si svolge con una temperatura che va da un minimo di 34 ad un massimo di oltre 42 gradi: poiché il "calore", per contratto, dev'essere retribuito con una indennità aggiunta, la società ricorre al sistema di immettere un gocciolamento d'aria nei tubi di ventilazione, con il risultato di diminuire il calore, aumentando l'umidità; oppure fa pressione sui sorveglianti perché registrino una temperatura inferiore a quella reale:
Agli operai si impone una norma costante di trenta vagoncini per squadra (due uomini) ogni turno, senza tener conto delle infinite varietà della situazione in cui può svolgersi il lavoro: si sono avuti 20 licenziamenti per inadempienza della norma. Nel gennaio scorso l'operaio Giovanni Brizzigotti è morto schiacciato sotto la gabbia dell'ascensore: gli mancavano tre vagoncini e la fine del turno era vicina; la fretta, la stanchezza, una distrazione, e l'incidente è avvenuto.
Tutto questo è stato più volte denunciato al Distretto Minerario, in quanto contravviene a precise norme di legislazione mineraria, ma tutto è rimasto lettera morta. Si fanno, naturalmente, discriminazioni di carattere politico e sindacale. L'anno scorso la società istituì una multa di cinquecento, e poi di mille lire, per gli scioperanti, ed un premio eguale per i crumiri,
Molti, pur non accettando lo sciopero e recandosi al lavoro, hanno rifiutato il premio; cinque sorveglianti hanno chiesto di lasciare il grado e di ritornare semplici operai.
Tutte queste cose mi dice Duilio Betti, un dirigente sindacale: è un giovane sui trent'anni, di robusta corporatura. Parla marchigiano, ed infatti è nato ad Urbino, ma la lunga permanenza in Maremma dà al suo accento improvvise e strane aperture toscane: quando dice "Montecatini" aspira con enfasi la "ci", come un operaio del luogo.
Ha lavorato anche alla pirite di Gavorrano, ma ora, nella sua qualità di dirigente sindacale, è in aspettativa. L'episodio più recente di lotta risale allo scorso marzo. Quarantotto operai minacciati di licenziamento rimasero nel pozzo per tre giorni.
La polizia bloccò gli accessi, sperando di prenderli per fame, ma senza risultato. Allora la società decise l'intervento armato: dirigevano le operazioni, insieme al vicequestore, il direttore della miniera ed il dottor Riccardi, commercialista, transfuga dei sindacati operai ed attualmente direttore politico del gruppo delle miniere della Maremma.
Abita a Massa Marittima, organizza circoli culturali per impiegati e tecnici, ha istituito il "prete di fabbrica", cioè un sacerdote che avvicina gli operai, anche in fondo ai pozzi, e li "rieduca". Anche il premio di crumiraggio è opera sua.
La polizia invase i pozzi, circondò gli operai, li catturò senza che facessero un gesto di ribellione: Il commissario di P.S., mi racconta Betti, non voleva ammanettarli, perché non avevano commesso reato alcuno, ma la direzione della miniera reclamò che venissero fuori con i ferri, per dare l'esempio agli altri. Furono arrestati ed incarcerati sotto l'accusa di "violazione di proprietà" e rilasciati dopo cinque giorni di detenzione; naturalmente hanno avuto subito il licenziamento. I giornali democristiani parlarono della "brillante manovra" della polizia e si felicitarono con chi la diresse.
I giornali democristiani dipingono sovente i minatori come degli agiati incomprensibilmente scontenti: il fatto è che la media dei salari si aggira, tutto compreso, sulle 35 mila lire mensili.
Si hanno delle punte fino alle 55 - 60 mila lire, come è il caso dell'operaio Capitani, che ha quattro figli ed un lavoro specializzato: ma Capitani ha trentotto anni e ne dimostra cinquanta, dopo ventotto di miniera.
Mancano le case, a Ribolla. Ho visto famiglie di quattro persone abitare in una sola stanza, divisa da un tramezzo che separa la camera dalla cucina. Stanze incredibilmente pulite e rassettate, all'interno, magari con la radio e la cucina a gas, ma senz'acqua, con un gabinetto comune ogni trenta - quaranta famiglie. I cedimenti del terreno provocano vibrazioni e conseguenti paurose crepature nei muri. La Montecatini le ha dichiarate inabitabili, rifiuta gli affitti, ed ingiunge alla gente di andarsene, ma dove?
Intanto le più pericolanti sono state "incatenate", assicurate cioè con un cavo teso intorno alle quattro pareti, un metro sotto il tetto, per impedire che si sfascino improvvisamente.