IL TIRRENO
martedì 3 maggio 1994
Speciale strage di Ribolla
I carabinieri
segnalarono una situazione dell'ordine pubblico piuttosto tesa
Ma
il dolore gelò la rabbia
Vane
le denunce dei sindacati
di Claudio Bottinelli
Il
comandante del gruppo carabinieri di Massa Marittima, maggiore
Salvatore Lombardo, era parecchio preoccupato, due giorni dopo la
sciagura.
E il 6 maggio, vigilia dei funerali, scrisse chiaro e
tondo nel suo rapporto ai superiori: <<Gli animi della
popolazione sono molto depressi e la situazione dell'ordine pubblico
è piuttosto tesa in quanto le organizzazioni di sinistra
attribuiscono la responsabilità della grave sciagura ai
dirigenti della Montecatini, per non aver preso in considerazione le
richieste dei minatori che denunciano il sistema di estrazione e
ripiena a franamento instaurato dall'attuale direttore della miniera
ingegner Padroni>>.
Da parecchi mesi i rapporti fra la
Montecatini e le maestranze erano diventati come corde di violino. I
dipendenti della Montecatini, che erano 3500 nel 1948, avevano
toccato le 1415 unità nel 1953, e la società continuava
a percorrere decisa la strada dei licenziamenti.
Colpa delle
mutate situazioni internazionali (alla fine degli anni '40) l'Italia
aveva iniziato a far arrivare carbone da altre nazioni dove si
estraeva a prezzi molto più bassi (e non era lignite povera
come quella di Ribolla) e colpa delle richieste di nuovi metodi di
lavorazione tesi a cercare produzioni maggiori pro capite.
Facendo
notare che in Francia, in Spagna e negli Stati Uniti si ottenevano
risultati tre quattro e più volte migliori che a
Ribolla, applicando sistemi di lavoro a franamento invece
che a ripiena come avveniva da noi, la Montecatini chiese
ed ottenne dal Corpo delle Miniere di percorrere questa strada, ed
ottenne un notevole miglioramento dei rendimenti pro capite.
Però,
con un volantino del 24 ottobre 1953, i sindacati denunciarono
apertamente: <<La miniera di lignite di Ribolla sta andando in
rovina. Solo negli ultimi 10 giorni ai pozzi Raffo, Costantino e n°2,
ben sette cantieri sono stati chiusi per gli incendi che in essi si
sono sviluppati a causa della cattiva condotta dei lavori da parte
della direzione>>.
E aggiungevano i sindacati: <<C'è
un aumento della pericolosità della miniera, dove da gennaio
di quest'anno ad oggi sono avvenuti 2 infortuni mortali e decine di
infortuni gravi, e le condizioni di lavoro sono spaventose, oltre che
per il pericolo di frane , per il caldo insopportabile che in alcuni
cantieri arriva a 42°>>.
In questo clima si
arrivò alla sciagura del 4 maggio, ed aveva ragione il
comandante dei carabinieri ad essere preoccupato per la
situazione.
Ma le lacrime alimentarono solo il dolore, e che aveva
responsabilità dimostrò in quei giorni che era ben
affidata. Sarebbe forse bastato un nulla perché succedesse il
finimondo, e la sciagura si assommasse alla sciagura.
Non a caso
per i funerali vennero mandati centinaia e centinaia di uomini dei
reparti Celere, e imponente era lo schieramento delle forze
dell'ordine.
Quella mattina del 4 maggio però, l'accorrere
delle ambulanze attorno all'imboccatura della miniera, dei carri
attrezzi, delle camionette, degli abitanti in preda alla
disperazione, rimase chiuso nella sfera del dolore, e non sfogò
dalla disperazione alla rabbia distruttiva ed alla vendetta.
Un
dolore profondo, che tenne ragazzi e mogli, padri e madri, e parenti
impietriti davanti la bocca del pozzo nell'attesa dei corpi dei loro
cari.
La speranza non aveva certo molto spazio: erano giù
nella miniera, dove il grisou era scoppiato ed aveva fatto
distruzione e portato morte; ma loro stettero lo stesso lì ad
aspettare, con il pianto in gola e la disperazione nel cuore.
Silvano Radi era alla guida di una delle squadre di soccorso
<<Non
sciupate i corpi>>
<<Giù
sotto trovammo delle scene terrificanti>>
Quel
4 maggio Silvano Radi, oggi pensionato a Massa Marittima, già
assessore del Comune metallifero, ed ora giovane perito minerario
della Montecatini, lavorava alla nuova galleria di scolo della
miniera di Boccheggiano, e stava dirigendo i lavori di scavo del
pozzo Ballarino.
<<Quella mattina ricorda Silvano
Radi avevamo mandato un camion a Ribolla, dove erano i
depositi della Montecatini, a caricare del materiale che ci serviva
per il lavoro, e quel camion tardava a tornare. Telefonai quindi
agli uffici della Montecatini per sapere se c'erano difficoltà,
ma al telefono non rispondeva nessuno.
Allora, era ormai primo
pomeriggio, andai personalmente a Ribolla, e seppi dell'esplosione e
dei morti>>.
<<Una tragedia enorme, e subito
ricorda Silvano Radi mi misi a disposizione insieme ad altri
tecnici, per scendere nella miniera e portare soccorso. Tecnici e
minatori, compagni di lavoro di quelli che erano morti, furono
meravigliosi in quei giorni, nell'opera di soccorso.
All'epoca
venne esaltato il lavoro dei vigili del fuoco, e in effetti si
dettero da fare; ma i veri protagonisti, quelli che ci dettero dentro
con il cuore e l'anima, senza un attimo di respiro, furono i
minatori. Mi piacerebbe che finalmente venisse ricordato in modo
preciso>>.
<<Sotto e nel ricordo Radi socchiude
gli occhi era una cosa terrificante; una frana dopo l'altra,
come se una forza brutale avesse strappato tutto quello che c'era da
strappare, tappando le gallerie.
Furono di certo pochi attimi,
quelli dell'esplosione, ma dovevano essere stati lunghi e
terrificanti: la deflagrazione, e subito dopo la fiammata>>.
qual
era l'espressione dei morti? Chiediamo.
<<Li trovammo in
posizioni diverse, qualcuno a terra, qualcun altro con le mani alzate
come per pararsi da qualcosa di spaventoso. Nella gallerie laterali,
forse, fu il peggio. Perché la vampata percorse in un baleno
la galleria principale, e causò i crolli; ma nelle gallerie
laterali, forse, l'onda d'urto non causò morti sul
colpo...>>.
Lavorò giorni e giorni, Silvano Radi,
nell'opera di recupero dei corpi.
<<Era la mattina del 7
maggio ricorda quando ci furono i funerali. Le bare
erano solo 37, perché gli altri corpi ancora erano
in fondo alla miniera.
Quando stavo per calarmi nel pozzo per
l'ennesima volta, mi avvicinò uno dei miei minatori, un amico,
Ubaldo Testini, e mi disse :Tornate nello stesso posto dove
avete lavorato ieri; dev'esserci mio fratello Marcello là
sotto. Ormai è morto, però mi faccia un favore, state
attenti a non sciuparlo quando lo troverete.
Marcello era
anche mio amico ricorda Silvano Radi e seguimmo
l'indicazione di suo fratello. Da sotto la frana venne fuori per
primo un braccio, e allora scavammo con le mani, per non rischiare di
sciupare il corpo con qualche colpo affrettato di un attrezzo.
Trovammo Marcello, e trovammo anche il suo compagno di lavoro. Tutti
e due sotto la frana.
Li mettemmo nei sacchi, come si faceva, e
risalii nella gabbia fino alla superficie, con quei due sacchi.
Proprio nel momento in cui si svolgevano i funerali ufficiali, e
cinquantamila persone, in silenzio, rendevano omaggio a quei minatori
che avevano perso la vita, facendo il loro lavoro, laggiù in
fondo al pozzo Camorra di Ribolla.