LA NAZIONE
Mercoledì 5 maggio 1954.

2a pagina.

IL FIATO DEL DEMONIO

Sarebbe mai possibile fare l'abitudine o l'orecchio alle sventure? Evidentemente no.
Tuttavia lo smarrimento e il dolore causati in Italia dalla tragedia mineraria di Ribolla verrebbe fatto di pensare abbiano raggiunto l'intensità che ancora ci fa tremare il cuore anche, appunto, per l'assoluta impreparazione mentale in cui quella notizia ci ha colto.
L'Italia si era fatalmente assuefatta a un genere di catastrofi nel quale la parola grisù non era – almeno a memoria nostra, già così antica – mai apparsa.
Il nostro Paese ha avuto, si, molte vittime anche fra i combattenti di sottoterra; ma per cause di crolli o d'infiltrazioni d'acqua.
Il malefico fiato del demonio, come qualcuno chiamò il grisù non era mai apparso a compiere tanta crudele, e così numerosa, strage.
Era sempre stata un'immagine, uno spettro, d'altri Paesi, Inghilterra, Belgio, per parlare soltanto di miniere europee, dove pure erano caduti, alla spicciolata, molti minatori nostri.
Ma qui, da noi, nessuno ci aveva mai pensato.
Non c'è bisogno di essere menti particolarmente semplici per capire come questa sensazione di stupore abbia moltiplicato (secondo quanto ci hanno detto i nostri corrispondenti) la disperazione dei parenti e degli amici delle vittime; e la pietà di tutti gli Italiani.
Per questo e per altri motivi non facilmente definibili, lo straziante dramma di Ribolla – che dura mentre scriviamo, e durerà fino all'alba, forse, se non di più, per la tenace speranza di nuovi salvataggi – ha già ormai assunto l'ampiezza e la solennità d'un lutto nazionale.
Le mamme, i babbi, le sorelle, i fratelli, i figli dei morti, degli ancora sepolti e dei feriti, debbono sapere che c'è intorno a loro una sterminata moltitudine col cuore stretto e con gli occhi rossi.
Non è davvero questo il momento di sollecitare testimonianze concrete di dolore, di solidarietà, di simpatia.
Siamo certissimi della spontanea sollecitudine con cui questo avverrà in ogni terra italiana, ove le doverose provvidenze che proteggono la vita operaia dovessero non risultare adeguate ai bisogni delle vedove e degli orfani.
Oggi – mentre si attende ancora di conoscere l'esatta misura di questo lutto – è solo tempo di pena e di preghiera.

- Per gentile concessione di Roberto Calabṛ.-