L'UNITA'
4 maggio 1957
Cronaca di
Grosseto
Tre anni or sono a Ribolla giacevano nelle
bare
i corpi straziati di ben quarantatré minatori.
Le
responsabilità della Montecatini accertate da una commissione
governativa e
da una commissione della CGIL L'attesa per
il processo che dia giustizia ai morti.
La
mattina del 4 maggio di tre anni or sono, Ribolla, la provincia,
l'Italia erano in lutto: 43 minatori straziati giacevano nelle bare
del teatro trasformato in camera ardente o nel fondo delle gallerie
rese un inferno dal violento scoppio di grisou.
Potranno passare
gli anni, i decenni ma il ricordo di quelle giornate, di quelle ore è
troppo tremendo per non averlo sempre vivo e presente. Via via che le
eroiche squadre di soccorso di minatori e vigili del fuoco, superando
tratti di gallerie pericolanti ed ancora infuocate, riuscivano a
recuperare una salma, una nuova bara prendeva posto nel salone del
cinema: i lamenti, le invocazioni strazianti delle spose, delle madri
dei congiunti non avevano tregua.
Eppoi il giorno dei funerali:
ricordiamo ancora la voce del sindaco che per l'ultima volta nominò
in un estremo appello i 43 minatori che fino a pochi giorni prima
avevano lavorato, lottato, vissuto la vita di quei paesi.
Strazio,
dolore, unanimità nell'accusa delle indiscutibili
responsabilità della tragedia: tutto ciò proruppe in
quel momento a Ribolla.
La bugia, la menzogna velata della
Montecatini non seppe e non volle tacere nemmeno in quel momento, e
pur doveva tacere, tanto erano evidenti i fatti.
La Montecatini
non volle tacere, nemmeno davanti alle bare bagnate di lacrime, e due
giorni dopo il tremendo eccidio esattamente il mattino del 6
maggio 1954 su alcuni giornali usciva il seguente comunicato
della società: ... Ogni ricerca e indagine immaginabile
e possibile sull'origine dell0esplosione è già in
corso, e sarà proseguita e condotta a termine con tutta
ampiezza e precisione. Ciò che fin da ora si può con
certezza comunicare è che tutte le misure di sicurezza
pienamente adeguate alla moderna e completa attrezzatura della
miniera erano in perfetta efficienza. Il che fa fondatamente
presumere che le cause che hanno determinato la sciagura si debbano
attribuire, come purtroppo in tanti altri analoghi casi, a mera
fatalità...
Quel comunicato, ricordiamo, suscitò
un'ondata di sdegno ben visibile in un'atmosfera già
esasperata. A mera fatalità...: una affermazione
di falso gettata ad arte anche se con poca intelligenza.
Non era
però mera fatalità, come dimostravano le
decine di precisi e preziosi documenti del sindacato minatori, o la
lettera all'Unità del compagno Otello Tacconi, bensì
responsabilità inequivocabili di una sciagurata politica di
supersfruttamento e di rapina del sottosuolo da parte della
Montecatini.
Non mera fatalità ma
responsabilità: così concludevano le due inchieste
promosse e condotte da una commissione governativa e da una
commissione della CGIL. Ed alla stessa conclusione giungeva in breve
il magistrato che pochi mesi dopo spiccava mandato di cattura verso
sei dirigenti della Montecatini, compreso un funzionario del
ministero dell'industria.
Ma la Montecatini, nel tentativo
disperato di attutire le conseguenze che direttamente la investivano
dal momento che più nessuno restava disposto (neppure la
società stessa) a credere alla fatalità od alla
sfortuna, ricorse ad altre iniziative, ad altri espedienti, ad altri
mezzi.
Pochi giorni dopo il disastro nasceva un figlio al povero
nostro compagno Giovanni Calabrò, nasceva il piccolo Giovanni;
la locale direzione della Montecatini inviava subito una lettera in
data 17 maggio nella quale era scritto ... Gentile signora, le
confermiamo che il suo piccolo Giovanni è stato ufficialmente
adottato dalla società...; il Giornale del
mattino, in data 18 maggio,
pubblicava la notizia affermando che la povera madre aveva accettato
la proposta di adozione per il figlio, ma così non fu, giacché
in data 19 maggio, Lorena Calabrò (vedova di Giovanni Calabrò,
segretario della sezione comunista di Ribolla e dirigente di quella
Commissione interna), così scriveva e rispondeva alla società:
... Non posso accettare la vostra proposta di adozione in
qualsiasi forma da parte di codesta società che tanto male ha
fatto alla mia famiglia ed a tutti i lavoratori di Ribolla, tanto che
ho deciso di costituirmi parte civile. Le chiedo però, e penso
con questo di interpretare il pensiero di molte famiglie di caduti,
che sia dovere, da parte di codesta società, di stanziare una
determinata somma, ma a tutti i figli dei caduti nella immane
sciagura di Ribolla.
E i tentativi non finirono qui. Al
tempo stesso fu continuata in pratica una politica tale per cui non
si doveva riconoscere nessun errore commesso nel passato: i
licenziati per rappresaglia per esempio i 48 non si
sono voluti rimettere al lavoro per non dimostrare evidentemente che
lottando essi contro certi metodi instaurati da tempo nella miniera
di Ribolla avevano piena ragione; si è continuato ad impedire
alla Commissione interna, per anni e mesi, di accedere ad ispezioni
nei vari cantieri.
Oggi a Ribolla, in tutti i paesi vicini, sia i
minatori che la popolazione attendono con ansia e con fiducia che il
processo contro i responsabili abbia luogo, e sperano inoltre che non
sarà fatto lontano, bensì in una località, in
una città che permetta anche a molti di poter dire, senza
immensi sacrifici, tutto ciò che risulterà prezioso ai
fini della giustizia.
In fondo in questi paesi, nella coscienza di
queste popolazioni e non soltanto di queste, la Montecatini è
già stata condannata da molto tempo.
E.
G.
- Per gentile concessione di Roberto
Calabṛ.-