Le Bois du Cazier. (Marcinelle)

L'utilizzazione del carbone in Belgio risale alla notte dei tempi e la storia rasenta spesso la leggenda. La coltivazione si limitò per molto tempo a piccoli pozzi poco profondi, talvolta in muratura, chiamati "cayats" nella regione di Charleroi e "bures" a Liegi.
Nel diciannovesimo secolo, l'utilizzazione della macchina a vapore e i bisogni energetici aumentati per la siderurgia e la vetreria, uniti all'evoluzione tecnologica e all'intervento dei finanziamenti nel settore dello sviluppo delle miniere, fecero dello sfruttamento del carbone il centro dell'attività industriale della Regione Vallona, divisa in quattro grandi bacini: Borinage, Centre, Charleroi e Liège.
Lo sviluppo dell'industria del carbone si basò sullo sfruttamento di una massa operaia numerosa e produttiva, le cui condizioni di lavoro erano spesso precarie. Progressivamente, viste le caratteristiche geologiche del giacimento che ne fecero uno dei più difficili al mondo per lo sfruttamento, le miniere meccanizzarono i loro pozzi di estrazione.
Colpi d'acqua, di grisou e di polveri, incendi e frane funestarono regolarmente le regioni minerarie. Ma mai la miniera aveva reclamato così tante vittime in cambio del minerale estratto dalle sue viscere. L'8 agosto 1956 persero la vita 262 uomini in quella che viene ricordata come la più grande catastrofe mineraria del Belgio.
Dopo essere stata travolta dalla crisi del carbone e chiusa nel 1967, le Bois du Cazier oggi rivive. I suoi cancelli si sono riaperti; i più anziani possono ricordare, mentre i più giovani, garanti della trasmissione del nostro patrimonio e guardiani della memoria collettiva, sono dei visitatori privilegiati.

 

Quando si arriva a le Bois du Cazier, le case operaie che si distendono verso l'entrata della miniera sulla via di Cazier ci ricordano che stiamo calpestando un suolo entrato nella storia dopo  quel giorno di agosto del 1956.  La struttura architettonica, classificata come monumento nel 1990, è scandita da tre gruppi paralleli di costruzioni che mostrano con fierezza i loro frontoni. I due castelletti di estrazione, restaurati con cura, sembrano dire che il tempo si è fermato. L'area intorno alla miniera è circondata dalla vegetazione cresciuta su tre montagne di scorie di roccia carbonifera.
Attirati dalle facciate degli edifici e dai castelli di estrazione, attraversiamo i cancelli ed entriamo sul territorio della miniera. Ai piedi di un monumento in marmo di Carrara, sul quale sono incisi i nomi delle 262 vittime, sentiamo una carica emozionale che, come la polvere di carbone, continua a rimanere incollata ai mattoni degli edifici.
Ripercorrendo i passi dei minatori ne seguiamo le tracce, dagli alloggi ai pozzi, passando per le docce e la lampisteria; è facile immaginare come fosse lì la vita quando la miniera era in attività.
Due spazi sono dedicati al passato: uno alla tragedia e all'immigrazione, l'altro alla storia di una regione creata dalla Rivoluzione industriale. Questi spazi didattici legano il passato al futuro attraverso uno sguardo sul presente e spingono a interrogarsi sulle basi storiche e tecniche, sui fatti sociali che ricorrono anche nel nostro tempo.

Lo spazio "8 agosto 1956".
Lo spazio "8 agosto 1956" è ospitato nel locale di un impianto di estrazione e attraverso le pagine più dure e nere della storia del lavoro in Belgio, ricorda che il mestiere di minatore è, prima di tutto, un mestiere per uomini dal grande cuore.
A causa di un errore umano, un incendio si diffuse rapidamente in tutta la miniera e persero la vita 262 uomini di dodici nazionalità (di cui 136 italiani e 95 belgi). Le conseguenze della catastrofe furono l'arresto dell'immigrazione verso il Belgio e una regolamentazione più severa in materia di sicurezza sul lavoro.
La visita inizia dal pian terreno con uno scenario storico e tecnico: evocazione della Battaglia del carbone, presentazione della miniera com'era la mattina del disastro, descrizione della varie attività. La ricostruzione di una galleria permette, infine, un approccio sensoriale, tanto per il rumore che per il calore, alle condizioni di lavoro di un minatore.
Con l'ascensore saliamo al secondo piano ed entriamo nella via di Cazier la mattina dell'8 agosto. La riproduzione gigante di una delle prime fotografie della disgrazie e le sculture in terracotta dell'artista britannico Paul Day ci pongono di fronte all'orrore provocato dall'annuncio dell'incidente.
Al piano inferiore, attorno ai macchinari di estrazione, films, fotografie, testimonianze e spiegazioni tecniche ci raccontano, ora per ora, giorno per giorno, la catastrofe e le operazioni di salvataggio, fino al fatidico 23 agosto quando dalla bocca di un minatore uscì il terribile verdetto: "Tutti cadaveri!".
Un muro di fotografie, testi, documenti dell'epoca e testimonianze filmate completa la scenografia sul tema dell'immigrazione.
Prima dell'uscita, tre testi fanno da tratto di unione con il presente e attirano l'attenzione sulla fatale tendenza della storia a ripercorrere gli stessi passi, senza che alcuna lezione sia mai ricordata.

Materiale fornito da Alessandro Pellegatta.