MA.R.I.C.A.

MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE CRONICHE e AUTOIMMUNI

ASSOCIAZIONE BRESCIANA ARTRITE REUMATOIDE

A.B.A.R.

 

VOLUME 5 – 2000

 

Altri volumi

INIZIATIVE E ATTIVITA’ DELL’ABAR

QUARTA ASSEMBLEA ANNUALE

  La quarta assemblea, svoltasi l’8 maggio 1999, dopo l’approvazione dei bilanci consuntivo del 1998 e preventivo del 1999, ha visto una attenta partecipazione dei nostri Soci alle re­lazioni presentate dal professor Roberto Cattaneo e dal dottor Roberto Gorla sui problemi cimici della A.R. In particolare ha suscitato attenzione e speranza la notizia di nuovi farmaci in via di sperimentazione, farmaci di cui si parla anche in questo volumetto.

IL SERVIZIO DI IMMUNOLOGIA E ALLERGOLOGIA

  Come ogni Socio sa bene, i problemi logistici del Servizio di Immunologia e Allergologia sono sempre gli stessi e se i medici e i biologi devono lottare con gli spazi ristretti per svolgere il loro lavoro, noi ammalati abbiamo sempre i due piani di scale senza ascensore e così via. Non ci dilunghiamo a raccontare degli incontri-scontri su questi argomenti con la Direzione dell’Ospedale; quello che possiamo dire è che ci sentiamo più forti insieme alle altre associazioni che fanno capo al Servizio - come l’ADMO (Associazione donatori di midollo osseo) e il LES (Associazione per la lotta contro il Lupus Eritematoso Sistemico).

  IL COMITATO UN MATTONE PER L’IMMUNOLOGIA

  Proprio per l’esigenza di migliorare il Servizio e di evitare promesse e impegni nel passato mai mantenuti, ABAR, ADMO e LES hanno deciso - sull’esempio di altre città - di mobilitare i cittadini per una raccolta di fondi che consenta all’Ospedale Civile di affrontare la costruzione di un nuovo edificio destinato al Servizio di Immunologia e Allergologia. L’edificio è previsto vicino alla sede degli infettivi e il progetto definitivo non è ancora stato reso noto.

Il 5 agosto, nella sala consigliare dell’Ospedale Civile, è stata convocata una conferenza stampa per annunciare la nascita del Comitato ai rappresentanti dei mezzi di informazione della città e della provincia.

I PROBLEMI DELLA RIABILITAZIONE

  Di fronte alla tendenza a ridurre i centri pubblici di riabilitazione funzionale molto importante per i malati di A.R., come tutti i nostri Soci sanno l’ABAR si è adoperata a contrastare tale tendenza insieme alle altre associazioni di malati come Unione italiana per la lotta alla distrofia muscolare (UILDM), Associazione italiana sclerosi multipla (AISM), Associazione italiana assistenza spastici (AIAS), ecc.

L’ARTRITE REUMATOIDE DELLA SPALLA E DEL GOMITO

  A. VIGASIO, V. MATTIUZZO, A. PATELLI, I. MARCOCCIO UNITA’ OPERATIVA ORTOPEDIA II - ISTITUTO CLINICO CITTA’ DI BRESCIA

  La poliartrite reumatoide è una malattia autoimmune del tessuto connettivo a predominanza sinoviale, che predilige il sesso femminile, tra i 40 e i 60 anni ed evolve a pousseès o recidive che determinano delle lesioni articolari gravi. Le localizzazioni alla spalla e al gomito sono molto frequenti e, a seconda delle casistiche, esse sono possibili per la spalla tra il 60% e l’80% dei casi e per il gomito tra il 40% e il 50% dei casi, nel corso dell’Artrite Reumatoide.

  Si tratta quindi di localizzazioni importanti, se confrontate con altre localizzazioni, come è possibile estrapolare dalla tabella seguente, tratta da una recente casistica internazionale:

 

Mano, poLso e dita

90%

Avampiede

90%

Spalla

60%-80%

Ginocchio

80%

Rachide cervicale

50%-60%

Temporo-mandibolare

55%

Gomito

40%-50%

Anca

12%-38%

 

Caviglia, sacroiliache, interfalangee distali, sternoclaveare  <5%

Praticamente indenni rachide dorsale e lombare. Le tenosinoviti, soprattutto alle mani, sono costanti.

 Le lesioni reumatoidi di spalla e gomito comportano, quando il danno è evoluto, delle serie ripercussioni sul piano funzionale. Perché allora nell’opinione corrente (dei reumatologi e degli ortopedici, non certo dei pazienti!) la spalla e il go­mito sono stati e sono tuttora poco considerati come localizzazioni «principali» di artrite reumatoide?

Per una serie di motivi.

Il primo è dovuto alle modalità di esordio di una A.R. che ignora quasi sempre la spalla e il gomito, se è vero che nel 70% dei casi inizia come oligoartrite distale, cioè alle estremità di un arto. Infatti solitamente la malattia interessa all’inizio simmetricamente il polso o le articolazioni metacarpofalangee (so­prattutto la 2a e la 3a) o le interfalangee prossimali o l’avampiede. Un esordio detto «rizomielico», cioè prossimale perché interessa le anche o le spalle, è si possibile, ma più raro (5% dei casi), sempre dopo la sessantina e pone, per la sua rarità, un problema diagnostico difficile con la pseudopoliartrite rizomielica.

Il secondo motivo è che nella fase successiva, detta artrite conclamata o «di stato», pur essendo come già detto molto frequente la localizzazione alla spalla e, anche se in misura minore, al gomito, solitamente queste localizzazioni sono ben tollerate (contrariamente a quanto avviene per altri distretti come il piede, il ginocchio o l’anca).

Le ragioni di questa tollerabilità sono molte:

·        innanzitutto perché la spalla, pur presentando una progressiva rigidità, lamenta solo una limitazione dolorosa dei movimenti di abduzione ed extrarotazione, che il paziente riesce a compensare a lungo utilizzando l’articolazione scapolotoracica o utilizzando l’arto controlaterale quando è indenne (anche se le localizzazioni sono bilaterali nell’88% dei casi);

·        altro elemento non trascurabile è che il dolore alla spalla diventa veramente grave se si porta la mano al di sopra della spalla, movimento che, per quanto importante, non è certo fondamentale rispetto ad altri movimenti, con il braccio abbassato o moderatamente sollevato.

Per quanto riguarda il gomito ci sono almeno tre giustificazioni che rendono ragione di questa tollerabilità della lesione rispetto ad altre localizzazioni:

·        nel gomito, come per ogni localizzazione all’arto superiore, quando l’interessamento è monolaterale, il paziente utilizza il gomito opposto;

·        oppure utilizza le articolazioni sopra o sottostanti;

·        e comunque, anche in caso di lesione avanzata, è conservata una certa mobilità nel settore utile o funzionale.

   Terzo motivo, non meno importante, è che l’aspetto inestetico di altre localizzazioni (ad esempio le mani) o il grave danno funzionale di queste localizzazioni (mano, anca, ginocchio, piede, rotture tendinee etc.) fa passare in secondo piano le lesioni alla spalla e al gomito. A questo punto, purtroppo, entra in gioco probabilmente anche una certa responsabilità del chirurgo. In che senso? Per rispondere, bisogna ricordare che nella maggior parte dei testi di chirurgia ortopedica vengono enunciate e spesso sottolineate, per la chirurgia del paziente affetto da artrite reumatoide, le seguenti regole, a mio avviso in buona parte corrette:

a)  in certi pazienti la gravità dei danni a molte articolazioni ridimensiona le ambizioni chirurgiche. L’indicazione chirurgica pertanto non sempre è ricostruttrice ma funzionale, cercando cioè almeno di ripristinare una funzione perduta anziché ricostruire un’articolazione distrutta;

b)  nella pianificazione chirurgica, dovendo spesso il paziente essere sottoposto a interventi plurimi in varie sedi (ad esempio le anche, le ginocchia, i polsi, le mani) bisogna considerare anche gli imperativi psicologici. Ciò significa che bisogna aiutare il paziente, guadagnando la sua fiducia, con una serie di interventi «vincenti», cioè di quasi sicuro risultato e con il minore impegno fisico e mentale del paziente stesso. In quest’ottica sono vincenti gli interventi di sinoviectomia articolare al polso o le artrodesi parziali del polso con resezione della testa ulnare o l’artrodesi mediofalangea del pollice o la chirurgia dell’avampiede o le artroprotesi dell’anca. Dare inizio ad un programma chirurgico in un paziente «nuovo» con delle protesi delle metacarpofalangee della mano con risultati incerti o talora negativi è un grave errore:

probabilmente il paziente non si farà più operare per lungo tempo anche sulle altre articolazioni! In questo contesto la chirurgia della spalla e del gomito costituisce una chirurgia poco vincente o almeno lo è stata di certo fino a qualche anno fa. Perché questo?

Soprattutto per tre motivi, interdipendenti tra loro:

1) per molti anni l’unico intervento proposto alla spalla e al gomito è stata l’artroprotesi;

2) la qualità di queste protesi era decisamente inferiore a quelle dell’anca e del ginocchio, con risultati meno buoni rispetto all’arto inferiore;

3) la confidenza del chirurgo ortopedico con la spalla e il gomito era, per motivi storici e tecnici, molto minore rispetto alle altre grosse articolazioni del corpo, per cui il chirurgo ha in parte la responsabilità di non aver «caldeggiato» questa chirurgia.

Oggi le cose sono cambiate e cercherò di esporvi cosa penso rispetto all’artrite reumatoide del gomito e della spalla ed al suo trattamento.

GOMITO E SPALLA REUMATOIDI

Gomito e spalla costituiscono una unica struttura funzionale che lavora in sinergismo per fare da supporto logistico alla mano. Questo «insieme funzionale spalla-gomito» è stato classificato in 7 livelli di funzione da Mahile e Allieu:

Livello 0:    non si può spostare la mano;

             Livello 1:    la mano può essere spostata a un orifizio digestivo; Livello 2: la mano può arrivare alla bocca e al perineo 

                               anteriore  o posteriore;

Livello 3:    la mano può arrivare alla bocca e al perineo anteriore e posteriore;

             Livello 4:    uguale al livello 3 + alla testa o alla nuca;

             Livello 5:    uguale al livello 3 + alla testa e alla nuca;

            Livello 6:    uguale a livello 5+ all’esterno (sono presenti abdu­zione + extrarotazione della spalla ed estensione +

                              supinazione  del gomito).

    GOMITO

  Come già detto, esso tollera bene una lesione reumatoide. La diagnosi all’inizio deve essere fatta sulla base di una attenta raccolta dei dati anamnestici (dolore, limitazione funzionale, scrosci dolorosi) e un accurato esame clinico. Fondamentale è la palpazione per ricercare un panno sinoviale della radio-ulnare o della radio-omerale con scrosci dolorosi in supinazione. Importante, nelle sinoviti evolute, l’interessamento del nervo ulnare alla doccia epitrocleo-olecranica, che si manifesta con parestesie o dolore al 4°-5° dito e difficoltà ai movimenti fini della mano.

Gli esami radiologici usuali vanno fatti in proiezione standard e integrati con scansioni TAC in supinazione e pronazione, che mostreranno nelle forme iniziali una demineralizzazione ossea ed un assottigliamento dell’ interlinea articolare.

  A) Se la lesione è clinicamente non evoluta con dolore sopportabile, scarsa limitazione funzionale, limitata sinovite, minimo o assente danno radiologico, si predilige la terapia medica (per controllare dolore e infiammazione) e la terapia fisioriabilitativa (applicazione di calore per ridurre la contrattura muscolare e chinesiterapia assistita per evitare rigidità e mantenere tono e trofismo muscolari).

B) Nelle forme più evolute, dove il dolore è importante, il panno sinoviale è clinicamente presente, con interessamento del nervo ulnare, e con limitazione funzionale, è indicata la chirurgia che fino ad oggi non è mai stata frequentemente affrontata. In queste fasi sintomatiche, con buon movimento e senza instabilità, anche se c’è radiologicamente una lesione articolare avanzata (non avanzatissima), è possibile fare una sinoviectomia, preferibilmente a cielo aperto, cioè chirurgica, con una incisione mediale associata eventualmente a una controincisione radio-omerale, dove normalmente è necessaria una resezione del capitello radiale, per recuperare una buona supinazione. All’intervento seguirà una prolungata rieducazione che permetterà di ottenere buoni risultati.

C) Esistono poi i casi più gravi che si possono suddividere in due tipi:

1) evoluta distruzione articolare con gomito rigido o quasi. Solitamente il blocco articolare riduce o annulla il dolore. In questi casi è di regola l’astensione terapeutica, a condizione che il gomito sia rigido in posizione di funzione della mano, cioè in pronazione e in estensione tra 90° e 135°

2) se invece il gomito presenta una evoluta lesione articolare con instabilità dolorosa (situazione opposta alla rigidità) c’è impotenza funzionale grave ed allora è indicato un intervento di artroprotesi. Grandi progressi sono stati fatti in questo settore dove ormai sono a disposizione molti modelli che solitamente sostituiscono l’articolazione omero­ulnare.

Sono protesi moderne che hanno ormai superato il concetto delle protesi «a cerniera» metallo-metallo, soggette a frequenti fenomeni di scollamento e sono raggruppate in due categorie, rappresentate dalle protesi semivincolate (GSB III, Mayo etc.) e dalle protesi di rivestimento, simili a quelle di scivolamento del ginocchio. I risultati di queste protesi sono molto buoni. Resta comunque il fatto che l’indicazione alla protesi si deve limitare alla A.R. evoluta, con instabilità e non si devono invece dimenticare in tutti gli altri casi i buoni risultati ottenibili con una semplice sinoviectomia.

  SPALLA

  La localizzazione alla spalla, come già detto molto frequente e spesso bilaterale, può interessare tutti gli elementi dell’articolazione: la borsa sotto acromiale, le articolazioni acromion-claveare, scapolo omerale e, meno frequentemente, la sterno-claveare.

In realtà l’A.R. colpisce classicamente due settori:

  ·        l’articolazione scapolo-omerale,

  ·        l’articolazione subacromiale, cioè la cuffia dei tendini extra­rotatori.

  Il meccanismo di queste due lesioni è interdipendente ed avviene nel modo seguente:

a) all’inizio è presente un interessamento ad entrambi i livelli (con sinovite scapolo omerale e borsite subacromiale, associata quest’ultima a sinovite dei tendini extrarotatori). C’è dolore, aggravato dai movimenti ai gradi estremi e progressiva limitazione funzionale (soprattutto limitate sono l’abduzione e l’extrarotazione). Radiologicamente è presente solo una modesta riduzione dell’interlinea articolare scapolo-omerale. Il trattamento è conservativo con chinesiterapia contro la rigidità e farmaci contro il dolore e l’infiammazione. Se la sintomatologia resta sotto controllo, non si modifica il trattamento.

b) Se invece il dolore aumenta e la rigidità si aggrava, c’è il rischio che il quadro sfugga di mano, con l’insorgenza della «spalla congelata», con la seguente evoluzione: > dolore, quindi > rigidità, quindi > contrattura capsulolegamentosa e ulteriore rigidità della spalla che viene mantenuta accanto al corpo. L’immobilità porta all’irrigidimento del gomito in flessione e rigidità del polso e delle dita. Radiograficamente c’è un aggravamento della sinovite scapolo-omerale e subacromiale. In modo particolare, se si aggrava l’usura cartilaginea scapolo-omerale, c’è una risalita della testa omerale che provoca una sindrome da conflitto doloroso tra grande tuberosità e acromion.

In questa fase, se si interviene in tempo, si blocca la malattia e si evita la successiva rottura della cuffia dei tendini extrarotatori. L’intervento è la sinoviectomia, artroscopica o non, della scapolo-omerale e della sottoacromiale (dove si deve eseguire una bursectomia). Alla sinoviectomia deve seguire una prolungata chinesiterapia (alcuni mesi) e questo arresta, per molto tempo o per sempre, la malattia in questa sede.

c)      Se invece il danno sinoviale prodotto dal panno reumatoide è evoluto, c’è grave distruzione della articolazione scapolo­omerale e risalita della testa omerale con lesione associata della cuffia dei rotatori (quest’ultima statisticamente presente in non più del 30% dei casi di grave artrite). Radiograficamente abbiamo tre possibili quadri:

·        Forma secca: con sclerosi ed osteofiti simili all’artrosi;

·        Forma umida: con abbondante erosione articolare dovuta al panno sinoviale;

·        Forma umida con riassorbimento: con perdita pressoché totale della testa e della glenoide con migrazione centrale della testa omerale detta «centralizzazione».

In questi casi non è possibile la sinoviectomia, ma solo un’artroprotesi. Oggi si usano le protesi non vincolate tipo Neer o similari che possono offrire ottimi risultati sul dolore e discreti sulla funzione, a condizione che il paziente accetti dopo l’intervento di sottoporsi a mesi di riabilitazione muscolare ed articolare.

Ovviamente, più avanzata è la distruzione ossea e più facili sono le complicazioni (10-12%), rappresentate da scollamenti (soprattutto della porzione scapolare della protesi) e/o infezioni.

Sicuramente oggi è in atto una frenetica attività di ricerca, anche sulla base dei grossi interessi economici in gioco, per migliorare le protesi di spalla e ciò consentirà in futuro di trattare con sempre maggior disinvoltura l’artrite reumatoide di questa articolazione, troppo a lungo trascurata.

  CONCLUSIONI

  In conclusione, in un corretto trattamento delle localizzazioni della Artrite Reumatoide al gomito e alla spalla non si può non considerare il ruolo della chirurgia.

Sicuramente c’è una norma ben precisa per cui va data la priorità assoluta agli arti inferiori, partendo dal piede e risalendo poi al ginocchio e all’anca, mentre per gli arti superiori bisogna partire prossimalmente, cioè dalla spalla e scendere poi fino alla mano. Non serve a nulla correggere una mano se essa non può essere utilizzata a causa di una cattiva spalla o di un cattivo gomito.

Per quanto riguarda i tipi di intervento, in particolare le sinoviectomie, se correttamente eseguite non solo tecnicamente ma anche nel rispetto delle indicazioni, hanno un notevole si­gnificato sia nel trattamento del dolore e della funzione che nell’arresto della malattia.

Nei casi evoluti, dove la sinoviectomia non è possibile, esi­stono protesi sempre più moderne, tali da fare presagire alle soglie del 2000 una nuova era. Bisogna infine sfatare il preconcetto che la chirurgia in questi distretti porti sempre rigidità. Certamente questo è un rischio non trascurabile nella Artrite Reumatoide, ma basta che si esegua un corretto e prolungato programma riabilitativo in ambiente specialistico per fare sì che i risultati siano soddisfacenti.

   

IMPORTANZA DEL TRATTAMENTO

RIABILITATIVO NEI PAZIENTI

AFFETTI DA A.R.

Dr.ssa PAOLA BEITINI - ISTITUTO CLINICO CITTA’ DI BRESCIA - UNITA’ OPERATIVA DI RIABILITAZIONE

  «Ogni piccolissimo progetto costituisce una motivazione un incoraggiamento e un aiuto a conquistare una sempre maggiore autonomia».

 

Ho avuto la fortuna di frequentare per circa quattro anni il Servizio di Immunologia clinica degli Spedali Civili e di poter conoscere da vicino le problematiche che affliggono un individuo affetto da artrite reumatoide.

Ho conosciuto, anche se in minima parte, quali possono essere le gravi complicazioni invalidanti legate a questa patologia e quanto possa in certi casi essere difficile il controllo dell’evoluzione della malattia.

L’occasione di conoscere la Riabilitazione mi ha aiutato nel comprenderne l’importanza, specie nel campo di quelle patologie che determinano per la persona la perdita della propria autonomia funzionale. L’A.R. porta il paziente a una situazione in cui non riesce ad adempiere completamente alle comuni attività della vita di tutti i giorni.

Le alterazioni a livello articolare determinano infatti mancanza di forza, dolore, limitazione funzionale e deformità. Tutto ciò porta il paziente a dover drasticamente ridimensionare il proprio progetto di vita, inteso come lavoro, relazioni sociali, attività ricreative e ludiche. Accanto al trattamento medico si rende quindi necessario un adeguato programma riabilitativo che miri fondamentalmente a conservare o a restituire al paziente affetto da AR funzioni sicure che possano assicurargli il massimo dell’autonomia per il più lungo tempo possibile.

Il trattamento riabilitativo, in questo senso, mira a contenere il danno articolare entro limiti accettabili e compatibili con la vita del paziente stesso. Data l’unicità dell’individuo e le diverse fasi della malattia, non si può parlare di un trattamento «tipo» per il paziente affetto da AR. In tal senso è fondamentale una conoscenza della storia clinica e dell’evoluzione della malattia. E importante definire la fase della malattia stessa, in quanto l’approccio in fase acuta è sostanzialmente differente rispetto alla fase subacuta o cronica.

IN FASE ACUTA

     1.     Riposo articolare.

2.     Allineamento posturale corretto, in rilasciamento rispettando l’isometria muscolare.

3.     Utilizzo di terapia fisica a scopo antalgico e antiflogistico.

  Successivamente, risoltosi il periodo di fase acuta, si procede nel seguente modo:

     1.     Esercizio terapeutico segmentario passivo.

2.     Terapia antalgica e decontratturante.

  Fondamentale risulta essere la prevenzione della rigidità arti­colare.

  NELLA FASE SUBACUTA E IN QUELLA CRONICA

     1.     Cicli periodici di manovre articolari che inducano un effetto di pompa sulla sinovia (in assenza di deformità).

2.     Esercizio terapeutico prima passivo e poi attivo, per il reCu­pero dell’escursione articolare, la ripresa della forza e della resistenza muscolare con esercizi segmentari e globali.

3.     Rieducazione a sequenze del movimento ordinate ed armoniche, controllo del ritmo e della coordinazione.

4.     Mantenimento di tono, trofismo e validità muscolare, che garantiscano il massimo grado di efficacia possibile e preservino la sensibilità distrettuale.

5.     Rieducazione del passo e presa di coscienza delle fasi del cammino.

6.     Educazione alle regole di economia articolare (di cui si è parlato in un precedente volume, n. 3).

  In fase tardiva evitare eventuali complicanze a carico delle strutture anatomiche non coinvolte.

  Per quanto riguarda gli esiti:

    1 -  Adattamenti (modifiche/ausili) per ristabilire una funzione persa.

2 -  Soluzione chirurgica e FICT (Fisiochinesiterapia) post intervento.

  L’approccio riabilitativo al paziente affetto da AR è molto complesso e implica una conoscenza della malattia da parte del Fisiatra e del Terapista della riabilitazione, nonché una stretta collaborazione con il collega reumatologo o immunologo, per poter aiutare, in maniera seria e completa, il paziente a svolgere una vita il più normale possibile.  

LE NUOVE TERAPIE PER L’ARTRITE REUMATOIDE

  PRESENTE E FUTURO

SPERANZE ELIMITI

  Dr Roberto Gorla

  Eliminare la causa di una malattia conduce, generalmente, alla sua guarigione. Per fare alcuni esempi: individuato il microrganismo responsabile di una malattia infettiva, mediante l’assunzione degli appropriati antibiotici è possibile raggiungere la sua eliminazione; evidenziata la malformazione di un organo è possibile, mediante un intervento chirurgico, correggerla. L’enorme limite alla terapia dell’Artrite Reumatoide (AR) è costituito dalla non conoscenza della o delle cause della malattia e, per questo motivo, nessun farmaco si è dimostrato in grado di indurne la guarigione definitiva.

Certo, le maggiori conoscenze raggiunte oggi riguardo ai meccanismi infiammatori che sottendono alla cronicità della AR, hanno indotto un migliore impiego dei farmaci anti-reumatici con conseguente riduzione, in un elevato numero di malati, della progressione del danno anatomico articolare.

Va riconosciuto all’impiego precoce (all’inizio della malattia) e combinato (più farmaci in associazione) dei farmaci anti-reumatici l’elevato numero di remissioni («guarigioni» tem­poranee parziali) e il decremento dei casi di invalidità precoce. Questo avviene però al prezzo di terapie eseguite per lunghissimo tempo, di numerosi casi di sospensione dei farmaci per tossicità e intolleranza, della necessità di essere sottoposti ad innumerevoli visite mediche ed esami di laboratorio.

Negli ultimi due anni, dopo decenni di silenzio, l’Artrite Reumatoide (AR) è divenuta oggetto di attenzione dei programmi televisivi e dei giornali. Il motivo di questo interesse è da ricercarsi nel tentativo di diffondere (e forse di pubblicizzare) la notizia della prossima immissione in commercio di nuovi farmaci, spesso definiti miracolosi.

Al fine di non accendere vane speranze in chi ogni giorno convive con il dolore e con la deprimente rabbia di essere limitato nello svolgimento delle comuni attività, riteniamo corretto, in questo breve scritto, sottolineare gli aspetti innovativi e i limiti di questi farmaci.

  A.   GLI ASPETTI POSITIVI

I nuovi farmaci sono molti: da quelli attivi sui sintomi (anti-infiammatori non steroidei) a quelli anti-reumatici, ipoteticamente in grado di modificare il decorso dell’AR. E imminente la disponibilità di farmaci attivi sul dolore con la caratteristica di non essere fortemente lesivi della mucosa dello stomaco.

I farmaci anti-infiammatori, nonostante non modifichino il decorso della malattia, sono largamente impiegati dai malati di artrite perché migliorano la qualità di vita, mediante la riduzione del dolore. I nuovi farmaci di questa classe potranno in molti casi evitare il concomitante impiego di farmaci anti-acidi o antiulcera, con risparmio in denaro e in pillole da assumere quotidianamente.

Poniamo maggiore attenzione ed interesse nell’affrontare, invece, il tema dei nuovi farmaci anti-reumatici. In particolare, alcuni di loro, frutto della ricerca biotecnologica, si sono dimostrati in grado di ridurre significativamente il grado di attività della AR evoluta e attiva, mediante il blocco di una proteina pro-infiammatoria (il TNFa). Ciò significa che, in un elevato numero (circa il 70%) di casi

«disperati», dove si era assistito al fallimento di molti altri farmaci di comune impiego, è stato possibile osservare una riduzione significativa dell’artrite.

Inoltre, ed è questa la novità di maggiore rilievo, dati preliminari, ottenuti in sperimentazione, hanno evidenziato una riduzione della progressione del danno anatomico articolare, in confronto con altri farmaci anti-reumatici di provata efficacia. Ciò accende la speranza, ancora da dimostrare definitivamente, di un trattamento efficace quando iniziato precocemente, all’esordio dell’AR, per «bloccare» il danno articolare che sottende alla futura invalidità.

Possiamo quindi concludere che, all’inizio del nuovo millennio, malati e reumatologi potranno avere a disposizione maggiori armi per dominare l’Artrite Reumatoide.

  B. I LIMITI

  La sperimentazione di questi farmaci non è ancora terminata. Non sono quindi disponibili dati di efficacia e di sicurezza relativi al loro impiego a lungo termine. Anzi, per alcuni di loro è prevedibile ipotizzare una progressiva perdita di efficacia nel tempo, per la comparsa di reazioni immunitarie che, attraverso la formazione di anticorpi verso queste molecole biologiche, porteranno alla neutralizzazione del loro effetto. Per questo motivo è stata dimostrata la necessità di un concomitante impiego di altri farmaci immunodepressori, quali il Methotrexate, che indurrebbe una migliore tolleranza immunologica dei farmaci biologici e ne potenzierebbe l’azione terapeutica.

Anche per quanto riguarda la comparsa di effetti collaterali indesiderati, non sono disponibili evidenze a lungo termine. D’altra parte, per ogni nuovo farmaco non è possibile avere inizialmente dati di efficacia e sicurezza a lungo termine, perché altrimenti sarebbero necessarie sperimentazioni di durata tale da rendere vecchio il farmaco all’immissione in commercio.

Un serio problema, relativo all’attesa commercializzazione di questi farmaci, riguarda il loro costo economico. La massima «nessuno regala nulla per nulla» bene si adatta allo scenario attuale. Se è pur vero che devono essere ammortizzati i costi della ricerca e della produzione di queste molecole, è anche da sottolineare che la politica delle aziende depositarie dei brevetti è orientata al tentativo di un esoso profitto.

Forti dell’efficacia dei loro farmaci, sembra vogliano fare pagare anticipatamente l’eventuale risparmio economico indotto dalla evitata invalidità che tali farmaci potrebbero ingenerare, a dispetto di spese di sviluppo contenute.

Abbiamo motivati dubbi che gli stati europei, il nostro in particolare, possano accettare, senza limitazioni, l’onere dei costi di tali terapie. E presumibile altresì ritenere che saranno adottati provvedimenti restrittivi sul loro impiego.

Di conseguenza è difficile immaginare che i nuovi farmaci possano essere assunti da tutti i malati, tanto meno all’esordio dell’artrite, dove sarebbero invece maggiori le probabilità di successo. Infine è da ribadire e sottolineare che molti malati (circa il 30%: non sono pochi!), si sono dimostrati resistenti anche alla loro azione e dovranno quindi essere sperimentate nuove associazioni comprendenti farmaci tradizionali unitamente a quelli nuovi.

  C. CONCLUSIONI

  La disponibilità dei nuovi farmaci apre nuovi orizzonti che permettono di intravedere maggiori possibilità di controllo dell’Artrite Reumatoide. Se verranno confermati i dati sperimentali iniziali, se verrà sopportato il loro elevato costo economico, se sarà possibile il loro impiego in tutte le fasi della malattia reumatoide, questi nuovi farmaci, unitamente a quelli tradizionali, offriranno a tutti i malati, maggiori possibilità di remissione, anche prolungata.

Ricordiamo che gran parte del successo terapeutico dell’Artrite Reumatoide si basa sulla diagnosi precoce e sulla possibilità per ogni malato di essere seguito nel tempo presso un centro specialistico reumatologico.

  A cura dei medici del Servizio di Immunologia Clinica - Spedali Civili di Bre­scia. nell’ambito delle iniziative della decade 2OOO-2O1O dedicata dalla OMS alle malattie dell’osso e delle articolazioni.