MA.R.I.C.A. MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE CRONICHE e AUTOIMMUNI ASSOCIAZIONE
BRESCIANA ARTRITE REUMATOIDE
A.B.A.R. VOLUME 5 – 2000 INIZIATIVE E ATTIVITA’ DELL’ABAR QUARTA IL SERVIZIO Il
5 agosto, nella sala consigliare dell’Ospedale Civile, è stata convocata
una conferenza stampa per annunciare la nascita del Comitato ai rappresentanti
dei mezzi di informazione della città e della provincia. I
PROBLEMI L’ARTRITE REUMATOIDE DELLA SPALLA E DEL GOMITO
Caviglia,
sacroiliache, interfalangee distali, sternoclaveare <5% Praticamente
indenni rachide dorsale e lombare. Le tenosinoviti, soprattutto alle mani,
sono costanti. Le lesioni reumatoidi di spalla
e gomito comportano, quando il danno è evoluto, delle serie ripercussioni
sul piano funzionale. Perché allora nell’opinione corrente (dei reumatologi
e degli ortopedici, non certo dei pazienti!) la spalla e il gomito sono
stati e sono tuttora poco considerati come localizzazioni «principali» di
artrite reumatoide? Per
una serie di motivi. Il
primo è dovuto alle modalità di
esordio di una A.R. che ignora quasi sempre la spalla e il gomito, se è vero
che nel 70% dei casi inizia come oligoartrite distale, cioè alle estremità
di un arto. Infatti solitamente la malattia interessa all’inizio
simmetricamente
il polso o le articolazioni metacarpofalangee (soprattutto la 2a e la 3a) o
le interfalangee prossimali o l’avampiede. Un esordio detto «rizomielico»,
cioè prossimale perché interessa le anche o le spalle, è si possibile, ma
più raro (5% dei casi), sempre dopo la sessantina e pone, per la sua rarità,
un problema diagnostico difficile con la pseudopoliartrite rizomielica. Il
secondo motivo è che nella fase successiva, detta artrite conclamata o
«di stato», pur essendo come già detto molto frequente la localizzazione
alla spalla e, anche se in misura minore, al gomito, solitamente queste
localizzazioni sono ben tollerate (contrariamente a quanto avviene per altri
distretti come il piede, il ginocchio o l’anca). Le
ragioni di questa tollerabilità sono molte: ·
innanzitutto perché la spalla, pur presentando una
progressiva rigidità, lamenta solo una limitazione dolorosa dei movimenti
di abduzione ed extrarotazione, che il paziente riesce a compensare a lungo
utilizzando l’articolazione scapolotoracica o utilizzando l’arto
controlaterale quando è indenne (anche se le localizzazioni sono bilaterali
nell’88% dei casi); ·
altro elemento non trascurabile è che il dolore alla
spalla diventa veramente grave se si porta la mano al di sopra della spalla,
movimento che, per quanto importante, non è certo fondamentale rispetto ad
altri movimenti, con il braccio abbassato o moderatamente sollevato. Per
quanto riguarda il gomito ci sono almeno tre giustificazioni che rendono
ragione di questa tollerabilità della lesione rispetto ad altre
localizzazioni: ·
nel gomito, come per ogni localizzazione all’arto
superiore, quando l’interessamento è monolaterale, il paziente utilizza il
gomito opposto; ·
oppure utilizza le articolazioni sopra o sottostanti; ·
e comunque, anche in caso di lesione avanzata, è
conservata una certa mobilità nel settore utile o funzionale. Terzo motivo, non meno importante, è che l’aspetto inestetico
di altre localizzazioni (ad esempio le mani) o il grave danno funzionale di
queste localizzazioni (mano, anca, ginocchio, piede, rotture tendinee etc.)
fa passare in secondo piano le lesioni alla spalla e al gomito. A questo
punto, purtroppo, entra in gioco probabilmente anche una certa responsabilità
del chirurgo. In che senso? Per rispondere, bisogna ricordare che nella
maggior parte dei testi di chirurgia ortopedica vengono enunciate e spesso
sottolineate, per la chirurgia del paziente affetto da artrite reumatoide,
le seguenti regole, a mio avviso in buona parte corrette: a) in certi pazienti la gravità dei danni a molte
articolazioni ridimensiona le ambizioni chirurgiche. L’indicazione
chirurgica
pertanto non sempre è ricostruttrice ma funzionale, cercando cioè almeno
di ripristinare una funzione perduta anziché ricostruire un’articolazione
distrutta; b)
nella pianificazione chirurgica,
dovendo spesso il paziente essere sottoposto a interventi plurimi in varie
sedi (ad esempio le anche, le ginocchia, i polsi, le mani) bisogna considerare
anche gli imperativi psicologici. Ciò significa che bisogna aiutare il
paziente, guadagnando la sua fiducia, con una serie di interventi «vincenti»,
cioè di quasi sicuro risultato e con il minore impegno fisico e mentale del
paziente stesso. In quest’ottica sono vincenti gli interventi di
sinoviectomia articolare al polso o le artrodesi parziali del polso con
resezione
della testa ulnare o l’artrodesi mediofalangea del pollice o la chirurgia
dell’avampiede o le artroprotesi dell’anca. Dare inizio ad un programma
chirurgico in un paziente «nuovo» con delle protesi delle metacarpofalangee
della mano con risultati incerti o talora negativi è un grave errore: probabilmente il paziente non si farà più operare
per lungo tempo anche sulle altre articolazioni! In questo contesto la
chirurgia della spalla e del gomito costituisce una chirurgia poco vincente o
almeno lo è stata di certo fino a qualche anno fa. Perché questo? Soprattutto per tre motivi, interdipendenti tra
loro: 1) per molti anni l’unico intervento proposto alla spalla e
al gomito è stata l’artroprotesi; 2) la qualità di queste protesi era decisamente inferiore a
quelle dell’anca e del ginocchio, con risultati meno buoni rispetto
all’arto inferiore; 3) la confidenza del chirurgo ortopedico con la spalla e il
gomito era, per motivi storici e tecnici, molto minore rispetto alle altre
grosse articolazioni del corpo, per cui il chirurgo ha in parte la
responsabilità di non aver «caldeggiato» questa chirurgia. Oggi
le cose sono cambiate e cercherò di esporvi cosa penso rispetto
all’artrite reumatoide del gomito e della spalla ed al suo trattamento. GOMITO E SPALLA REUMATOIDI Gomito
e spalla costituiscono una unica struttura funzionale che lavora in
sinergismo per fare da supporto logistico alla mano. Questo «insieme
funzionale spalla-gomito» è stato classificato in 7 livelli di funzione da
Mahile e Allieu: Livello 0: non
si può spostare la mano; Livello 1: la mano può essere spostata a un orifizio digestivo; Livello 2: la mano può arrivare alla bocca e al perineo
anteriore
o posteriore; Livello 3:
la mano può arrivare alla bocca e al perineo anteriore e posteriore;
Livello
4: uguale al livello 3 + alla testa o alla nuca;
Livello 5:
uguale al livello 3 + alla testa e alla nuca; Livello 6: uguale a livello 5+ all’esterno (sono presenti abduzione + extrarotazione della spalla ed estensione +
supinazione del gomito). Gli
esami radiologici usuali vanno fatti in proiezione standard e integrati con
scansioni TAC in supinazione e pronazione, che mostreranno nelle forme
iniziali una demineralizzazione ossea ed un assottigliamento dell’
interlinea articolare. B) Nelle forme più evolute, dove il dolore è importante, il
panno sinoviale è clinicamente presente, con interessamento del nervo
ulnare, e con limitazione funzionale, è indicata la chirurgia che fino ad
oggi non è mai stata frequentemente affrontata. In queste fasi sintomatiche,
con buon movimento e senza instabilità, anche se c’è radiologicamente
una lesione articolare avanzata (non avanzatissima), è possibile fare una
sinoviectomia, preferibilmente a cielo aperto, cioè chirurgica, con una
incisione mediale associata eventualmente a una controincisione
radio-omerale, dove normalmente è necessaria una resezione del capitello
radiale, per recuperare una buona supinazione. All’intervento seguirà una
prolungata rieducazione che permetterà di ottenere buoni risultati. C) Esistono poi i casi più gravi che si possono suddividere
in due tipi: 1) evoluta distruzione articolare con gomito rigido o quasi.
Solitamente il blocco articolare riduce o annulla il dolore. In questi casi è
di regola l’astensione terapeutica, a condizione che il gomito sia rigido
in posizione di funzione della mano, cioè in pronazione e in estensione tra 90°
e 135° 2) se invece il gomito presenta una evoluta lesione
articolare con instabilità dolorosa (situazione opposta alla rigidità)
c’è impotenza funzionale grave ed allora è indicato un intervento di
artroprotesi. Grandi progressi sono stati fatti in questo settore dove ormai
sono a disposizione molti modelli che solitamente sostituiscono
l’articolazione omeroulnare. Sono protesi moderne che hanno ormai superato il
concetto delle protesi «a cerniera» metallo-metallo, soggette a frequenti
fenomeni di scollamento e sono raggruppate in due categorie, rappresentate
dalle protesi semivincolate (GSB III, Mayo etc.) e dalle protesi di
rivestimento, simili a quelle di scivolamento del ginocchio. I risultati di
queste protesi sono molto buoni. Resta comunque il fatto che l’indicazione alla
protesi si deve limitare alla A.R. evoluta, con instabilità e non si devono
invece dimenticare in tutti gli altri casi i buoni risultati ottenibili con
una semplice sinoviectomia. In
realtà l’A.R. colpisce classicamente due settori: ·
l’articolazione subacromiale, cioè la cuffia dei
tendini extrarotatori. a) all’inizio è presente
un interessamento ad entrambi i livelli (con sinovite scapolo omerale e
borsite subacromiale, associata quest’ultima a sinovite dei tendini
extrarotatori). C’è dolore, aggravato dai movimenti ai gradi estremi e
progressiva limitazione funzionale (soprattutto limitate sono l’abduzione
e l’extrarotazione). Radiologicamente è presente solo una modesta riduzione
dell’interlinea articolare scapolo-omerale. Il trattamento è conservativo
con chinesiterapia contro la rigidità e farmaci contro il dolore e
l’infiammazione. Se la sintomatologia resta sotto controllo, non si modifica
il trattamento. b) Se invece il dolore aumenta e
la rigidità si aggrava, c’è il rischio che il quadro sfugga di mano, con l’insorgenza della «spalla
congelata», con la seguente evoluzione: > dolore,
quindi > rigidità, quindi > contrattura capsulolegamentosa e ulteriore rigidità della
spalla che viene mantenuta accanto al corpo. L’immobilità porta
all’irrigidimento del gomito in flessione e rigidità del polso e delle
dita. Radiograficamente c’è un aggravamento della sinovite
scapolo-omerale e subacromiale. In modo particolare, se si aggrava l’usura
cartilaginea scapolo-omerale, c’è una risalita della testa omerale che
provoca una sindrome da conflitto doloroso tra grande tuberosità e acromion. In questa fase, se si interviene in tempo, si blocca la malattia e si evita
la successiva rottura della cuffia dei tendini extrarotatori. L’intervento
è la sinoviectomia, artroscopica o non, della scapolo-omerale e della
sottoacromiale (dove si deve eseguire una bursectomia). Alla sinoviectomia
deve seguire una prolungata chinesiterapia (alcuni mesi) e questo arresta, per
molto tempo o per sempre, la malattia in questa sede. c)
Se invece il danno sinoviale prodotto dal panno reumatoide è
evoluto, c’è grave distruzione della articolazione scapoloomerale e
risalita della testa omerale con lesione associata della cuffia dei rotatori
(quest’ultima statisticamente presente in non più del 30% dei casi di
grave artrite). Radiograficamente abbiamo tre possibili quadri: ·
Forma
secca: con sclerosi ed osteofiti simili all’artrosi; ·
Forma
umida: con abbondante erosione articolare dovuta al panno
sinoviale; ·
Forma
umida con riassorbimento: con perdita pressoché totale della testa e della
glenoide con migrazione centrale della testa omerale detta «centralizzazione». In
questi casi non è possibile la sinoviectomia, ma solo un’artroprotesi.
Oggi si usano le protesi non vincolate tipo Neer o similari che possono
offrire ottimi risultati sul dolore e discreti sulla funzione, a condizione
che il paziente accetti dopo l’intervento di sottoporsi a mesi di
riabilitazione muscolare ed articolare. Ovviamente,
più avanzata è la distruzione ossea e più facili sono le complicazioni
(10-12%), rappresentate da scollamenti (soprattutto della porzione scapolare
della protesi) e/o infezioni. Sicuramente oggi è in atto una frenetica attività di ricerca, anche sulla
base dei grossi interessi economici in gioco, per migliorare le protesi di
spalla e ciò consentirà in futuro di trattare con sempre maggior
disinvoltura l’artrite reumatoide di questa articolazione, troppo a lungo
trascurata. Sicuramente
c’è una norma ben precisa per cui va data la priorità assoluta agli arti
inferiori, partendo dal piede e risalendo poi al ginocchio e all’anca,
mentre per gli arti superiori bisogna partire prossimalmente, cioè dalla
spalla e scendere poi fino alla mano. Non serve a nulla correggere una mano se
essa non può essere utilizzata a causa di una cattiva spalla o di un cattivo
gomito. Per
quanto riguarda i tipi di intervento, in particolare le sinoviectomie, se
correttamente eseguite non solo tecnicamente ma anche nel rispetto delle
indicazioni, hanno un notevole significato sia nel trattamento del dolore e
della funzione che nell’arresto della malattia. Nei
casi evoluti, dove la sinoviectomia non è possibile, esistono protesi
sempre più moderne, tali da fare presagire alle soglie del 2000 una nuova
era. Bisogna infine sfatare il preconcetto che la chirurgia in questi
distretti porti sempre rigidità. Certamente questo è un rischio non
trascurabile nella Artrite Reumatoide, ma basta che si esegua un corretto e
prolungato programma riabilitativo in ambiente specialistico per fare sì
che i risultati siano soddisfacenti. IMPORTANZA DEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO
NEI PAZIENTI AFFETTI DA A.R. Dr.ssa PAOLA BEITINI - ISTITUTO CLINICO CITTA’ Ho avuto la fortuna di frequentare per circa quattro anni il Servizio di
Immunologia clinica degli Spedali Civili e di poter conoscere da vicino le
problematiche che affliggono un individuo affetto da artrite reumatoide. Ho conosciuto, anche se in minima parte, quali possono essere le gravi
complicazioni invalidanti legate a questa patologia e quanto possa in certi casi
essere difficile il controllo dell’evoluzione della malattia. L’occasione di conoscere la Riabilitazione mi ha aiutato nel comprenderne
l’importanza, specie nel campo di quelle patologie che determinano per la
persona la perdita della propria autonomia funzionale. L’A.R. porta il
paziente a una situazione in cui non riesce ad adempiere completamente alle
comuni attività della vita di tutti i giorni. Le alterazioni a livello
articolare determinano infatti mancanza di forza, dolore, limitazione
funzionale e deformità. Tutto ciò porta il paziente a dover drasticamente
ridimensionare il proprio progetto di vita, inteso come lavoro, relazioni
sociali,
attività ricreative e ludiche. Accanto al trattamento medico si rende quindi
necessario un adeguato programma riabilitativo che miri fondamentalmente a
conservare o a restituire al paziente affetto da AR funzioni sicure che possano
assicurargli il massimo dell’autonomia per il più lungo tempo possibile. Il trattamento riabilitativo, in questo senso, mira a contenere il danno
articolare entro limiti accettabili e compatibili con la vita del paziente
stesso. Data l’unicità dell’individuo e le diverse fasi della malattia, non
si può parlare di un trattamento «tipo» per il paziente affetto da AR. In
tal senso è fondamentale una conoscenza della storia clinica e
dell’evoluzione della malattia. E importante definire la fase della malattia
stessa, in quanto l’approccio in fase acuta è sostanzialmente differente
rispetto alla fase subacuta o cronica. IN FASE ACUTA 2.
Allineamento posturale corretto, in rilasciamento rispettando
l’isometria muscolare. 3.
Utilizzo di terapia fisica a scopo antalgico e antiflogistico. 2.
Terapia antalgica e decontratturante. 2.
Esercizio terapeutico prima passivo e poi attivo, per il reCupero
dell’escursione articolare, la ripresa della forza e della resistenza
muscolare con esercizi segmentari e globali. 3.
Rieducazione a sequenze del movimento ordinate ed armoniche, controllo
del ritmo e della coordinazione. 4.
Mantenimento di tono, trofismo e validità muscolare, che garantiscano il
massimo grado di efficacia possibile e preservino la sensibilità
distrettuale. 5.
Rieducazione del passo e presa di coscienza delle fasi del cammino. 6.
Educazione alle regole di economia articolare (di cui si è parlato in un
precedente volume, n. 3). 2 - Soluzione
chirurgica e FICT (Fisiochinesiterapia) post intervento.
LE NUOVE TERAPIE PER L’ARTRITE
REUMATOIDE SPERANZE ELIMITI Certo, le maggiori conoscenze raggiunte oggi
riguardo ai meccanismi infiammatori che sottendono alla cronicità della AR,
hanno indotto un migliore impiego dei farmaci anti-reumatici con conseguente
riduzione, in un elevato numero di malati, della progressione del danno
anatomico articolare. Va riconosciuto all’impiego precoce (all’inizio
della malattia) e combinato (più farmaci in associazione) dei farmaci
anti-reumatici
l’elevato numero di remissioni («guarigioni» temporanee parziali) e il
decremento dei casi di invalidità precoce. Questo avviene però al prezzo di
terapie eseguite per lunghissimo tempo, di numerosi casi di sospensione dei
farmaci per tossicità e intolleranza, della necessità di essere sottoposti ad
innumerevoli visite mediche ed esami di laboratorio. Negli ultimi due anni, dopo decenni di silenzio, l’Artrite Reumatoide (AR)
è divenuta oggetto di attenzione dei programmi televisivi e dei giornali. Il
motivo di questo interesse è da ricercarsi nel tentativo di diffondere (e forse
di pubblicizzare) la notizia della prossima immissione in commercio di nuovi
farmaci, spesso definiti miracolosi. Al fine di non accendere vane speranze in chi ogni
giorno convive con il dolore e con la deprimente rabbia di essere limitato
nello svolgimento delle comuni attività, riteniamo corretto, in questo breve
scritto, sottolineare gli aspetti innovativi e i limiti di questi farmaci. I nuovi farmaci sono molti: da quelli attivi sui
sintomi (anti-infiammatori non steroidei) a quelli anti-reumatici,
ipoteticamente
in grado di modificare il decorso dell’AR. E imminente la disponibilità di
farmaci attivi sul dolore con la caratteristica di non essere fortemente lesivi della mucosa dello stomaco. I farmaci anti-infiammatori, nonostante non
modifichino il decorso della malattia, sono largamente impiegati dai malati di
artrite perché migliorano la qualità di vita, mediante la riduzione del
dolore. I nuovi farmaci di questa classe potranno in molti casi evitare il
concomitante impiego di farmaci anti-acidi o antiulcera, con risparmio in denaro
e in pillole da assumere quotidianamente. Poniamo maggiore attenzione ed interesse nell’affrontare, invece, il tema dei nuovi farmaci anti-reumatici. In particolare, alcuni di loro, frutto della ricerca biotecnologica, si sono dimostrati in grado di ridurre significativamente il grado di attività della AR evoluta e attiva, mediante il blocco di una proteina pro-infiammatoria (il TNFa). Ciò significa che, in un elevato numero (circa il 70%) di casi «disperati», dove si era assistito al fallimento di
molti altri farmaci di comune impiego, è stato possibile osservare una
riduzione significativa dell’artrite. Inoltre, ed è questa la novità di maggiore rilievo, dati preliminari,
ottenuti in sperimentazione, hanno evidenziato una riduzione della
progressione del danno anatomico articolare, in confronto con altri farmaci
anti-reumatici di provata efficacia. Ciò accende la speranza, ancora da
dimostrare definitivamente, di un trattamento efficace quando iniziato
precocemente, all’esordio dell’AR, per «bloccare» il danno articolare che
sottende alla futura invalidità. Possiamo quindi concludere che, all’inizio del
nuovo millennio, malati e reumatologi potranno avere a disposizione maggiori
armi per dominare l’Artrite Reumatoide. Anche per quanto riguarda la comparsa di effetti
collaterali indesiderati, non sono disponibili evidenze a lungo termine.
D’altra parte, per ogni nuovo farmaco non è possibile avere inizialmente
dati di efficacia e sicurezza a lungo termine, perché altrimenti sarebbero
necessarie sperimentazioni di durata tale da rendere vecchio il farmaco
all’immissione in commercio. Un serio problema, relativo all’attesa
commercializzazione di questi farmaci, riguarda il loro costo economico. La
massima «nessuno regala nulla per nulla» bene si adatta allo scenario
attuale. Se è pur vero che devono essere ammortizzati i costi della ricerca e
della produzione di queste molecole, è anche da sottolineare che la politica
delle aziende depositarie dei brevetti è orientata al tentativo di un esoso
profitto. Forti dell’efficacia dei loro farmaci, sembra
vogliano fare pagare anticipatamente l’eventuale risparmio economico indotto
dalla evitata invalidità che tali farmaci potrebbero ingenerare, a dispetto
di spese di sviluppo contenute. Abbiamo motivati dubbi che gli stati europei, il
nostro in particolare, possano accettare, senza limitazioni, l’onere dei costi
di tali terapie. E presumibile altresì ritenere che saranno adottati
provvedimenti restrittivi sul loro impiego. Di conseguenza è difficile immaginare che i nuovi
farmaci possano essere assunti da tutti i malati, tanto meno all’esordio
dell’artrite, dove sarebbero invece maggiori le probabilità di successo.
Infine è da ribadire e sottolineare che molti malati (circa il 30%: non sono
pochi!), si sono dimostrati resistenti anche alla loro azione e dovranno
quindi essere sperimentate nuove associazioni comprendenti farmaci tradizionali
unitamente a quelli nuovi. Ricordiamo che gran parte del successo terapeutico
dell’Artrite Reumatoide si basa sulla diagnosi precoce e sulla possibilità
per ogni malato di essere seguito nel tempo presso un centro specialistico
reumatologico. |