Società e cultura ravanusana


NOTA - Gli articoli di questa pagina sono stati tratti da: "Ravanusa territorio e tradizioni" scritto dalla Prof.ssa Gina Noto Termini e da "IL SARACENO" periodico d'informazione ravanusano degli anni sessanta.

 

LA STAMPA

La prima persona nel tempo che si sia fatta notare a Ravanusa per la sua attività pubblicistica è l’arciprete dott. Calogero Curto. Pochissimi lo conoscono, qualche anziano ricorda di aver sentito parlare di donna Dia Curto e del palazzo di don Rocco Curto, sede, negli anni ‘40-50 della scuola elementare, sito in Via Lincoln, ma nessuno realmente sa chi fosse. Nella toponomastica ravanusana tale nome non esiste eppure l’arciprete don Calogero Curto è un cittadino illustre e benemerito di Ravanusa appartenente ad un aristocratico e ricchissimo casato che viene ricordato per la sua filantropia perché sensibile alle istanze sociali ed economiche del popolo. Per individuare il personaggio diremo che era fratello della leggendaria Donna Dia (Dorotea) e di don Rocco, ed operò a Ravanusa per ben 44 anni, dal 1844 al 1888, anno della sua morte. La sua attività pubblicistica è legata alla collaborazione ai periodici "Il Cittadino", "L’Indipendenza", "La Lega", nei quali espresse i suoi orientamenti manifestando le sue tendenze antiborboniche e libertarie che in più occasioni Io portarono a svolgere un ruolo pubblico che andò ben al di là delle mura cittadine e della sua funzione di prete. E’ probabile che dopo di lui ci siano state altre iniziative di cui in atto non si trova traccia. I primi giornali locali si fanno risalire agli inizi del ‘900 e precisamente al 1909 con la pubblicazione di un foglio di ispirazione cattolica del maestro sac. Angelo Bellavia dal titolo "Salviamo la gioventù" seguito dal numero unico "Il ribelle" del 1911 e da "Il risveglio"del 1920 entrambi a carattere sociale. Del 1913 è "La preparazione" di ispirazione socialista finalizzato alla campagna elettorale del canicattinese avv. Giuseppe Marchesano. Da questo momento non emergono altre iniziative fino al numero unico "Saraceno Sud" del 30 marzo 1965 il cui direttore responsabile era il dott. Salvatore Aronica che anticipava la pubblicazione de "IL SARACENO". Nell’articolo di fondo veniva presentato il programma del giornale che si trascrive nelle linee fondamentali: "Nostro primo impegno è contribuire alle risoluzione dei probleni cittadini.., alla rivalutazione del nostro patrimonio archeologico, alla protezione del nostro paesaggio..." "Noi non abbiamo padroni o finanziatori interessati, non serviamo correnti politiche o gruppi di industriali, non siamo al servizio di un uomo odi una setta: viviamo liberi e vogliamo che il nostro giornale sia libero". Il primo periodico vero e proprio fu pubblicato il I maggio 1965 con il titolo "IL SARACENO". Ne era proprietario il dott.Salvatore Aronica; Direttore responsabile dott. Gaetano Elio Lombardi. Venne registrato dal Tribunale di Agrigento al n. 56 del 10/4/1965 e pubblicato dalla tipografia Enzo Gallo di Agrigento. L’abbonamento ordinario costava 1000 lire; una copia lire 100. Ad esso collaborarono: Salvatore Aronica, Salvatore Abbruscato, Antonino Aronica, Gaetano Cavalcanti, Antonino Cremona, Paolo D’Anna, Pietro Di Caro, Lillo Di Maida, Luigi Di Pasquali, Pippo Dulcetta, Emanuele Gagliano, Agostino Grifasi, Mario Gori, Mimmo Monterosso, Giuseppe Musso, Lillo Ninotta, sac. Angelo Noto, Gina Noto Termini, Angelo Parisi, Massimo Palumbo, Diego Termini, Francesco Verso.

Un altro numero unico si ebbe alla fine del 1967, "La Voce di Ravanusa", sponsorizzato dal Circolo universitario Atheneum. Direttore responsabile prof. Diego Termini. Il giornale espresse un momento della vita socio-politica del paese.

L’iniziativa più notevole di questi ultimi anni è rappresentata da "L’ECO", un mensile diretto dal dott. Lilli Parisi che in elegante veste tipografica e con numerose e originali fotografie e illustrazioni dal marzo 1972 al dicembre 1992 ha fatto un quadro ampio ed esauriente di tutti gli aspetti della vita ravanusana. Ha affrontato problemi di costume, di cultura, di politica, scolastici, di attualità; ha raccolto recensioni, liriche, lettere provenienti dai nostri cittadini emigrati; non è mancata in esso la satira (simpatica quella di Pilato, al secolo dott.Girolamo La Marca) e la polemica. Il periodico ha espresso il tenace,costante,a volte anche testardo attaccamento del suo direttore che ha sfidato le difficoltà più serie, anche economiche, per tenere in vita il giornale che oggi, raccolto in quattro volumi, rappresenta un elememto di testimonianza e di consultazione per ulteriori indagini sul nostro paese. A Lilli Parisi e a quanti lo hanno collaborato rivolgiamo, a nome della collettività, un sentito ringraziamento.

I CIRCOLI

Le origini del circolo Dante Alighieri e del circolo Menenio Agrippa, detto degli Intellettuali, sono confuse perché mancano di documentazione scritta. Abbiamo dovuto quindi intervistare le persone anziane e servirci di un articolo de "L’Eco" scritto dal defunto comm. Angelo Testasecca amante delle tradizioni ravanusane. Per renderci conto delle origini dei due circoli "di civili", i più antichi di Ravanusa, è necessario fare riferimento alle classi sociali. I signorotti locali, discendenti dai Baroni Sillitti, qualche professionista medico, farmacista, notaio e qualche possidente che si era economicamente elevato e che aveva ottenuto il "don", primo gradino della scala nobiliare, venivano chiamati Galantuomini. Essi si riunivano per trascorrere il loro tempo in locali chiamati "circoli civili". Con l’incameramento dei beni della chiesa e con l’estensione delle leggi Siccardi a tutto il Regno d’Italia, il Convento venne chiuso e i locali furono adibiti a sede del Comune, del carcere, degli uffici giudiziari e del circolo dei civili. I civili, che allora reggevano l’Amministrazione Comunale, di fatto cedettero a se stessi un locale che divenne così la sede stabile del primo circolo dei galantuomini. Con l’Unità d’Italia iniziavano anche le discussioni politiche e i civili cominciarono a manifestare idee contrastanti; alcuni erano favorevoli alle nuove istanze sociali, altri preferivano mantenere i loro privilegi. Queste discussioni duravano a lungo, gli anziani morivano e i giovani prendevano il loro posto con mentalità ed ideali diversi. Nel 1913 con I ‘estensione del suffragio universale a tutti gli uomini i contrasti si acuirono degenerando in vere e proprie dispute accese. Il Commissario prefettizio per evitare le polemiche chiuse il circolo. Gli elementi di destra aprirono subito un altro circolo che chiamarono "Progresso" che ebbe sede negli attuali locali del Banco di Sicilia, in piazza Umberto I, oggi piazza I Maggio. Gli elementi di sinistra fondarono il Circolo Democratico sistemandosi anch’essi in piazza Umberto I. In seguito alle elezioni del 1914 i socialisti ottennero la maggioranza, riaprirono l’ex circolo e lo concessero ai democratici, diventando "Circolo democratico". I soci pur essendo popolari ammettevano anch'essi solo chi aveva il "don" e operai, artigiani e contadini non furono mai ammessi. Nel 1922 il Partito Fascista che si era insediato nei locali del Partito Socialista, siti in C/so della Repubblica, in prossimità di piazza Crispi (attuale bar Centrale), si trasferì nei locali nel circolo democratico che cesso di esistere. Nel 1924 il circolo Progresso, guidato dalla famiglia Sillitti, si trasferì nei locali del Fascio, dove in alto si trova il Circolo "Dante Alighieri". Intorno al 1926/27 le due famiglie più emergenti, entrambe fasciste, Sillitti e Galatioto, vennero in lite perché i Galatioto volevano ammettere dei soci che i Silitii non gradivano. Il circolo si spaccò e i Galatioto fondarono il Circolo "Arnaldo Mussolini", mentre i Sillitti conservarono la direzione del Circolo "Progresso che da allora si chiamo Dante Alighieri. Ispiratore e fondatore del Circolo "A. Mussolini" fu Girolamo Galatioto, conosciuto come "Mommo Otello" per il colore scuro della pelle. Questi lo gestì con tutta la sua famiglia fini alla caduta del fascismo quando per ragioni di opportunità si dovette cambiare il nome. I Galatioto nostalgici del fascismo, vollero almeno conservare le iniziali di Anialdo Mussolini, andando a pescare tra i personaggi della storia quel Menemio Agrippa che aveva la ventura di avere le stesse iniziali. A parte questo non e e nessun rapporto tra il personaggio e l’attività del circolo. Difatti né allora né oggi il circolo e i suoi soci sono stati mai "sull’Aventino"; al contrario anzi hanno sempre attivamente partecipato alle vicende della vita cittadina, esagerando magari con il pettegolezzo vivace sul nostro ambiente. Accanto a questi due che sono considerati i più famosi, perché ancora oggi vivono con le differenze e le sfumature di un tempo, numerose altre aggregazioni sorsero in quel periodo dando vita ad associazioni che, più o meno caratterizzate o influenzate, possono considerarsi dei veri e propri circoli dai quali promanò quella attività socio-culturale, umanitaria, politica e dialettica che ha sempre distinto il nostro paese. Tra questi ricordiamo il Circolo Socialista e il Circolo Garibaldi. Nel 1918 viene istituito il Circolo studentesco "Silvio Pellico" annesso al circolo Progresso, dove portò una folata di gioventù e di modernità con la istituzione di una biblioteca itinerante. Nel 1920 venne fondato il "Circolo Giovanile Cattolico Sacro Cuore di Gesù" diretto dall’ Arc.Calogero Sorrento e dal sac. Vito Costanza. Cattolici e socialisti gareggiano in accanite lotte e i circoli vivono intensamente questi eventi. Tra il 1920-23 i contrasti si acuiscono fomentati da divergenze politiche ma l' avvento del fascismo tacitò gli animi e i circoli furono costretti a chiudere: rimase attivo solo il circolo Progresso, delle cui vicende abbiamo parlato. Dopo la seconda guerra mondiale sorsero il Circolo Goliardico e la FUCI che ebbero sede in Corso Vittorio Emanuele, zona S.Giuseppe. Solo negli ultimi decenni c e stata una ripresa associativa notevole che negli anni ‘60 vede sorgere un nuovo circolo goliardico, Atheneum e successivamente il circolo studentesco G.Verga, entrambi di breve durata. Oggi sono attivi i circoli sotto elencati:

-CIRCOLO INTELLETTUALI "MENENIO AGRIPPA";

-CIRCOLO CULTURALE "DANTE ALIGHIERI" costituitisi entrambi tra il 1926-27 dalla scissione del circolo Progresso.Riuniscono i vecchi "notabili" e professionisti;

-CIRCOLO INVALIDI E MUTILATI DI GUERRA;

-CIRCOLO S.FRANCESCO, 1978, Via Mazzini, costituito da pensionati;

-CIRCOLO A.VOLTA, 1981, costituito da artigiani e qualche professionista;

-CIRCOLO PIRANDELLO, 1982, costituito da professionisti ed artigiani;

-CIRCOLO SPORTIVO A. FRANCHI, 1986, costituito da giovani;

-CIRCOLO OPERAI RIUNITI, 1989, Piazza Crispi.

-CIRCOLO CULTURALE FALCONE E BORSELLINO, 1993, ultimo in ordine di tempo, nato dalla scissione del Pirandello.

Operano anche come circoli la sezione dei Coltivatori Diretti, quella di Alleanza Contadina e le sezioni dei partiti politici, dislocati tutti in Corso della Repubblica. Questi hanno sostituito i luoghi di riunione che una volta erano i saloni dei barbieri.

LA DONNA

La donna nella società ravanusana non ha mai avuto un ruolo importante. La sua funzione iniziava e si concludeva nell’ ambito delle pareti domestiche: figlia, moglie, madre e nonna, così per generazioni e generazioni. E’ vero che nell’ambito della famiglia la donna assumeva un posto di primo piano, era la regina incontrastata e il "pater familias "in realtà aveva un compito secondario. Era lei che gestiva la casa e i figli. Possiamo ben dire che nella famiglia patriarcale la donna è sempre stata rispettata e alleggerita dai lavori gravosi della campagna. Per il contadino ravanusano era disonorevole non essere in grado di poter sostenere da solo moglie e figli. Non bisogna però pensare che il ruolo della donna in seno alla propria casa fosse meno impegnativo di quello dell’uomo. Le giornate erano faticose, ella doveva pensare alla numerosa prole, alla pulizia della casa, al bucato, ad impastare e cuocere il pane, a fare la pasta, a preparare il sapone, ad accendere il fuoco per preparare i pasti e per riscaldare l’ambiente con il braciere; doveva inoltre accudire alle galline, alla capra, al maiale e doveva svolgere tutti quei lavori collaterali al lavoro dei campi che richiedevano una immensa fatica. Era lei infatti che puliva il grano per la semina, era sempre lei che si preoccupava di smallare e sgusciare le mandorle e i pistacchi, di pulire le olive per la raccolta dell’olio. La sua mano attiva e il suo occhio vigile dovevano provvedere alla equa distribuzione di tutto ciò che poi sarebbe servito per "far passare l’annata" alla sua famiglia. La bimba appena nata era destinata ad assolvere al suo ruolo di moglie e di madre. Nella seconda metà dell’Ottocento e agli inizi del Novecento l’età media per convolare a nozze era compresa tra i tredici e i sedici anni; il numero dei figli cresceva a dismisura (dai dieci ai diciotto) e così logorata dalla fatica e dalle numerose maternità il corpo delle ragazze assumeva prestissimo una conformazione appesantita e invecchiata. Con un simile ritmo di vita anche chi apparteneva al ceto benestante non aveva né il tempo, né la voglia di accudire alla propria persona. Di uscire manco a parlarne, l’unico diversivo consisteva nel partecipare con la mamma o con il marito a qualche matrimonio o nel fare qualche passeggiata nelle feste. L’abbigliamento era dei più modesti, una sottana lunga ed ampia con sopra un grembiule che copriva tutta la persona, un corpetto più o meno ricco con ricami (ippuni) per le grandi occasioni. I colori erano seri ed andavano dal nero al blu e bordò. I capelli in lunghe trecce venivano raccolti sulla nuca (tuppu) e una mantellina copriva il loro capo. Intorno al 1920 la mantellina verrà sostituita dallo scialle (lu sciallu). Il lutto, rigidissimo, "eterno" per il marito, decennale per tutti gli altri parenti ed affini, rendeva ancora più lugubre l’abbigliamento. Dai documenti relativi ai primi anni dell’Ottocento non compare il nome di nessuna donna che si sia distinta in campo sociale; anche negli atti notarili è rarissimo incontrare il nome di una acquirente di sesso femminile, è sempre l’uomo che fa gli affari. E’ giusto ritenere però che qualche donna del ceto aristocratico e borghese si sia occupata di operare per i bisognosi ed in particolare per i bambini. Dagli atti dell’archivio vescovile di Agrigento si ricava che nel 1804 il dott. Giuseppe Gallo e il dott.Marco Miccichè avevano un oratorio che raccoglieva i bambini del paese e il dott. Gallo ne aveva un altro in campagna. Un altro riferimento si riscontra nel 1853. La famiglia Curto e il barone Aronica Paternò gestiscono due oratori. E’ logico pensare che donne e certamente persone della famiglia si preoccupassero di accudire e di istruire i figli del popolo. La prime donne che compaiono in ordine di tempo per una iniziativa religiosa e sociale sono Dorotea Curto (Donna Dia), Maria Cannarozzo e Colomba Minacori, rispettivamente presidente, vice presidente e segretaria dell’Associazione Cuore Immacolato di Maria e delle Madri Cristiane. E’ questa la prima notizia documentata che ci dà la possibilità di trovare donne impegnate fuori dell’ambito familiare. Nel 1893 il governo liberale del Giolitti aveva favorito il diffondersi in Italia delle nuove istanze sociali ad opera dei socialisti, della ideologia del Bakunin e della Rerum Novarum. In Sicilia su iniziativa di intellettuali sensibili ai problemi di contadini e minatori, nacquero i Fasci dei Lavoratori, importanti perché rappresentavano la prima tappa nell’associazionismo siciliano. Anche Ravanusa ebbe il suo Fascio (16 marzo 1893) che il 12 maggio organizza una protesta. La maggior parte degli aderenti al Fascio erano carrettieri che trasportavano lo zolfo dalla miniera TrabiaTallarita fino allo scalo ferroviario di Campobello-Ravanusa; essi chiedevano un più equo trattamento e per questo sfilarono lungo le strade principali del paese seguiti da contadini e donne. Dalla denuncia fatta dalle autorità locali, come riporta Francesco Provenzano in "Il Fascio dei Lavoratori di Ravanusa", insieme agli uomini ben sette donne furono denunciate, Grifasi Crocifissa, Savarino Maria, Cimino Antonia, Borsellino Vincenza e Francesca, Tasca Angela, Avenia Pasqua. Certamente le donne erano familiari dei carrettieri e il grave problema le toccava da vicino. In questo periodo l’istruzione lasciava a desiderare; nella prima metà dell’Ottocento nelle scuole elementari le classi maschili erano quattro, la femminile una. Questa proporzione dovette durare fino al 1920. Un miglioramento culturale ma molto modesto si avrà nel periodo del fascismo, quando l’associazionismo inquadrò anche le ragazze. Il clero ravanusano però, sensibile ai problemi sociali, sentì la necessità di educare ed istruire i bambini e per iniziativa dell’ arciprete Giuseppe Sorrento, nel 1924 venne aperto l' Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice che accoglieva i bambini per l’asilo e le ragazze per insegnar loro a ricamare e cucire. Le fanciulle finalmente hanno la possibilità di lasciare le pareti domestiche ed in gruppo raggiungere le suore. La vita delle Figlie di Maria Ausiliatrice fu travagliata. Infatti in seguito al fallimento della banca fondata da Gaetano La Lomia e dall’arciprete Sorrento la casa sita accanto alla Matrice che ospitava le suore venne pignorata da Sarina Sillitti e le suore dovettero sloggiare. La signora Anna Giuliana vedova Bonaccorsi racconta che il dott. Archimede Miccichè e la moglie Rosina Tulimello sognarono contemporaneamente Don Bosco che li invitava ad ospitare le suore che si trasferirono, nel 1933, in contrada Grada (nella parte alta del quartiere San Michele) dove i coniugi Miccichè avevano una villetta che esiste tuttora. La vita delle suore fu difficile perché erano isolate, senza acqua, senza fognature e in un ambiente molto freddo e lontano dall’abitato. Ogni mattina una giovane, Carmela Di Rosa, divenuta in seguito Figlia di Maria Ausiliatrice, radunava i bambini dell’asilo in Matrice e li accompagnava per le strade fangose del paese sino alla villetta. Per tali disagi l’ispettrice pensava di ritirare le suore, ma anche questa volta la Provvidenza si presenta sotto le vesti di una ragazza. Anna Giuliana, molto legata alle suore, convince il padre Luigi a vendere la loro casa di Via Sella e a comprane un’altra più grande sita in Via Mamiani e ad ospitare le suore che nel 1938 poterono ritornare al centro. Le peripezie però non finirono; nel 1941 infatti, venuta meno la rendita annua di lire 12.000 che l’arciprete Sorrento versava per il mantenimento delle suore, l’Istituto dovette chiudere. Anche questa volta intervenne una donna, la signora Mariassunta Gallo, che svincolò l’antica casa pignorata da Sarina Sillitti e le suore ritornarono accanto alla chiesa Madre, dove operano ancora oggi. Si ricorda che per interessamento dell’arciprete Giuseppe Burgio, don Vito Gallo, fratello di Mariassunta, concesse alle suore la rendita delle 12.000 lire per il loro mantenimento ed in più versò la somma di 50.000 lire (cifra per quei tempi altissima) alla Curia per liberare la casa da qualsiasi diritto della parrocchia e così le suore ebbero la loro autonomia. Sempre in questo periodo, per iniziativa di donna Giulia Sillitti Bella e delle sue sorelle, delle sig.ne Gambino e Galatioto, sostenute dal sac. Giuseppe Musso, fu fondato, nel 1925, il ricovero di mendicità dedicato a San Vincenzo de’ Paoli che venne affidato alle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue che ospitarono bambine orfane e un asilo. Come si può rilevare la donna ravanusana uscita dalle pareti domestiche trova la sua realizzazione sociale nell’ambito della parrocchia e delle opere di carità. La situazione culturale però non accenna a migliorare, le più fortunate conseguono la licenza elementare; sono pochissime quelle che intraprendono gli studi superiori anche perché è convinzione diffusa che uscire fuori dall’ambito familiare le compromette e le pone in condizione di non potere trovare marito, condannandole a resta zitelle o a matrimoni di ripiego. Un posto particolare, intorno agli anni trenta spetta alla maestra Vittorina Noto, donna energica, di vivace intelligenza e di grandi iniziative; il suo rapporto con Ravanusa era di odio-amore, le sue aspirazioni la spingevano lontano, il suo amore per la famiglia e il paese la richiamavano al "suo Saraceno". Insofferente dei pregiudizi e dei tabù che la donna doveva subire era sua ferma convinzione migliorarne le condizioni e liberarla dalla stato di inferiorità con l’istruzione. Pertanto convinceva le mamme a far partire le proprie figlie per il collegio dove si sarebbero fatte suore e avrebbero studiato. Tra il 1935 e il 1955 le ragazze con la maestra Noto partirono a folate per Roma, San Giovanni Campano e Montefiascone; qualcuna divenne suora, ma la maggior parte, intraprese gli studi superiori, conseguì il diploma magistrale e molte di esse hanno operato a Ravanusa come insegnanti elementari incrementando la cultura e migliorandone la società. Nel 1964, Vittorina e il fratello mons.Angelo Noto, fondarono l’Istituto "Santina Noto" donando la loro casa paterna, sita in Viale Matteotti e il terreno di contrada Lazzaretto, dove oggi sorge l’asilo delle Suore Apostole del Sacro Cuore. Intorno agli anni ‘40 la donna comincia ad avere un po’ più di libertà. Si incrementa l’Azione Cattolica e molte sono le fanciulle che seguono le iniziative religiose. La nascita della scuola media locale convince le famiglie che l’istruzione ha una grande importanza; si riducono i pregiudizi e l’età media per il matrimonio sale a sedici-venti anni, lo scialle scompare e le più giovani abbandonano il "tuppo", si tagliano i capelli e fanno la permanente. Nel 1948 le Orsoline Giuseppina Ministeri, Crocifissa Ministeri e Carmelina Pennica, sostenute dall’ arciprete Giuseppe Burgio, sul terreno donato dal sig. Antonio Raia, con fondi regionali costruiscono l’Istituto S.Angela Merici, in contrada Mastro Dominici, quartiere periferico della Matrice. Esse si occupano dell’educazione dei ragazzi del quartiere e aprono pure un asilo. Tra queste, per la sua bontà si distinse Angelina Tricoli, ricordata dal sac. don Nunzio Burgio con due pubblicazioni. Tra il 1950 e il 1970 Ravanusa ha un grande numero di emigrati e con l’emigrazione giunge in paese il benessere e l’evoluzione. Anche le donne in Germania e Francia lavorano e accumulano soldi con grandi sacrifici. Alcune rimangono in terra straniera dove i figli si sono accasati, molte ritornano più emancipate e meno legate alla tradizione. Tra il ‘50 e il ‘60 aumenta il numero delle ragazze iscritte alla scuola media e nel 1958 apre l’Istituto Magistrale che porterà molte ragazze del circondano a Ravanusa. Proprio in questo periodo le prime donne si mettono al volante, sono due ragazze che, noncuranti dei pettegolezzi, rischiano di restare zitelle. Le più intraprendenti inoltre cominciano ad andare in piazza, a passeggiare e a frequentare il cinema senza "cavaliere". In un ambiente come Ravanusa c’è di che parlare... L’esempio però viene seguito da molte altre e la generalizzazione acquieta le malelingue. Il livello medio dell’istruzione è migliorato ma il numero delle universitarie è sempre basso. Solo dopo la contestazione del ‘68 molte ragazze lasceranno il paese per frequentare l’Università. Nel 1978 una donna emerge nella realtà sociale di Ravanusa. Si tratta della signora Santa Galifi Sillitti che in ricordo della tragica scomparsa dell’unico figlio, cav. Giuseppe Sillitti, della moglie Rosetta Gagliano e della loro unica figlia Santina fonda una Casa di riposo donando la propria abitazione di Piazza 25 aprile - Via Aronica, alle suore del Preziosissimo Sangue. Oggi nel rinnovamento si procede più rapidamente, la donna opera in molti campi e qualcuna si distingue in attività di primo piano. Ricordiamo la scrittrice e critico letterario Luisa Trenta Musso e la giovanissima Luisa Turco, magistrato presso il Tribunale di Agrigento. Solo nell’ ambito politico l’inserimento della donna si è rivelato tardivo. I pregiudizi hanno prevalso e il "perché non pensa al marito o a cucinare" e stato detto e ripetuto contro molte candidate a consigliere comunale che così non hanno avuto successo. Nel 1983 finalmente in consiglio comunale siedono due ragazze, Teresa Burgio del PSI e Antonella Cupani del PCI. Nelle elezioni del 6 giugno del 1993 le elette sono tre, Gina Gambino per la DC, Rosalinda D’Angelo per il PDS e Paola Ciotta per la Rete. In questa circostanza, per la prima volta un partito, la DC, candida una donna alla massima carica del Comune, l’ins. Adele Testasecca. La candidata ottiene un’ottima affermazione ma non vince. La sua candidatura segna però una tappa molto importante. Per la prima volta una sezione di partito vede un grande assembramento di donne partecipare attivamente al dibattito politico. Le distanze tra uomo e donna si vanno realmente accorciando. Alle giovani donne del futuro l’augurio che possano contribuire più fattivamente al miglioramento di Ravanusa. 

LA BANDA MUSICALE

Ravanusa non ha una tradizione fortunata in fatto di banda musicale e i vari tentativi intrapresi per costituirne una non hanno mai dato risultati duraturi per cui bisogna attingere ai paesi vicini per onorare ricorrenze quali la Commemorazione dei Defunti e il Venerdì Santo. Solo nel 1909 Ravanusa vede nascere una banda musicale i cui componenti sfoggiavano una elegante divisa. Fondatore e animatore fu il sac. prof. Mario Musso, uomo di cultura, molto attivo e intraprendente; partecipò attivamente e vivacemente alle vicende della vita paesana sino alla sua partenza per la prima guerra mondiale. Il prof. Mario Musso aveva fondato la Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) a cui aderirono numerosi giovani, tra essi selezionò il gruppo che diede vita alla banda. Oggi il sac. prof. Mario Musso viene ricordato per avere scritto il Mortorio. Siamo nel periodo della nascita del socialismo ravanusano e gli animi dovevano essere molto accesi. I socialisti fondarono anch’essi la loro Fanfara guidata da Vito Paternò e la rivalità tra i due complessi musicali diede origine ad accese polemiche che videro come protagonisti rispettivamente il sempre attivo sac. Mario Musso e il dott. Vito Zagarrio e l’avv. Giuseppe Lauricella. Da una parte si inneggiava al "bianco fiore", dall’ altra alla" bandiera rossa". La guerra era alle porte e spazzò via tutti i bollori. Molti partirono per il fronte e alcuni non fecero più ritorno. Con la fine della guerra la vita cittadina riprese con intenso vigore. L’allora arciprete Giuseppe Sorrento e il sac. Vito Costanza che partecipavano attivamente al risveglio sociale, culturale e politico di Ravanusa, ricostituirono la GIAC e rifondarono la banda con 18 strumenti Contemporameamente si ricostrui la Fanfara, i cui strumenti durante i periodo del Fascismo erano stati conservati in deposito in casa di Paolo Vela,Via Garibaldi (Muluvientu).La Fanfara si intestava alle forze socialcomuniste che allora costituivano insieme il Blocco del Popolo. Di essa si ricordano Vito Russica e Mariano Falletta che suonavano il bombardino, don Luigi Di Carlo (aveva il don perché fabbro ferraio), trombone, Vito Di Caro e Gregorio Messinese, cornetta, Mariano D’Auria, basso. Ancora una volta detti complessi musicali esprimevano le rivalità tra le forze politiche che rappresentavano attraverso parodie a volte anche pesanti: "un vò e un parrinu ha mmà ‘mpaiari, un purpittaru ha mmà scusciari" (un bue e un prete dobbiamo aggiogare, un democratico cristiano dobbiamo squartare). La banda cessò ogni attività con la partenza dell’ arciprete Sorrento e anche la Fanfara scomparve quando i socialcomunisti sciolsero il Blocco del Popolo. I componenti della Fanfara legati da amicizia ma soprattutto dall’ amore per la musica continuarono a riunirsi senza però prendere parte a cerimonie ufficiali Il signor Lillo Alessi, ex sindaco ed ex consigliere PCI-PDS riferisce che le note dei due complessi erano motivo di allegria soprattutto al termine della guerra quando il paese era ancora afflitto dai luttuosi eventi bellici. Dopo la guerra l’Amministrazione comunale assunse il Maestro Millunzi che riunì molti di questi "musicisti" che al di là del colore politico diedero origine alla banda musicale cittadina. Di essi si ricordano i fratelli Paolo eVito Di Caro, Nazareno Provenzano, Giuseppe e Stefano La Marca, Francesco Costanza, Angelo Ministeri, Giuseppe Rago e Domenico Posata. L’esperimento durò diversi anni durante i quali le loro note musicali onorarono la manifestazioni cittadine. Dopo la sua scomparsa un altro tentativo di costituire una nuova banda fu fatto dal maestro Salvatore Ingo di Alessandria della Rocca che era venuto a Ravanusa su incarico del Comune. Questi curò un gruppo di giovani dal 1957 al 1967 ma la banda non riuscì ad attecchire. 

COMPLESSI MUSICALI

Ravanusa che non ha avuto fortuna con la banda musicale, ha invece raggiunto una certa notorietà con i complessi vocali-strumentali, soprattutto per merito dei "Teppisti dei Sogni", l’unico che sia riuscito ad emergere nella mediocrità generale. Il primo complesso organico, se così si può dire, che era in grado di fare un concerto, fu il "Complesso Juve". Un nome in verità assai strano, ma scaturito dall’attaccamento dei suoi componenti alla squadra torinese. Nacque nel 1958 e ne facevano parte Vito Sanfilippo e Giuseppe Leone, sax tenore, Luigi di Natali, chitarra, Lillo Ferrera, tastiera, Gianni D’Angelo, batteria, Lillo Rizzo, romba. Non andò mai al di là delle mura cittadine e sopravvisse finche costituì, col nome di THE RAVS (i ravanusani), il complesso base della Manifestazione Canora, una gara per cantanti dilettanti piccoli e grandi e poi per complessi, ideata dal sac. Francesco Caravaglia che vide ben 22 edizioni, dal 1969 al 1990. Più fortuna invece ha avuto il complesso dei "Teppisti dei Sogni". Nacque nel 1973 ad opera di Salvo Romano, voce solista e chitarra accompagnamento, Tanino Cannarozzo, batteria, Pino Falletta, voce e basso, Ezio Volpe, voce e chitarra solista e Angelo Avarello, voce e tastiere. Erano cinque ragazzi semplici, con tanta voglia di vivere, suonare ed amare, come hanno sempre affermato nelle loro canzoni. Nel 1974 hanno inciso il loro primo 45 giri dal titolo fortunato "Piccolo fiore dove vai". E’ stato un vero successo che oltre ad una forte vendita ha dato loro la notorietà. Nel 1977 esce il loro primo LP dal titolo "Tu amore mio" che dà al complesso il successo e li porta a New York, Boston e Filadelfia. Entrati nel giro, nel 1979 incidono il secondo LP dal titolo "Sei tu l’amore": Anche questa raccolta fa da passaporto per un secondo viaggio negli USA e in Canada dove si esibiscono al Madison Square Garden di New York e al Teatro Olimpico di Toronto (1980). Nello stesso anno però qualcosa si incrina e Salvo Romano lascia i compagni per fondare un nuovo complesso chiamato "Salvo e la rosa di cristallo", assieme a Gino Borsellino, Gino Erba, Mario Schembri, Toti Ministeri. Il nuovo complesso tenta di ripetere le fortune dei Teppisti ma senza successo e nel 1984 si scioglie. Salvo torna con i Teppisti che riprendono a girare in Italia e all’estero, soprattutto in Germania. Nel 1993 Angelo Avarello lascia il complesso e viene sostituito da Gimmy Borsellino. Tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta numerosi altri giovani si impegnano nella musica dando vita a vari complessi che lavorono per affermarsi.Tra tutti emerge quello dei Fester, guidato da Andrea Tricoli, in collaborazione con Pino Sanfilippo. 

LA CORRENTE ELETTRICA 

Procedendo nello studio dell’evoluzione del nostro centro è aumentata la curiosità e il desiderio di conoscere le varie tappe che hanno migliorato le condizioni di vita della nostra gente e ci siamo chiesti: "Quando i nostri antenati hanno avuto la corrente elettrica?" Dalle informazioni ricevute dalle persone anziane si è quasi certi che la centrale elettrica sia stata installata intorno al 1929, dove in atto è la tabaccheria-edicola di Antonino Calafato. Fu costruito appositamente un ampio edificio tra Via Volta e C/so Garibaldi e la gestione fu tenuta dai signori Salvatore Trenta, Calogero D’Antona, Diego Sanfilippo e Giuseppe Cumbo. La "luce" si diffuse rapidamente e qualche anziano, allora bambino, ricorda le prime sensazioni quasi di sgomento nel vedere muovere per le stanze la propria ombra proiettata appunto dalla luminosità della piccola lampadina. I ravanusani accolsero con piacere questa innovazione e si resero conto subito dell’utilità. Solo pochi "poveri di spirito" rimasero senza corrente elettrica sino agli anni ‘40. 

IL CINEMA

La data della comparsa del Cinema a Ravanusa non è certa. Dalla tradizione giuntaci si pensa che un primo locale cinematografico, gestito dal signor Antonio Parisi, sia sorto intorno al 1920 in via Campanella, nei locali attualmente sede dell’Istituto Santina Noto. Intorno al 1920 Antonio Parisi costituì una società con i fratelli Trenta trasferendo il cimena nei locali della vecchia chiesa del Purgatorio, in via Saffi. Con l’avvento del fascismo nel 1922 il locale fu chiuso. Sotto la stessa gestione fu riaperto nel 1930 nei locali dell’ex baronia di Naro, di fronte la chiesa Madre. Contemporaneamente venne aperto un secondo cinema in Piazza Regina Elena, dove in atto c’è il ristorante La Corrida, gestito dal Signor Salvatore Ministeri. Della consistenza e struttura di questi locali si sa ben poco. Il primo fu chiuso per ragioni di pubblica sicurezza in seguito all’incendio avvenuto in un cinema di Licata dove morirono numerose persone. La sua struttura in legno in effetti non garantiva nessuna sicurezza. Il secondo chiuse i battenti per fallimento. Il Cinema a Ravanusa riapre dopo la guerra, nel 1948, nei locali dell’ ex Purgatorio in via Saffi attualmente Piazzetta. Rispetto ai precedenti, come locale pubblico era più organizzato, ma in sè abbastanza modesto. Era Cine-Teatro in quanto ospitava le compagnie di avanspettacolo che portavano in giro quelle ballerine che in gergo venivano chiamate "Sciantuzze", dal francese chanteuses, ma anche il "Mortorio" che, sui testi di Padre Mario Musso, veniva rappresentato tutta la settimana di Pasqua, e gli spettacoli di prosa della compagnia dei fratelli Eugenio e Franco Zappalà. Tale locale sin dalla sua fondazione fu gestito dai Signori Castrense Mattina con il figlio ms. Ignazio, Antonino Termini e Antonio Raia. Sull’onda del successo riportato, i gestori costruirono il giardino Arena-Edison in uno spazio in via Galilei di proprietà di don Felicino Lo Presti, circondato da alberi addobbati da lampade variopinte (1950). Qualche anno dopo in concorrenza, ma solo per l’estate, nacque l’Arena Parisi, nello spazio retrostante il Circolo Dante Alighieri, gestita dai fratelli Domenico e Calogero Parisi, D’Antona Baldassare e Grifasi Angelo. Dopo qualche anno di concorrenza, durante il quale i cittadini poterono usufruire di films a buon mercato, le due gestioni si fusero. E’ rimasto proverbiale il periodo in cui con la modica cifra di venticinque lire si poterono vedere due films. Nel 1955 ad iniziativa di Domenico, Francesco e Giuseppe Trenta sorse il Cinema-Teatro Trenta molto più capiente dei precedenti, più moderno e più igienico. Questo nuovo locale assorbì il precedente che scomparve, rimanendo l’unico locale pubblico sino al 1992, anno in cui ha chiuso i battenti per la nota crisi del Cinema. Televisione, discoteche, passeggio, attività sportive, distraggono diversamente le persone.

RADIO E TV

La nascita delle radio libere non poteva non far sentire l’influenza nel nostro centro dove le iniziative certo non mancano. Con tempestività, quasi che si temesse che l’etere potesse saturarsi, un gruppo di giovani tra i quali si ricordano Pietro Di Natali, Enzo Milisenna, Angelo Grifasi e Franco Rizzo, inaugurano la RTR (Radio Telecomunicazioni Ravanusa) ubicandola in Via Lisia zona Lazzaretto, che per l’occasione si animò di un via vai di persone che in passato non si era mai verificato. L’ambizioso nome allora fu suggerito dal progetto di trasformala in TV libera e in effetti alla sua nascita suscitò un entusiasmo che coinvolse molte persone in dibattiti, interventi telefonici, suggerimenti su argomenti da trattare, recitazione di liriche, racconti, ma soprattutto propose quiz e tanta musica. E’ doveroso segnalare che il programma per i bambini, condotto dalle insegnanti Alba Avarello e Rosetta Cannarozzo polarizzò l’attenzione dei radio ascoltatori per un lungo periodo. In quella radio si distinse pure come D. J. Carmelo Di Pasquali, meglio conosciuto come "Carmelo lu bosso". RTR pur con il successo, non realizzò i suoi progetti ambiziosi; essa chiuse i battenti nel 1980. Ne colse l’eredità Radio Uno che trasmetteva dai locali del Disco Club OK; furono promotori i fratelli Galifi, Salvatore Bisaccia, Luigi Cascina e Francesco Faudone. Trasmetteva musica,notizie di attualità e fatti di costume. Seguirono quasi contemporaneamente Radio Gamma (1981), Nuova Radio Centro Meridionale (1982), filiazione della Televaldisalso, Emittente Monte Saraceno (1982), tutte di breve durata. Una iniziativa più stabile è rappresentata da Radio Insieme fondata nell’ aprile del 1985 da Giuseppe Miceli, Luigi Formica, Carmelo Raia e il geom. Luigi Raia. E’ stata una radio tipicamente commerciale; ciò le ha consentito una sopravvivenza più stabile ma non aliena da polemiche. L’emittente è tuttora in esercizio. Nel novembre del 1987 nasce Radio Azzurra ad opera di Santo Boncori, Lillo e Calogero Avarello. Dopo un primo Veriodo di assestamento nel 1989 con l’ingresso in Società di Lillo Pirrera, la Radio si pone come punto di riferimento più concreto non solo in paese ma anche per i centri delle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna; mira ad arrivare anche in provincia di Palermo. I suoi programmi offrono informazioni, cultura, dibattiti, politica, sport, musica, oroscopo, quiz. Nel contesto dell"’invasione" dell’etere si registra a Ravanusa anche la nascita di una TV locale, la TELEVALDISALSO che iniziò la sua attività nel luglio del 1977 nei locali di Via Ombrone. Era una Società a r.l. con presidente l’ins.Vito Borsellino; vice presidente Antonino Giudice; consigliere Stefano Giudice. Divenuta S.p.A. cambia gestione e diviene presidente il dott.Giuseppe Barrese; coordinatore dott. Luigi Raia. Era di ispirazione politica e come tale non ebbe vita lunga. Cercò di coinvolgere alcune categorie di professionisti ma senza successo. Si ricordano, per un certo interesse destato, i programmi "Settebello" e "Quasi un varietà" oltre ai dibattiti sul calcio a Ravanusa che in quel momento era in auge. Non ebbe però mai una programmazione quotidiana organica. La TV chiuse nel 1984. Ai nostri giorni si registra un altro tentativo che ancora è in fase di prove tecniche. Si tratta di TRR alla quale si augura un buon successo.

LO SPORT

Lo sport a Ravanusa è stato sempre praticato a livello dilettantistico. Nasceva dall’intimo del cuore dei giovani che spinti dal desiderio di associarsi e di dare sfogo alla loro baldanza e vitalità, mettevano insieme un gruppo di persone che su improvvisati campi di maggese, sfidando i sassi e le sterpi,scioglievano i loro muscoli per potere poi impegnarsi in qualche gara amichevole che polarizzava l’attenzione dei ravanusani.Si ricordano negli anni quaranta i fratelli Parisi, Angelo Muratore, Lillo Avenia, Giuseppe Romano, Totò Lauricella, Lillo Burgio, Francesco Ministeri. E negli anni ‘50 i più giovani Totò Ciotta detto fuciliere, Angelo D’Angelo, Melino Ciotta, Lillo Ninotta, Gino Muratore, Totò Sciangula, e via via molti altri, tenevano desto per il breve periodo estivo il "nome" del calcio ravanusano. Nelle sfide contro i più blasonati del Licata eravamo sempre vittime; riscattavamo però il nostro orgoglio ferito contro i vicini di Campobello che erano al nostro livello. A quei tempi lo sport non andava oltre. Mancava una mentalità sportiva vera e propria, una qualsiasi iniziativa menageriale che costituisse una Società organica. Non c’era neanche campo sportivo per potere inseguire il miraggio di una squadra che partecipasse ad un campionato ufficiale e ogni velleità calcistica si spegneva con la fine dell’estate, quando l’aratura dei campi toglieva ai giovani persino quegli spazi su cui potevano sgambettare. Il campo sportivo Saraceno a Ravanusa nacque nel 1967 e da allora si costituirono Società sportive vere e proprie che però non parteciparono a campionati ufficiali. Si ricordano la A.S. Ibla, vicina ai socialisti e ispirata dal dott. Paolo Lauricella e l’antagonista Club Juve, di matrice cattolica guidata dal sac. Francesco Caravaglia e da Gioachino Sciascia, entrambi noti per la eccessiva foga e passionalità. In esse si distinsero i fratelli Calogero e Gianni Rizzo, Francesco e Pippo Lazzaro, Mimmo e Michele Cannarozzo, Totò Grifasi, Angelo Tedesco, Pino Giarrana, Luigi Iacona, Pietro Carmina. Le rivalità tre le due Società furono sempre feroci fino a quando, con buon senso di molti nel 1973 si attuò la loro fusione da cui nacque l’A.C. Ravanusa, la squadra comunale la cui direzione fu assunta dall’on. Salvatore Lauricella che la portò ai fasti della conquista della Coppa Italia dilettanti, in quella memorabile gara che fu la finale di Camaiore, il 30 giugno 1979 contro lo JAG Gazoldo di Goito (Mantova) sconfitta per 1-0 con gol di Conti. Quasi contemporaneamente nasce a Ravanusa l’A.S. Saraceno, sponsorizzata dai comunisti. Anch’essa è vissuta principalmente con i contributi comunali e con qualche occasionale sponsor. A Ravanusa ancora manca una mentalità contributiva organica e finalizzata allo sport per cui le due Società vivono in difficoltà. Di altri sport a Ravanusa non si parla.Un tentativo di lanciare il basket è naufragato prima di nascere.L’atletica, una volta esaltata dai Giochi della Gioventù che coinvolgevano gli studenti, oggi non viene più praticata. Solo il giovane Giancarlo La Greca si distingue a livello regionale per il mezzo fondo, ma gareggia con Società che operano fuori.

Professoressa Gina Noto Termini


 

La festa di “MENZAGUSTU” a Ravanusa alla luce di antichissimi documenti

Il 15 agosto si celebra ovunque la festa della: Madonna Assunta; per i ravanusani invece tale festa è legata ad una particolare tradizione: quella della MadQnna delle Grazie, detta anche «Madonna del Fico o del Fonte» o Madonna di Ravanusa. La celebrazione, per antica tradizione, occupa tre giorni: la vigilia, il giorno della festa e l’indomani; e non manca fin dai tempi più antichi di fiere, mercato per traffici e commerci, corse di de­strieri con premio per attirarvi i forestieri. — Della remota origine ci danno notizia, molti storici, ultimo nel tempo il concittadino Ferdinando Lauricella nel suo scrit­to «Ricerche storiche sull’origine di Ravanusa», ove riporta documenti che risalgono al XVII secolo. Primo documento è un atto stipulato dalla Real Corte nell’ufficio del luogotenente del protonotaro il 14 luglio 1621, tra il duca Giacomo Bonanno ed i giurati di Licata. Giacomo Bonanno, figlio di Filippo Il Bonanno e di Antonia Colonna Romano, aveva ricevuto dal padre l’8 giugno 1619 in donazione «Propter nuptias» la baronia di Ravanusa. Nel 1621 comprò dalla Real Corte per 6.000 onze il Mero e Misto Imperio colla facoltà di popolare e di imporre tasse. Questo fatto provocò il risentimento dei cittadini licatesi, essendo il feudo di Ravanusa nel territorio di Licata, dove essi esigevano le tasse regie e le civiche gabelle. L’atto stabiliva, tra gli altri patti: «I cittadini di Licata, i quali venissero in Ravanusa nel giorno 15 agosto per godere la festività dell’Assunzione, restavano per detto giorno e per la vigilia esenti dalla giurisdizione del Barone, ma facendo delitti, poteva questo farli arrestare con obbligo di trasmetterli nel castello della città di Licata ‘a disposizione del tribunale della Regia Corte». Siamo nel 1600. Altro documento è una inibizione del Viceré Alburqueques contro i licatesi i quali, risentiti per una presunta usurpazione, da parte del duca, di terre del feudo Cannamele appartenente al loro Comune «Sotto pretesto di essere stati liberati dal loro protettore S. Angelo dalla peste dell’anno 1625, avevano fatto voto di trasportare la festività di Questo, dal 5 maggio al 15 agosto di ogni anno, con evidente danno della festa con mercato di Ravanusa, che si verificava nello stesso giorno». Si evince da ciò quanto gli antichi ravanusani fossero da secoli attaccati al loro menzagustu. Nel 1453 venne costruito un convento da Andrea De Crescenzio accanto la chiesa nella quale si venera una statua della Vergine, detta «Madonna di Ravanusa» creduta di bitùme, la cui festività si celebrava il 15 agosto con fiere e mercati. «Simulacrumhoc B. Virginis ex bitumine unctum, miraculorum freuentia celebre est, festum cub mundinis, e magno comeuntu die 15 augusti celebratur. (Rocco Pirro - Sicilia Sacra). Da quanto detto, sulla scorta di incoepibili documentni ultrasecolari, risulta chiaramente che il Menzagustu ravanusano ha ben poco a che vedere con gli odierni ferragosti cittadini che si festeggiano in molti Comuni d’italia. Il nostro Menzagustu è tutt’altra cosa: legato alle origini storiche della nostra città, caposaldo fondamentale della religiosità della nostra popolazione di oggi e di ieri, nel rinnovarsi di anno in anno con un crescendo di pompe mondane, rivela pur sempre un pio secolare campanilismo di tutto il nostro paese.

PIETRO DI CARO

 IL RIENTRO DEGLI EMIGRATI

L’arrivo del ferragosto non è atteso a Ravanusa solo perché porta con sé la festa principale del paese, ma soprattutto perché con esso si ha il rientro di quasi tutti i ravanusani emigrati in Germania e Francia. Tempo fa la caratteristica festa paesana era attesa perché rinnovava il folklore locale, con la caratteristica «Rietina» di animali bardati a festa che sfilavano lungo le vie cittadine prima di portare l’offerta del grano alla Madonna Assunta, e soprattutto perché consentiva a tutti di festeggiare in allegria il raccolto, in agosto ormai al sicuro nelle profesta è cambiato. Non imfesta si fa nei cuori dei cittadini, che nella ricorrenza abbracciano i familiari emi­grati che non vedono da un anno intero e forse più. E in questo senso la festa comincia già con la fine di luglio, quando cominciano ad arrivare i più giovani, che partiti con la caratteristica valigia con lo spago e con molta speranza verso una destinazione ignota, ritornano per primi al volante di lunghe e lussuose automobili dalla targa per noi incomprensibile, ma con una «D» o una «F» molto chiare, che ci indicano la provenienza tedesca o francese. Queste automobili per tutto il mese di agosto faranno il carosello per le vie cittadine, cambiando per un po’ il volto al paese. Più tardi arrivano gli altri, molti altri, col treno, e dalla stazione ferroviaria con la corriera sovraccarica di bagagli e traballante per il peso come una vecchia diligenza del Far West. Il punto di arrivo è la piazza Crispi. Lì ad attendere gli emigrati sono molti familiari che rapiscono i congiunti prima ancora di scendere dall’ultimo mezzo che li ha riportati al paese natio, da dove molti anni prima si erano allontanati per intraprendere il cammino della speranza. Il 15 agosto così sono presenti oltre duemila emigrati che con il loro portamento disinvolto conferiscono al paese un aspetto insolito, da stazione turistica. Non importa che per le strade ci siano gli archi di lampadine variopinte o i venditori di giocattoli; non si tiene più allo sparo dei mortaretti o agli spettacoli piròtecnici. Si va lo stesso al? bar, si sta in giro e si rientra a tarda notte, per l’intero mese di agosto, fino all’ultimo giorno, quando dovranno intraprendere il viaggio di ritorno, mesti come la prima volta, ma animati stavolta, non dalla speranza di fare fortuna — tutti hanno lasciato un buon posto di lavero da dove per un anno hanno inviata somme considerevoli alle famiglie ma dalla certezza che un giorno non dovranno più ripartire, quando i risparmi consentiranno l’acquisto di un podere da coltivare in conto proprio e il possesso di una casa decorosa e arredata secondo i sistemi moderni.

DIEGO TERMINI

Ciclopici resti di un’edicola funeraria del VI secolo

Nel 1936, in occasione dei lavori di trasformazione della antica, trazzera Ravanusa-Mazzarino — rispondente al vecchio tratto che univa Kachiron a Mactonon, ossia Callonitana a Philosophiana — in strada rotabile, venne alla luce, sul monte Saraceno, la famosa edicola funeraria di Millo. Acuni operai alle dipendenze della ditta appaltatrice, Giòsuè Raia, adusi a servirsi dei blocchi che emergevano in gran quantità sul monte Saraceno, nello smantellare un alto muro s‘avvidero che la parte inferiore di alcuni blocchi era dipinta ed ornata con motivi floreali. La notizia venne agli orecchi della Sovrintendenza agrigentina, che inviò lo l'archeologo dr. Mingazzini, a cui fu concesso un fondo straordinario di L. 5.300. Il piccone rivelò subito  resti di una possente torre di difesa alta circa quattro metri; torre abbastanza antica (VI sec. a.C.), ma costruita con materiale di reimpiego, colonne e basi di altari appartenenti certo ad altra costruzione: in quanto risultavano segati e riadattati rozzamente. Nel tentativo di ricostruire, con i pezzi a disposizione, una edicola funeraria, si ebbe una nuova sorpresa: si scoprirono due blocchi interrati che recavano l’uno una scrittura intera in greco bustrofelico e l’altra una scritta «mozza» o abbreviata: «Millo emetero to Saconos» (Mulo figlio di Sacone) —«DA emy» (ossia, E Sacone figlio di Millo). Il monumento funerario, giudicato dal Mingazzini unico senza eguali nell’arte classica della Magna Grecia, di stile hymerese o selimuntino, specie per le colossali basi degli altari, è anche l’unico documento che rimane di scrittura arcaina su pietra. Appartenne — secondo lo stesso archeologo — al 560 a.C. circa, alla stessa epoca di Falande, tiranno di -Agrigento; costui in quel periodo, pare, avesse tentato con una serie di occupazioni di capisaldi di sbarrare il passo alla occupazione cartaginese dell’isola; trovando tuttavia resistenza negli Imeresi che avrebbero occupato Kachiron, per rovesciare i piani delle sue mire espansionistiche. E Millo, figlio di Sacone, lontano nipote di quel Sacone fondatore di Imera, avrebbe condotto l’impresa e sarebbe morto, per cause che ignoriamo sul monte Saraceno. A lui sarebbe stata dedicata la famosa edicola funeraria che doveva essere sita sul lato destro della porta di levante, mentre sul lato sinistro si trova un tempietto, le cui fondamenta ancor oggi sono visibili. Come sono visibili resti di mura, uno dei quali molto arcuato della lunghezza di 50 metri è protetto alle estremità da due torri. Si attribuiscono dette mura e torri a Terone. Ma sulla cosa occorrerebbe fare uno studio od hoc, ricostruendo su una mappa la planimetria della antica città sul monte, le mura di Terone, l’ubicazione del tempietto e dell’edicola funeraria.

LUIGI DI NATALE