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09.11.2002
Può esistere una "democrazia cristiana"
islamica? Questo è l'interrogativo suscitato dalle dichiarazioni di alcuni
nostri uomini politici a commento della schiacciante vittoria del partito
islamico "Giustizia e Sviluppo" (AKP) di Tayyp
Erdogan alle elezioni politiche svoltesi il 3
novembre scorso in Turchia. L'AKP ha raggiunto il 34,40% dei suffragi,
umiliando il Partito Repubblicano del Popolo di Bulent
Ecevit, fondato dal "padre" della Turchia
"laica" e moderna, Kemal Ataturk, che è risultato il secondo partito, attestandosi
sul 19,49% dei voti. In base alla legge elettorale turca, sono entrati in
Parlamento il partito di Erdogan, con 363 seggi, e
quello di Ecevit, con 178 seggi, mentre i nove
restanti scranni parlamentari sono stati assegnati agli Indipendenti.
Il ministro delle Politiche comunitarie, Rocco Buttiglione, si è chiesto se per caso Ankara non abbia
trovato nel partito "Giustizia e Sviluppo" "la sua Democrazia
Cristiana" ("Corriere della Sera" 5 novembre 2002). Di fronte
alla nuova inquietante realtà costituita dalla vittoria di un partito islamico
ma "moderato" in un Paese a grandissima maggioranza musulmana (il 99%
della popolazione), che sta in lista di attesa per entrare in Europa, gli
ideologi del "moderatismo" si chiedono, dunque, se esso non possa
svolgere una funzione di "trasbordo" verso la laicizzazione
e il socialismo, analoga a quella spiegata dalla Democrazia Cristiana in Italia
nella seconda parte del secolo appena trascorso.
Ora, senza entrare nel merito del ruolo della
Democrazia Cristiana nel degrado morale dell'Italia, basterebbe, a rompere
l'incantesimo, ricordare che il leader di "Giustizia e Sviluppo", Taypp Erdogan, nel 1998, appena
quattro anni fa, è stato condannato da un Tribunale turco per "istigazione
all'odio religioso" per aver pubblicato un antico poema in cui, tra
l'altro, si legge:"Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri
elmi, i minareti le nostre baionette e la fede i nostri soldati". Per non
parlare del fatto che il partito di Erdogan è sorto
ed ha guadagnato consensi proprio in reazione all'opera di laicizzazione,
realizzata soltanto a livello di vertice ma fallita a livello di massa,
iniziata da Ataturk ottanta anni orsono.
Ove ciò non bastasse (si può sempre sostenere che
tutti possono cambiare e che quello che è stato detto una volta non vale
eternamente), si può sempre rammentare la natura ideologica dell'islamismo, al
quale l'AKP si richiama. L'Islam è una religione totalizzante, in cui non
esiste separazione tra la sfera spirituale e quella temporale. La prima assorbe
ed ingloba totalmente la seconda. A differenza del Cristianesimo, che conosce
la distinzione tra le due sfere (ricordiamo il detto evangelico: "Date a
Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"), nell'Islam vi è
una fusione totale tra religione e politica. La politica è religione e la religione
è politica. Ed è per questo che non vi potrà mai essere un partito islamico
"laico". Un tale termine non esiste neppure nel lessico arabo. La
natura costitutiva, essenziale, dell'Islam impedisce la realizzazione di quello
che resta solo e soltanto un sogno.
La Turchia, pur non essendo storicamente,
culturalmente e geograficamente un Paese europeo, qualora venisse cooptata
nella UE, con i suoi 66 milioni di abitanti diventerebbe il più grande Stato
europeo. E allora, come non mostrarsi preoccupati della vittoria di un partito
islamico il cui leader, condannato per istigazione all'odio religioso,
sollecita l'entrata della Turchia in Europa, precisando:"Vogliamo entrare
in Europa, ma senza sacrificare il nostro orgoglio"? Come non condividere
il giudizio del presidente della Convenzione europea, Valery
Giscard d'Estaing, che, in
un'intervista al quotidiano francese "Le Monde" (8 novembre 2002)
afferma che l'ingresso della Turchia in Europa "sarebbe la fine
dell'Unione"?