(www.Viewsfromrome.org)

28.03.2003

 

Un’Europa vassalla dell’Islam è meglio di un’Europa protetta dagli Stati Uniti?

 Qual'è il futuro dei rapporti tra USA ed UE? Negli ultimi tempi, osserva Ralf Dahrendorf, "molti stanno incominciando ad usare un linguaggio che definisce l'Europa attraverso la distinzione o meglio il contrasto con gli Usa: un'Europa antitetica all'America" ("la Repubblica", 19 febbraio 2003).

Il collante che nell'era della guerra fredda aveva unito Europa e Stati Uniti dopo la caduta del muro di Berlino si è dissolto. Carles A. Kupchan, in un libro dal significativo titolo The End of the American Era (Alfred A. Knopf, New York 2002), prevede che il solco tra Stati Uniti ed Unione europea sia destinato ad allargarsi e che l' Occidente, prima unitario, sia avviato a dividersi in due metà separate, in forte competizione tra loro. Il nuovo nemico apparso all'orizzonte dopo l'11 settembre 2001, il "terrorismo globale" di matrice islamica, non è riuscito a rinnovare l'alleanza euro-atlantica. L'Europa rimprovera agli Stati Uniti di muoversi al di fuori dei principi della legalità internazionale, gli Stati Uniti accusano l'Europa di non aprire gli occhi sulla realtà del pericolo che minaccia l'Occidente.

Sul piano internazionale gli Stati Uniti hanno spesso anteposto l'utopismo al realismo. Oggi, paradossalmente, è la "vecchia Europa" ad anteporre Wilson a Metternich. L'Europa, come ha scritto Robert Kagan, vive con il pensiero in "un paradiso post-moderno di pace e di relativa prosperità, realizzazione della pace perpetua di Kant", mentre gli Stati Uniti restano impantanati "nell'anarchico mondo hobbesiano in cui le leggi e le norme internazionali sono inaffidabili e la sicurezza reale, la difesa e la creazione di un ordine liberale continuano a dipendere dal possesso e dall' uso della potenza militare" ("Policy Review", n. 113. Giugno-luglio 2002).

La guerra del Kosovo fu condotta dalla comunità internazionale, attraverso la NATO, in nome del principio wilsoniano della "ingerenza umanitaria". In Iraq, la ragione ultima dell'intervento americano, come ha spesso ripetuto George W. Bush non è la "democratizzazione" del Paese, ma la necessità di disarmare Saddam per tutelare la sicurezza interna ed internazionale degli Stati Uniti. La guerra non è condotta per imporre astratti principi democratici, ma per difendere gli "interessi nazionali" di una coalizione di Stati sovrani.

L'Europa, d'altra parte, deve agli Stati Uniti la libertà che essa oggi ha di criticarli. I paesi dell'Europa dell'Est che nelle ultime settimane hanno manifestato la loro solidarietà al governo degli Stati Uniti non hanno dimenticato chi li ha liberati dal giogo sovietico. L'Europa occidentale, al contrario, sembra dimenticare che l'America ha militarmente garantito per oltre quarant'anni la sua libertà. Gli archivi sovietici hanno rivelato l' esistenza di piani, continuamente aggiornati, di invasione militare dell' Europa.

Se ciò non accadde, lo si è dovuto unicamente alle truppe USA attestate sulla linea dell'Elba e, dopo gli anni '80, allo "scudo stellare" di Reagan e agli "euromissili" della Nato. Se l'Europa oggi è libera lo deve proprio al fatto che gli Stati Uniti sono stati una "superpotenza".

Come osserva Victor Davis Hanson su "Commentary" (ottobre 2002), "se gli Stati Uniti alla fine dovranno intervenire soli contro l'Iraq sotto i rimproveri dell'Europa, (.) sarà senz'altro difficilissimo in seguito soccorrere militarmente un paese europeo". Se poi per gli Stati Uniti l'Iraq dovesse rivelarsi un secondo Vietnam, la situazione sarà ancora peggiore. Chi difenderà l'Europa, se gli Stati Uniti non potessero o non volessero aiutarla?

Oriana Fallaci afferma che l'Europa, con i suoi sedici milioni di immigrati musulmani, "è diventata una provincia dell'Islam, come la Spagna e il Portogallo al tempo dei Mori" ("Corriere della Sera", 14 marzo 2003). Forse non lo è ancora, ma lo potrebbe diventare. Siamo sicuri che un'Europa vassalla dell'Islam sia meglio di un'Europa protetta dagli Stati Uniti?