20/03/2003

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Guerra nel Golfo. Quello che il Papa ha detto per davvero.

 di Sandro Magister

“Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo.

Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità...”.

 La vera storia di una condanna che non c'è mai stata

 

 

ROMA – In Iraq è guerra. Una guerra fortemente contrastata fino all’ultimo dalla Chiesa cattolica. Contrastata ma mai condannata, stando alle parole della sua autorità suprema, il papa.

Sull’assenza di questa condanna, i media non hanno fatto chiarezza. Quasi sempre hanno rilanciato le parole di Giovanni Paolo II come fossero un anatema assoluto contro questa guerra, se non addirittura contro tutte le guerre.

Ma di questa condanna non c’è traccia in nessuno dei frequenti, incalzanti discorsi nei quali il papa ha invocato la pace in Iraq.

Per verificare, più sotto ci sono i discorsi originali di Giovanni Paolo II sul tema: a partire dall’udienza generale di mercoledì 19 marzo e risalendo a ritroso fino al 1 gennaio di quest’anno, giornata tradizionalmente dedicata dalla Chiesa alla pace nel mondo.

In tutti i suoi interventi il papa predica la pace come un imperativo assoluto, orizzonte ineludibile di ogni decisione dei governi e dei singoli. Eppure mai si spinge a definire la guerra in Iraq «un crimine contro la pace», come invece, ad esempio, hanno fatto due suoi collaboratori, gli arcivescovi Jean Louis Tauran e Renato Martino.

Le parole del papa si distinguono per l’impronta intensamente religiosa. Rari e misuratissimi sono i passaggi da lui dedicati alle modalità con le quali costruire concretamente la pace nel Golfo. E hanno la forma del “discorso sul metodo”, non del precetto.

È di metodo, ad esempio, l’avvertimento che Giovanni Paolo II ha dato agli ambasciatori di tutto il mondo il 13 gennaio:

«Non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni».

Ed è anch’esso un richiamo a decidere responsabilmente il monito dell’Angelus del 16 marzo:

«Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità».

In questi come in altri passaggi, il papa non esclude mai la guerra in Iraq dall’arco delle decisioni praticabili e giuste.

Ma affida il giudizio alla coscienza e all’intelligenza di ciascuno. Il papa si mostra intransigente solo sull’orizzonte ultimo della pace, non sulle vie per arrivarvi. E la pace da lui predicata è essenzialmente quella «che viene da Dio».

Una conferma di questa linea papale è lo scontento che essa ha prodotto tra i pacifisti cattolici.

 

Un buon numero di essi, in Italia, hanno indirizzato a Giovanni Paolo II una lettera aperta per dirgli, testualmente:

«Santità, le chiediamo un'affermazione semplice e univoca, che non lasci scappatoie per gli incisi e i distinguo».

Segno che a giudizio di questi pacifisti il no del papa alla guerra non è radicale – senza se e senza ma – come da loro voluto.

Tra i firmatari della lettera vi sono il priore dell’abbazia benedettina camaldolese di Fonte Avellana, Alessandro Barban, il presidente di “Beati i costruttori di pace”, don Albino Bizzotto, il vicedirettore di “Famiglia Cristiana”, Angelo Bertani, il missionario Alex Zanotelli, i cultori della nonviolenza Enrico Peyretti e Massimo Toschi, preti, suore, teologi di fama.

Ed ecco qui di seguito una fedele antologia degli interventi di Giovanni Paolo II sulla guerra del Golfo:

 

> Udienza generale del 19 marzo 2003

 “San Giuseppe, patrono universale della Chiesa, vegli sull’intera comunità ecclesiale e, uomo di pace qual era, ottenga per l’intera umanità, specialmente per i popoli minacciati in queste ore dalla guerra, il prezioso dono della concordia e della pace.”

 

> Angelus del 16 marzo 2003

 “Desidero rinnovare un pressante appello a moltiplicare l'impegno della preghiera e della penitenza, per invocare da Cristo il dono della sua pace. Senza conversione del cuore non c'è pace.

I prossimi giorni saranno decisivi per gli esiti della crisi irakena. Preghiamo, perciò, il Signore perché ispiri a tutte le parti in causa coraggio e lungimiranza.

Certo, i responsabili politici di Baghdad hanno l'urgente dovere di collaborare pienamente con la comunità internazionale, per eliminare ogni motivo d'intervento armato. A loro è rivolto il mio pressante appello: le sorti dei loro concittadini abbiano sempre la priorità!

Ma vorrei pure ricordare ai paesi membri delle Nazioni Unite, ed in particolare a quelli che compongono il consiglio di sicurezza, che l’uso della forza rappresenta l'ultimo ricorso, dopo aver esaurito ogni altra soluzione pacifica, secondo i ben noti principi della stessa Carta dell’Onu.

Ecco perché - di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l'equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne - dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare; c'è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare.

Riflettere sui propri doveri, impegnarsi in fattivi negoziati non significa umiliarsi, ma lavorare con responsabilità per la pace [...].

Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: "Mai più la guerra!", come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera e penitenza!”

 

 

> Angelus del 9 marzo 2003

 “Come suggerisce il Vangelo odierno (Mc 1,12-15), durante i quaranta giorni della Quaresima i credenti sono chiamati a seguire Cristo nel "deserto", per affrontare e vincere con Lui lo spirito del male. Si tratta di una lotta interiore, da cui dipende la concreta impostazione della vita. E' infatti dal cuore dell'uomo che scaturiscono le sue intenzioni e le sue azioni (cfr Mc 7,21); è pertanto solo purificando la coscienza che si prepara la via della giustizia e della pace, sia sul piano personale che in ambito sociale.

Nell'attuale contesto internazionale, si avverte più forte l'esigenza di purificare la coscienza e convertire il cuore alla pace vera. Al riguardo, è quanto mai eloquente l'icona di Cristo che smaschera e vince le menzogne di Satana con la forza della verità, contenuta nella Parola di Dio. Nell'intimo di ogni persona risuonano la voce di Dio e quella insidiosa del maligno. Quest'ultima cerca di ingannare l'uomo seducendolo con la prospettiva di falsi beni, per distoglierlo dal vero bene, che consiste proprio nel compiere la volontà divina. Ma la preghiera umile e fiduciosa, rafforzata dal digiuno, permette di superare anche le prove più dure, e infonde il coraggio necessario per combattere il male con il bene. La Quaresima diviene così un tempo di proficuo allenamento dello spirito.”

 

> Angelus del 2 marzo 2003

 “Quest'anno, intraprenderemo l'itinerario penitenziale verso la Pasqua con un più forte impegno di preghiera e di digiuno per la pace, messa in forse da crescenti minacce di guerra. Già domenica scorsa ho avuto modo di annunciare quest'iniziativa, che intende coinvolgere i fedeli in una fervorosa preghiera a Cristo, Principe della Pace. La pace, infatti, è dono di Dio da invocare con umile e insistente fiducia. Senza arrendersi dinanzi alle difficoltà, occorre poi ricercare e percorrere ogni strada possibile per evitare la guerra, che sempre porta con sé lutti e gravi conseguenze per tutti.”

 

> Angelus del 23 febbraio 2003

 “Da mesi la comunità internazionale vive in grande apprensione per il pericolo di una guerra, che potrebbe turbare l'intera regione del Medio Oriente e aggravare le tensioni purtroppo già presenti in quest'inizio del terzo millennio. È doveroso per i credenti, a qualunque religione appartengano, proclamare che mai potremo essere felici gli uni contro gli altri; mai il futuro dell'umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra.

Noi cristiani, in particolare, siamo chiamati ad essere come delle sentinelle della pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Ci è chiesto, cioè, di vigilare, affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell'egoismo, della menzogna e della violenza.

Invito, pertanto, tutti i cattolici a dedicare con particolare intensità la giornata del prossimo 5 marzo, Mercoledì delle Ceneri, alla preghiera e al digiuno per la causa della pace, specialmente nel Medio Oriente”.

 

> Angelus del 9 febbraio 2003

 “In quest'ora di preoccupazione internazionale, tutti sentiamo il bisogno di rivolgerci al Signore per implorare il grande dono della pace. Come ho rilevato nella Lettera apostolica ‘Rosarium Virginis Mariae’, "le difficoltà che l'orizzonte mondiale presenta in questo avvio di nuovo millennio ci inducono a pensare che solo un intervento dall'Alto [...] può far sperare in un futuro meno oscuro" (n. 40). Numerose iniziative di preghiera si svolgono in questi giorni in varie parti del mondo. Mentre le incoraggio di cuore, invito tutti a prendere in mano la corona per invocare l'intercessione della Vergine Santissima.”

 

> Discorso al corpo diplomatico del 13 gennaio 2003

 “No alla guerra! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi. Dico questo pensando a coloro che ripongono ancora la loro fiducia nell’arma nucleare e ai troppi conflitti che tengono ancora in ostaggio nostri fratelli in umanità. A Natale, Betlemme ci ha richiamato la crisi non risolta del Medio Oriente dove due popoli, quello israeliano e quello palestinese, sono chiamati a vivere fianco a fianco, ugualmente liberi e sovrani, rispettosi l’uno dell’altro. Senza dover ripetere ciò che dicevo l’anno scorso in questa stessa circostanza, mi accontenterò oggi di aggiungere, davanti al costante aggravarsi della crisi mediorientale, che la sua soluzione non potrà mai essere imposta ricorrendo al terrorismo o ai conflitti armati, ritenendo addirittura che vittorie militari possano essere la soluzione. E che dire delle minacce di una guerra che potrebbe abbattersi sulle popolazioni dell’Iraq, terra dei profeti, popolazioni già estenuate da più di dodici anni di embargo? Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari.”

 

> Angelus del 1 gennaio 2003

 “Come non esprimere ancora una volta l'auspicio che, da parte dei responsabili, si faccia tutto il possibile per trovare soluzioni pacifiche alle molte tensioni in atto nel mondo, in particolare nel Medio Oriente, evitando ulteriori sofferenze a quelle popolazioni già tanto provate? Prevalgano la solidarietà umana e il diritto!”

 

> Omelia del 1 gennaio 2003

 “Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest'anno rievoca l'enciclica ‘Pacem in Terris’, nel quarantennio della sua pubblicazione. [...] Quando fu scritta nubi minacciose si profilavano all'orizzonte mondiale, e sull'umanità pesava l'incubo di una guerra atomica. Il mio venerato predecessore [...] indicò con forza "la verità, la giustizia, l'amore e la libertà" come i "quattro pilastri" su cui costruire una pace durevole. Il suo insegnamento rimane attuale. [...] Di fronte agli odierni conflitti ed alle minacciose tensioni del momento, ancora una volta invito a pregare affinché siano ricercati "mezzi pacifici" di composizione ispirati da una "volontà di intesa leale e costruttiva", in armonia con i principi del diritto internazionale.”