France News 17 marzo 2003
http://www.giovannibernardi.it/paginedidifesa/tani_030317.html
Quella che era nata come una estemporanea
dichiarazione buonista scaturita dalla necessità di dare colore alla
celebrazione del sodalizio franco tedesco si è trasformata in una vera e
propria dottrina consolidata che ha abbondantemente tracimato le sue
presumibili intenzioni originarie. L'intensificarsi progressivo delle critiche
francesi e il veemente proselitismo a tutto campo che Parigi ha compiuto con un
successo piuttosto scontato dato il tema, hanno assunto una dinamica
irrefrenabile. Favoriti in ciò da una rara mancanza di tatto politico da parte
di alcuni esponenti della Amministrazione americana, il Segretario alla Difesa
Rumsfeld in testa. A questa hanno corrisposto speculari prese di posizione di
importanti personalità del governo e dell'opposizione francesi, concordi come
non mai sul tema dell'antiamericanismo.
Le ragioni di questi comportamenti e i possibili
sviluppi sono stati esaurientemente analizzati da William Plaff e Joseph
Fitchett in due articoli comparsi sulla edizione week-end dell'International
Herald Tribune del 15 marzo. Le prime risiederebbero - secondo gli autori -
nella esplosione incontrollata di taluni caratteri nazionali gallici che
condizionano perennemente la condotta degli affari internazionali da parte del
governo di Parigi, quale che sia la sua coloritura ideologica: vanità, eccessiva
ambizione, arroganza, inclinazione per i gesti inutilmente spavaldi, soffocante
nostalgia per un glorioso passato, tendenza a privilegiare la forma rispetto
alla sostanza.
A tali consueti moventi si devono associare alcune
motivazioni casuali legate alle contingenze specifiche. In primis il petrolio,
che viene comunemente accreditato come una delle molle principali della
politica americana verso l'Iraq. Probabilmente a torto, dato che gli Stati
Uniti hanno un bisogno relativo di incrementare il proprio predominio in
materia. Essi controllano il mercato mondiale, tramite le Sette Sorelle,
condizionano i principali produttori - dall'Arabia Saudita, al Kuwait, al
Venezuela, alla Nigeria, alla recente Russia, tutti puntualissimi fornitori, a
dispetto della loro scarsa affidabilità politica - e sono detentori delle più
aggiornato know how del settore. Oltre a disporre in proprio delle maggiori
riserve strategiche del mondo e di enormi giacimenti non utilizzati in Alaska.
I francesi, invece, sono fuori dei principali giochi,
hanno strutture estrattive e commerciali limitate (anche per il loro
encomiabile impegno sul nucleare civile) e nessuna risorsa sul proprio
territorio. Le loro maggiori opportunità risiedono proprio nei giganteschi
contratti che la Total Fina ha stipulato con il regime di Baghdad. Oltre
cinquanta miliardi di dollari, ossia sei volte gli interessi economici che la
Russia vanta nei confronti dell'intero Iraq. Le cifre sono eloquenti, anche se
poco pubblicizzate e forse poco conosciute all'esterno degli addetti ai lavori,
e riportano la questione nei suoi giusti termini.
Un altro motivo dell'atteggiamento francese potrebbe
essere la sensazione da parte di Parigi che l'evento iracheno potrebbe favorire
il processo di integrazione della Unione Europea guidato dalla Francia,
catalizzando su un "cattivo" esterno (non Saddam Hussein ma
l'egemonismo americano) le sollecitazioni centripete dei Quindici. Questo prima
che l'allargamento della UE all'area filo-yankee est-europea allontani
definitivamente la prospettiva. E' una tesi avanzata e auspicata in un certo
modo anche da Sergio Romano, in una sua recente conferenza al CASD (Centro Alti
Studi Difesa). Se così fosse, il tentativo sembra fallito su tutta la linea. La
crisi irachena ha fatto non poco retrocedere la UE sulla strada
dell'integrazione. L'Europa non è mai stata così frazionata e discorde come
adesso. Divisa fra una componente atlantica fedele all'impostazione originaria
dell'alleanza euro-americana - con vecchi e nuovi adepti - e un ristretto
nucleo renano che, se ha trovato nel mondo consensi e plausi nella sua
americafobia, è rimasto sostanzialmente isolato nella propria area di interesse
geopolitico.
Il consensi e plausi si vanno configurando in un
improbabile Rassemblemant intercontinentale, variopinto e trasversale, da
Castro a Saddam, a Schroeder, al Papa, ad Arafat, a Chirac, a Lula,
all'Arcivescovo di Caterbury, a Jimmy Carter, ai post comunisti russi e cinesi
(postcomunisti anche loro, non è un refuso). Scrive Plaff nel suo articolo:
"Come Stalin chiese al Papa quante divisioni avesse, così ci sarebbe da
chiedere agli stati africani, arabi, latino americani che partecipano a questa
lobby, quanto PNL allocheranno a questa inedita alleanza" (e competenza
politica, sviluppo tecnologico,e progresso sociale, certezza del diritto e
immunità dalla corruzione, aggiungiamo noi). Oltre che irritare massimamente
l'opinione pubblica di un grande alleato come gli Stati Uniti, aggredito e
ferito da fiancheggiatori obiettivi di Saddam e compagni, nonché ritardare e
rendere forse più oneroso l'esito della vicenda, quale altro risultato questa
velleitaria operazione porterà a casa?
Il mistero è fitto, anche perché a parte
dichiarazioni vagotoniche quanto banali sul rifiuto pregiudiziale di considerare
inevitabile una guerra per qualsiasi ragione che non sia l'estrema autodifesa -
in Iraq ma è anche da presumere, coerentemente, contro la Germania il 3
settembre del 1939, l'Indocina, il Marocco, la Tunisia, l'Algeria, l'Egitto
nasseriano, l'esercito libico nel Chad, i ribelli della Nuova Caledonia,
persino il battello Raimbow Warrior di Greenpeace nel porto di Wellington - la
leadership francese non riesce a fare capire quali siano le sue profonde,
meditate e coerenti ragioni per le quali ciò che normalmente appartiene alla
sua praxelogia politica non debba essere considerato, con ben altre cautele,
anche da altri.
La stessa leadership sottintende molto, ma questo
molto si concentra su una ossessione maniacale volta a impedire che gli USA
diventino lo sceriffo del mondo. preferendo alla sua autorità - che è comunque
l'unica possibile in un pianeta in subbuglio, percorso da violenze feroci e
corpose vene di follia - nessuna autorità (a quanto pare) o quella dei vili e
degli inetti. Neanche un presidente francese o un prestante ministro degli
esteri di nobili natali, innamorato di se stesso e biografo di Napoleone (in
mancanza forse di altre personalità per le quali valga la pena prender la
penna), potrebbero arrivare a farneticare di un surrogato gaulois o europeo
guidato dalla Francia. Questa ultima ipotesi sollecita solo ironie, anche se
nessuno osa formularla apertamente.
Al di là di come la vicenda irachena finirà, è più
che probabile che i rapporti franco-americani usciranno comunque con le ossa
rotte. Di fronte alla tradizionale antipatia dei transalpini verso i loro
plurisalvatori - segno che la gratitudine non si coniuga facilmente con
l'eccelsa considerazione di sé - è più che certo che per gli americani i
francesi sono diventati una specie di Detestati Numero Uno. I primi stanno
cercando di trovare qualche motivo razionale e presentabile per giustificare un
disgusto che ha soppiantato l'insieme di commiserazione e ammirazione che ha
caratterizzato il tradizionale atteggiamento yankee verso i loro attuali rivali
quando erano solo dei brillanti bonvivant un po' stravaganti. Si può essere
certi che il motivo sarà trovato. Come ha detto Edward Luttwak, sulle rive del
Potomac - e anche altrove - è in preparazione un conto salatissimo che verrà presentato
al momento opportuno, quando questa storia sarà finita. Qualche anticipazione
in tal senso dell'IHT, solitamente ben informato, con qualche estrapolazione da
parte di chi scrive:
indebolimento del ruolo ONU di Parigi attraverso una riforma del Consiglio di Sicurezza che aumenti il numero dei membri permanenti e modifichi il meccanismo del veto: saranno necessari due membri e non solo uno, per rendere possibile la sua attivazione;
intensificazione delle iniziative volte alla
riduzione dell'influenza francese nel mondo, particolarmente in Africa (il
Centroafrica e la Costa d'avorio sono solo l'inizio);
bastoni tra le ruote del carro francese in tutte le
altre organizzazioni internazionali, NATO, G-8, WTO, OSCE, eccetera;
limiti alla cooperazione industriale e al
trasferimento di tecnologie americane, soprattutto nei settori strategici
(nucleare, spazio, aeronautica, information technology, elettronica, petrolio,
chimica di punta), fino a intaccare, se necessario, le regole WTO;
fine delle collaborazioni militari e della fornitura
di tecnologie belliche o dual use; interdizione all'accesso all'intelligence
statunitense; rigetto dei tentativi di penetrazione dell'industria militare
francese al lucroso mercato statunitense; good bye agli accordi Thales-Raytheon
nella Guerra Elettronica e SNECMA - General Electric per i motori d'aereo;
negazione alla partecipazione francese alla Network Centric Warfare del
Pentagono, ossia allo stato dell'arte della guerra per i prossimi cinquanta
anni;
riduzione degli investimenti USA in Francia, che oggi
assommano a un quarto del totale dall'estero;
boicottaggio dei prodotti francesi in USA, dai più
tradizionali (moda, lusso, auto, entertainment, vini, culinaria) a quelli più
innovativi e a elevato valore aggiunto (aerei commerciali, payload spaziali
messi in orbita da Arianne, TGV, telematica, biogenetica, eccetera);
ovviamente esclusione totale della Francia dalla
risistemazione dell'Iraq post Saddam, sia come voce in capitolo negli assetti
politici che come contrattistica per ricostruzione e petrolio, nonché dal
riassetto della Palestina che dovrebbe seguire.
Questo naturalmente nel caso che siano fandonie le
voci circa un litigio franco americano da intendersi come gioco delle parti
concordato per depistare il mondo islamico, ipotesi a quanto pare sempre meno
probabile. Qualunque sia stata la sua origine iniziale, l'ostilità è diventata
reale e concreta. D'altra parte, per la Francia gli Stati Uniti hanno fatto le
seguenti cose, solo nell'ultimo secolo:
salvato il Paese dai tedeschi due volte, nel '18 e
nel '44, risollevandolo dalla perdita di coscienza e di dignità che sarebbe
potuta essergli fatale nel '40-47;
sfamato letteralmente la popolazione con il Piano
Marshall;
ricostituito il suo ruolo di Grande Potenza, con
tutti gli orpelli del caso (seggio nel Consiglio di Sicurezza, invito ai
summit, area di occupazione in Germania, impero coloniale), portaerei, e altro,
senza che la capitolazione ai tedeschi del '40 e la vergognosa collaborazione
di una larga parte dei francesi (non solo quelli di Vichy) rendessero tale
ricostituzione doverosa (persino la consegna di 80.000 ebrei alla Gestapo è
stata obliata;
protetto il Paese per un quarto di secolo con il
proprio deterrente nucleare e per due quarti di secolo con la propria 7^ Armata
in Germania;
accettato e permesso lo status nucleare voluto da De
Gaulle, e in seguito agevolato il suo perfezionamento mettendo a disposizione i
suoi laboratori di simulazione (durante la presidenza Clinton, che oltretutto
oppose il suo veto in Consiglio di sicurezza alla condanna della Francia per la
ripresa degli esperimenti nucleari a Mururoa ordinata dalla colomba Chirac);
permesso dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale
un ruolo neo colonialista di Parigi, osteggiandolo il meno possibile e anzi, in
Indocina, dando una mano per il suoi mantenimento (forniture di portaerei e
velivoli d'attacco poco prima di Dien Bien Phu);
fornito tecnologie critiche in ogni settore di
rilevanza strategica;
sopportato personaggi scomodi nonchè di alto profilo
come De Gaulle, favorendone l'ascesa attraverso l'eliminazione della
concorrenza di mediocri competitori che avrebbero dato meno fastidio agli
Alleati e slancio alla Francia
Gli Stati Uniti hanno fatto tutto questo, in
particolare l'ultima mossa, non solo per simpatia e idealismo e per mantenere
un contrappeso alla Germania che prima o poi sarebbe risorta dalle ceneri, ma
perché sapevano che nei momenti cruciali - al di là delle discrasie occasionali
- la Croce di Lorena si sarebbe trovata a fianco delle Stelle e Strisce, come
successe a Cuba nel 1962, e si sarebbe portata appresso una Francia rigenerata
e possente.
Sotto colui che si ritiene l'erede più autentico del
Generale (bontà sua!) la Francia è sempre ragguardevole, nei limiti dei suoi
numeri, ma la Croce di Lorena non è più a fianco del suo grande alleato e
liberatore. Senza che niente sia veramente accaduto per giustificare un
rovesciamento di atteggiamenti così radicale. Saddam è lo stesso e, se Bush
padre non avesse fermato Schwarzkopt sulla via di Baghdad, la Divisione Daguet
inviata in Iraq dal socialista Mitterand avrebbe continuato a macinare sabbia
dietro i tank americani e britannici nella medesima direzione. Più che di una
azione nefanda dal punto di vista morale - da considerarsi tale per tutte le
ragioni sopradette, anche se in politica la morale è spesso un lusso -. si
tratta di un formidabile errore che tutti i francesi, e non solo Chirac,
pagheranno caro.