ACNews 003-2002
Mito
1: L’Irak non è l’unico paese al
mondo che non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite. Israele ed altri
paesi amici degli Usa disattendono molte risoluzioni Onu, ma nessuno si sogna
di proporre azioni militari internazionali contro di essi.
Non
c’è dubbio: non solo l’Irak, ma molti stati, a cominciare da Israele,
disattendono risoluzioni delle Nazioni Unite. Ma le risoluzioni disattese dall’Irak
non riguardano contese territoriali o controversie fra stati, bensì il possesso
di armi di distruzione di massa e altri sistemi d’arma la cui detenzione è
interdetta all’Irak di Saddam Hussein in forza della risoluzione 687/91 del
Consiglio di sicurezza dell’Onu. Si tratta della risoluzione che dettaglia le
condizioni per la cessazione dell’azione di polizia internazionale contro
l’Irak autorizzata dall’Onu e condotta nel gennaio-febbraio 1991: una di queste
era proprio la distruzione delle armi che l’Irak avrebbe potuto utilizzare per
ricattare la comunità internazionale anche dopo l’evacuazione forzata delle sue
truppe dal Kuwait. È evidente che non si possono mettere sullo stesso piano una
risoluzione relativa al pericolo per la sicurezza internazionale rappresentato
da armi di distruzione di massa, e per la cui attuazione sarebbe sufficiente la
volontà politica del governo interessato, con risoluzioni che riguardano crisi
circoscritte e che spesso, come nel caso dei territori arabi occupati da Israele,
richiedono per la piena attuazione il concorso di più volontà: non ha molto
senso chiedere ad Israele di ritirarsi dai territori occupati nel mentre che
stati arabi e organizzazioni palestinesi mantengono il programma di
distruggerlo in quanto stato.
MITO
2: Non è vero che l’Irak detiene
armi di distruzione di massa. Come ha spiegato l’ex ispettore Unscom Scott
Ritter, gli agenti chimici e batteriologici che possedeva all’inizio della
guerra del Golfo si sono deteriorati, e le attività per riavviare i loro
programmi di produzione, come pure il programma di armamento atomico,
verrebbero immediatamente scoperte dai satelliti spia.
Il
rapporto del Joint Intelligence Committee dei servizi segreti britannici del 24
settembre scorso (reperibile sul sito Internet del Foreign Office e su quello
della Bbc) smentisce Scott Ritter su tutta la linea. Dopo il 1998, data
dell’interruzione delle ispezioni Onu, Saddam Hussein ha ripreso a produrre
agenti chimici e biologici attraverso laboratori ed unità produttive mobili e
industrie civili del ramo chimico e biotecnologico. Parte dell’arsenale
esistente al tempo del Golfo e non distrutto durante le ispezioni fra il 1991 e
il 1998 (soprattutto i pericolosissimi gas nervini) è ancora efficiente grazie
all’uso di agenti chimici stabilizzatori. L’Irak, che è autorizzato a detenere
solo missili con gittata di 150 km, dispone di almeno 20 missili proibiti con
una gittata di 650 km in grado di trasportare testate chimiche e
batteriologiche, e ha avviato un programma per la produzione di missili con
1.000 km di gittata. Recentemente l’Irak ha cercato di acquistare un milione di
dosi di atropina e altrettanti autoiniettatori: è un indizio molto eloquente,
perché l’atropina in dosaggi di 2 mg. è l’unico antidoto contro i gas nervini,
e le mini-siringhe servono a inocularla. Il programma di armamento atomico,
smantellato negli anni delle ispezioni, è ripreso subito dopo il 1998, come
dimostrano tentativi di acquisto di uranio in Africa e di componenti per
centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Aggirando le sanzioni, Saddam
Hussein può produrre armi atomiche entro cinque anni. Se riuscisse a procurarsi
uranio già arricchito e alcune altre componenti, gliene basterebbero due.
MITO
3: Saddam Hussein l’abbiamo
armato e coccolato noi. Come al solito, prima l’Occidente sostiene un
dittatore, poi se lo ritrova nemico e ci deve fare la guerra.
Saddam
Hussein è stato sostenuto non solo dall’Occidente, ma da quasi tutto il mondo
arabo, sia i paesi conservatori che quelli radicali, e dopo il 1983 anche
dall’Unione Sovietica, in un preciso frangente storico: l’ascesa della
Repubblica islamica dell’Iran, sorta all’inizio del 1979 con la rivolta
popolare che caccia lo scià Reza Pahlavi e porta al potere l’ayatollah
Khomeini. Costui tenta di esportare la rivoluzione islamica in tutto il mondo
musulmano, a partire dalla vicina Arabia Saudita, contro la cui famiglia
regnante scatena una grande campagna propagandistica. E chiama i popoli alla
lotta anti-imperialista contro gli Stati Uniti, il "grande Satana", e
Israele, il "piccolo Satana". Nel 1980, quando aggredisce l’Iran per
avere il controllo di tutta la regione di confine dello Shatt-el-arab, che nel
1975 aveva dovuto cedere quasi completamente allo scià, Saddam Hussein è certo
di aver scelto il momento storico giusto: l’Iran è militarmente debole perché
non può acquistare dagli Usa i pezzi di ricambio dell’arsenale bellico
accumulato ai tempi dello scià; Usa e mondo arabo sono impauriti dalle
prospettive della rivoluzione khomeinista, e perciò lo aiuteranno. L’analisi si
dimostra giusta, ma sul campo di battaglia l’Iran si rivela più coriaceo del
previsto, e otto anni dopo la guerra si conclude col ritorno dei due
contendenti sulle posizioni di partenza. Di fatto, le ambizioni rivoluzionarie
mondiali dell’Iran escono ridimensionate dall’olocausto della guerra (700 mila
morti iraniani, 250 mila iracheni), ma nasce il problema Saddam: sarà per non
dover ripagare gli ingenti debiti contratti con Kuwait ed Arabia Saudita che il
raìs invade nel 1990 l’emirato.
MITO
4: Saddam Hussein è andato al
poter grazie ad un golpe della Cia: gli Stati Uniti mettono in pericolo la pace
nel mondo per distruggere il mostro che hanno creato loro.
Questa
è la più sfrontata delle bugie propagandistiche anti-americane. Certamente
negli anni Cinquanta e Sessanta la Cia non ha lesinato in golpe e tentati golpe
(fondamentale quello, teleguidato dagli americani, che nel 1953 riporta al
potere lo scià di Persia), tuttavia il suo ruolo in quello che nel 1963 depone
a Bagdad il generale Kassem e fa entrare nella sala dei bottoni il partito
Baath cui era affiliato Saddam Hussein è marginale. Ma soprattutto Saddam
Hussein c’entra ben poco con quel golpe: si trovava in esilio a Il Cairo, da
cui torna solo nel 1964 grazie ad un’amnistia, e subito comincia a complottare
contro il presidente Arif, salito al potere grazie al golpe
"americano". Dopo varie peripezie, Saddam entra a far parte del
governo solo col golpe del 1968, e diventerà leader incontrastato nel 1979, dopo
aver attuato già nel 1972 le iniziative che più gli americani temevano: la
nazionalizzazione del petrolio e l’ingresso nel governo di ministri comunisti.
MITO
5: I veri terroristi sono gli
Stati Uniti e l’Onu, che hanno imposto all’Irak un embargo totale che ha causato
1,5 milioni di morti fra i bambini irakeni.
Nessuno
è in grado di quantificare il numero delle vittime civili dell’embargo, che
sono sicuramente meno del milione e mezzo dichiarato dal regime iracheno, ma
certamente sono nell’ordine delle centinaia di migliaia. L’embargo è stato sin
dall’inizio una scelta disumana e sbagliata, perché ha causato grandi
sofferenze senza riuscire a rendere inoffensivo il regime. Il programma
umanitario oil for food avviato nel 1997 ha alleviato la situazione.
Però non è giusto scaricare tutta la responsabilità delle vittime dell’embargo
sulle Nazioni Unite e i paesi membri del Consiglio di Sicurezza. Non solo
perché il regime di Bagdad avrebbe potuto porre fine rapidamente all’embargo
adempiendo sollecitamente alle condizioni della risoluzione 687/91, cioè il
disarmo. Ma perché da quando vige l’embargo ha continuato a spendere
annualmente 5 miliardi di dollari in spese militari e 2,5 miliardi in
costruzioni di grandi infrastrutture, fra cui immense moschee e 50 edifici presidenziali.
Se si fosse limitato a spenderne la metà, coi soldi risparmiati avrebbe potuto
acquistare tanto cibo e medicine quanto l’Irak ne importava prima della guerra:
prima dell’invasione del Kuwait l’Irak spendeva fra i 2 e i 3 miliardi di
dollari all’anno di importazioni alimentari e 500 milioni in medicinali.
MITO
6: Il programma "oil for
food" è insufficiente a dare una risposta ai bisogni alimentari e sanitari
degli irakeni: li stiamo facendo morire di fame.
Anche
questa tesi non è sostenibile. Le attuali entrate dell’Irak dalle esportazioni
di greggio hanno raggiunto la quota ante-guerra: 17 miliardi di dollari
all’anno. Il 72 per cento di questa cifra può essere spesa nell’acquisto di
cibo, medicine e altri beni con un meccanismo regolato dalle Nazioni Unite. La
disponibilità di calorie pro capite è passata da 1.300 del 1993-95 (fame nera)
a 2.030 del 1997-98, a 2.400 nel 2000, che è una quota accettabile dal punto di
vista della salute. A non sfruttare appieno le possibilità dello schema oil for
food è il governo iracheno, che non ha ancora impegnato 3 miliardi di dollari
già stanziati dal fondo Onu e non ha ancora speso 1 miliardo per prodotti già
approvati. Nella prima metà di quest’anno l’Irak ha speso il 75 per cento in
meno rispetto al 2001 per l’acquisto di medicinali, e ha deciso di spendere 25
milioni di dollari di oil for food per la costruzione di uno stadio olimpico.
MITO
7: Bush è un petroliere. La
guerra che gli Usa minacciano contro l’Irak è nell’interesse dei petrolieri
americani, che hanno bisogno del petrolio irakeno.
Non
è esatto: l’eventuale guerra all’Irak, una volta conclusa, porterebbe ad un
aumento del greggio disponibile sul mercato, e qundi ad un abbassamento dei
prezzi svantaggioso per i petrolieri, ma vantaggioso per i governi e gli
operatori economici. Gli americani guardano al petrolio iracheno piuttosto per
ragioni strategiche: vogliono ridurre la loro dipendenza dall’Arabia Saudita.
MITO
8: Nel mondo ci sono tanti
dittatori che violano i diritti umani, Saddam Hussein non è il peggiore.
Per
molti aspetti le crudeltà del regime di Saddam Hussein sono fuori dal comune. È
l’unico dittatore della storia ad aver ordinato l’uso di gas nervino contro
civili disarmati (non solo ad Halabja, ma in molte altre località curde). La
campagna contro i curdi fra il 1987 e il 1989 causò fra i 100 e i 200 mila
morti, in maggioranza civili. La repressione contro le insurrezioni del 1991,
dopo la fine della guerra del Golfo, causò 20 mila morti fra i curdi e tra i 30
e i 60 mila morti fra gli sciiti del sud. Benché proibita per legge, nelle
carceri e nei commissariati iracheni la tortura è praticata abitualmente. Le
torture includono: strappare gli occhi ai prigionieri, immergerli in vasche di
acido, mutilare le dita di mani e piedi a colpi di arma da fuoco, violentare le
donne di fronte ai mariti e ai figli, immettere oggetti roventi negli orifizi
del corpo umano, provocare fratture ossee, dare fuoco agli arti di una persona,
perforare parti del corpo con fili elettrici. Torture sono praticate anche sui
bambini (occhi strappati, ossa spezzate, neonati privati dell’alimentazione)
per costringere i genitori a confessioni. Reparti delle forze di sicurezza sono
incaricati dello stupro delle donne dei nemici, e i servizi segreti inviano agli
oppositori all’estero videocassette contenenti le immagini dello stupro di
donne appartenenti alla loro famiglia. Negli ultimi vent’anni si calcola che
200 mila persone siano scomparse dentro ai gironi infernali delle prigioni
irachene. Nei penitenziari viene praticata la fucilazione senza processo dei
prigionieri: per esempio nella sola prigione di Abu Ghraib nel 1984 furono
fucilati 4 mila prigionieri politici. Decreti del Consiglio di comando della
rivoluzione stabiliscono pene come il taglio delle orecchie e il marchiamento a
fuoco per reati penali, la decapitazione per tutti i reati legati alla
prostituzione (spesso usati per colpire oppositori politici) e il taglio della
lingua per il reato di diffamazione del capo dello Stato.