Secolo d'Italia Roma, 21 marzo 2003
di Giovanni Cantoni
L'ultimatum
lanciato dal presidente degli Stati Uniti d'America George
W. Bush al presidente della
Repubblica Irachena Saddam Hussein
è scaduto e l'Operation Iraqui
Freedom, l'Operazione Libertà per l'Iraq, ha preso il
via. Prima che la cronaca invada tutto il campo dell'informazione, propongo
alcune riflessioni - da cattolico e, soprattutto, sul mondo cattolico -, che si
situano obbligatoriamente sotto due diverse ipotesi. La prima immagina che il
mondo cattolico viva in una dimensione "antica", in una sorta di
"civiltà della voce", in cui tutto si comunica direttamente, quasi
guardando negli occhi l'interlocutore: quella - per intenderci - delle lettere private
di santa Caterina da Siena al Sommo Pontefice, lette dopo secoli in edizione
critica, e non trasmesse all'epoca ad e da agenzie di stampa; la
seconda registra il fatto che l'habitat in cui tutti viviamo è il
villaggio globale, una sorta di "civiltà dell'eco", in cui tutto
appunto echeggia in tempo reale, in cui la voce e l'eco si sovrappongono e
l'eco giunge spesso prima della voce, comunque senza traduzione né lessicale
né, tantomeno, culturale.
Della prima ipotesi
fanno parte sia l'affermazione contenuta nell'intervista rilasciata il 18
febbraio 2003 dal Segretario di Stato di Sua Santità, card.
Angelo Sodano, al quotidiano Avvenire, sia la dichiarazione rilasciata
il 5 marzo dal card. Pio Laghi, inviato di Papa
Giovanni Paolo II, dopo il colloquio con il presidente statunitense.
Nell'intervista il card. Sodano sostiene che "la Santa Sede non è
pacifista ad ogni costo, perché ammette la legittima difesa da parte degli
Stati. Si deve piuttosto dire che la Santa Sede è sempre pacificatrice,
lavorando intensamente per prevenire il sorgere dei conflitti".
Nella dichiarazione
il card. Laghi afferma che "la posizione
della Santa Sede è in due punti. Primo, il governo irakeno è obbligato ad
adempiere completamente e pienamente i suoi obblighi internazionali riguardanti
i diritti umani e il disarmo fissati dalle risoluzioni dell'Onu
nel rispetto delle norme internazionali. Secondo, questi obblighi e il loro
adempimento devono continuare a essere perseguiti dentro il quadro delle
Nazioni Unite. La Santa Sede tiene fermo che vi sono ancora vie pacifiche nel
contesto del vasto patrimonio di leggi internazionali e istituzioni che
esistono per questo scopo. Una decisione riguardante l'uso della forza militare
può essere presa solo dentro il quadro delle Nazioni Unite, ma sempre tenendo
conto delle gravi conseguenze di un simile conflitto armato: la sofferenza del
popolo dell'Iraq e di quelli che sono coinvolti nell'operazione militare,
un'ulteriore instabilità nella regione e una nuova divisione tra l'Islam e la
cristianità". Dopo aver notato come la straordinaria chiarezza dei due
testi può, forse, averne ostacolato la diffusione, osservo che i termini della
dottrina, del problema e dei timori sono esplicitati con serietà e con
serenità.
Ma, purtroppo, manca
qualcosa. Cosa manca? Manca l'ipotesi che l'istituzione, l'Organizzazione delle
Nazioni Unite, nel cui quadro s'immagina di veder realizzata la soluzione del
problema, si riveli a ciò non solo congiunturalmente
ma strutturalmente inadeguata. La situazione è descritta in forma sintetica e
felice dal sociologo della religione Pietro De Marco, docente all'università di
Firenze e alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale, in uno studio intitolato
"Guerra": oltre il moralismo, la cui prima partizione suona
puntualmente "Fiat pax, pereat mundus" - secondo cui "inidonea
attualmente è l'Onu, perché fungendo con difficoltà
da arbitro in condizioni ordinarie, non può essere l'arbitro delle situazioni
eccezionali di conflitto. L'arbitro di una competizione, infatti, non può
essere costituito dall'assemblea dei giocatori; è altro ed è, secondo diritto,
il più forte: decide della sanzione e la rende efficace. È vero che nella
comunità degli stati anche il più forte è uno stato tra pari. Ma nello "stato
d'eccezione" quell'arbitro sarà necessario, e potrà essere rappresentato
solo dal soggetto nazionale durevolmente affermatosi come capace, di fatto, di
conservare quello stesso ordine per cui l'Onu esiste
e di esercitare, seppure non da solo, forza coattiva sopra ogni altro soggetto
in gioco. Questa sua doppia capacità fa del soggetto democratico più forte
colui che decide dello stato d'eccezione, cioè colui che è temporaneamente il
"sovrano".
"Questo è
sempre vero e operante de facto.
E meglio sarebbe se si desse dello stato d'eccezione, e dell'arbitro (ovvero
della figura rappresentativa) che esso individua, un razionale profilo de
iure. L'Onu conosce dei mandati esecutivi,
finalizzati alla repressione armata di un delitto, attribuiti a una data
coalizione di forze. Ma il problema critico è la decisione, prima ancora
dell'esecuzione. Il caso attuale è esemplare: l'Onu
ha difficoltà a conferire un mandato proprio perché, sia come assemblea che
come consiglio di sicurezza, offre costitutivamente
uno spazio a ragioni, a interessi e a coalizioni che intendono sottrarre
qualcosa al ruolo del paese dominante. Nel caso d'un grave pericolo per
l'ordine internazionale in corso o potenziale dovrebbe invece essere attribuito
allo stato democratico dominante un ruolo di arbitro che sanzioni i giocatori,
dai quali non può e non deve dipendere finché la partita è in corso: ovvero il
ruolo di rappresentante temporaneo dell'intera comunità degli stati con pieno
mandato".
Perciò - prosegue lo
studioso - "non attribuire, nel caso d'eccezione, un mandato pieno agli
Stati Uniti indebolisce proprio gli istituti e gli stati che glielo negano e
che, con questo, mettono in gioco la loro stessa autorità sul piano
internazionale. Infatti, facendo apparire gli Stati Uniti come gli attori di
una guerra privata, queste istituzioni e questi stati, per mostrarsi innocenti
al mondo musulmano e in genere al Terzo e Quarto mondo, si presentano, e si
dichiarano, inermi di fronte all'emergenza. E se anche la "guerra degli
Usa" non fosse attuata, ne uscirà ovunque rafforzata la certezza che non
vi è effettiva capacità di coazione su scala mondiale se non da parte
americana, e che anch'essa può essere neutralizzata senza eccessivi costi per i
potenziali trasgressori, poiché a neutralizzarla provvede l'Occidente
stesso". Ancora: "La temibile crisi di Onu,
Ue e Nato non è dunque quella che oggi è sotto i
nostri occhi; potrà nascere dal mancato riconoscimento
"costituzionale" della eventualità di stati d'eccezione nel mondo, e
della conseguente legittimità degli Stati Uniti, soli titolari di un inedito
imperium liberale (G. John
Ikenberry), a decretare lo stato d'eccezione stesso e
prendere - non soli - le misure conseguenti".
Ecco, quindi,
offerti chiaramente i parametri per identificare gli autentici "operatori
di guerra", cioè quanti ostacolano la pace possibile dopo l'11 settembre
2001 come frutto della legittima difesa.
Venendo brevemente
alla seconda ipotesi, quella costituita dall'echeggiamento
massmediatico dell'operato della Chiesa cattolica,
sottoscrivo in tutte le sue espressioni l'osservazione di De Marco, che
afferma: "Aggiungo che anche la Chiesa cattolica, cui vitalmente e culturalmente appartengo e che amo, potrebbe
uscire indebolita da una delegittimazione della funzione sanzionatoria
degli Stati Uniti. Indebolita almeno nella sua potestà di indirizzo sui fedeli.
Quest'ultima, infatti, come mostra la sua storia sotto le autocrazie
totalitarie del XX secolo, può essere esercitata solo dove la Chiesa stessa sia
esente da costrizione e da ricatto sistematici: evenienze anche oggi ben
presenti in tutte le aree non democratiche del mondo. Ma, intrinsecamente
immune da quell'eresia cristiana che è lo smarrimento del principio di realtà,
la riflessione e azione della Chiesa, teologica e politica, sarà condizione di
uscita dal nostro disorientamento di civiltà, mascherato da emozioni troppo
sicure di sé".
Infine, leggo la
dichiarazione rilasciata il 18 marzo da Joaquín Navarro-Valls, portavoce della Santa Sede: "Chi
decide che sono esauriti tutti i mezzi pacifici messi a disposizione dal
Diritto Internazionale, si assume una grave responsabilità davanti a Dio,
davanti alla propria coscienza e davanti alla storia". La frase me ne
richiama un'altra, contenuta nel n. 2309 del Catechismo della Chiesa Cattolica:
"Si devono considerare con rigore le strette condizioni che
giustificano una legittima difesa con la forza militare. […] Tale
decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di
legittimità morale. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale
spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene
comune". Fra i quali non mi pare si possano iscrivere
istituzionalmente quanti sono invece responsabili della proposta della salvezza
eterna, né - tantomeno - quanti, come si legge nella Nota
dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei
cattolici nella vita politica, pubblicata il 17 gennaio 2003 dalla
Congregazione per la Dottrina della Fede e datata 24 novembre 2002, fanno
propria "una visione irenica e ideologica" che tende, "[…]
a volte, a secolarizzare il valore della pace mentre, in altri casi, […]
cede a un sommario giudizio etico dimenticando la complessità delle ragioni in
questione. La pace è sempre "frutto della giustizia ed effetto della
carità"; esige il rifiuto radicale e assoluto della violenza e del
terrorismo e richiede un impegno costante e vigile da parte di chi ha la
responsabilità politica". Mentre la dichiarazione del portavoce
vaticano viene letta massmediaticamente come un
anatema, l'equipollente brano catechistico è - correttamente - un'ipotesi
morale, quindi esprime un principio che deve regolare un comportamento e non
emette un giudizio di fatto. Perché, ritrovando il "principio di
realtà" - e, per i cattolici italiani, a fronte di "ostacoli
costituzionali" -, piuttosto non pregare per chi si assume la
responsabilità politica "per la nostra libertà e per la vostra"
- come canta un vecchio inno polacco -, per chi "[…] non invano
essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi
opera il male" (Lettera ai Romani, 13, 4), alla cui ombra
uscire dal "disorientamento di civiltà" in cui versa il mondo
occidentale e cristiano sulla soglia del terzo millennio, mentre non manca
purtroppo - ennesimo effetto del peccato originale - chi, alla stessa ombra, si
può permettere di dire sciocchezze, quando non di fare affermazioni
irresponsabili?