Tempi, 31/10-6/11-2002
di Caterina Diemoz
Un arabo cattolico vive a Tunisi. È monsignor Fouad Twal che, nel gennaio 2000, celebrò le esequie di Bettino Craxi. Discende da quella tribù beduina di Al Ozeisat che sin dal primo secolo abbracciò la fede cristiana e che, dopo il Grande Scisma, si ritrovò separata da Roma senza saperlo («Nessuno si era sentito in dovere di avvertirci», scherza lui) e a metà dell’Ottocento a Roma si ricongiunse, affascinata da un prete che, racconta Twal, «visse a lungo con noi sotto le tende». La Tunisia rappresenta un unicum nel mondo arabo musulmano: il principio d’uguaglianza fra uomo e donna è un diritto affermato nelle leggi e la scolarizzazione è obbligatoria fino a 16 anni. Twal guida una comunità di 22mila cattolici su una popolazione di quasi 10 milioni. «Ma io mi sento responsabile di tutto il popolo — precisa — sono in questo Paese per collaborare e servire tutti. Mi viene da sorridere quando sento che nel vostro paese c’è chi sostiene che la scuola cattolica è “confessionale” mentre la scuola pubblica è per tutti. Noi abbiamo dieci scuole frequentate da almeno 6mila allievi musulmani, felici di ricevere l’insegnamento».
Quali sono i rapporti con l’Europa?
«La Tunisia è un po’ il “bambino viziato” d’Europa perché riceve molti aiuti economici anche dall’Italia, soprattutto da quando le entrate per il turismo sono diminuite, causa il timore di attentati terroristici nel Paese: da 450mila turisti l’anno siamo scesi a circa 120mila. Secondo me sa anche agitare bene lo spettro del terrorismo facendo capire all’Occidente che, se non vuole che l’integralismo dilaghi a causa della povertà del Paese, deve continuare a erogare prestiti».
La convivenza in Europa con i nordafricani non è delle più facili, a cominciare dall’integralismo che spesso l’immigrato brandisce come un’arma contro l’Occidente corrotto.
«In Tunisia abbiamo una grande Università con una facoltà di Dialogo fra culture frequentata anche da moltissime donne in jeans e senza il velo. Ci si riposa il sabato e la domenica e se qualcuno, col pretesto della preghiera il venerdì si rifiuta di lavorare, può perdere il posto. Insomma, dovete essere voi a farvi rispettare! Avete perduto il senso di appartenenza alla vostra fede, alla vostra patria, ai vostri costumi e questo provoca disistima in chi, al contrario, ha un forte senso di appartenenza verso le proprie radici».