Il Giornale, 8-9-02

 

La combriccola di Stalin sul Tamigi

di MARTIN AMIS

GIORDANO BRUNO GUERRI

 

Una chiave indispensabile per comprendere il XX secolo è l’atteggiamento - compiacente, indulgente, elogiativo - assunto da grande parte della cultura occidentale nei confronti del comunismo.

Da qui, anche, l’importanza del nuovo libro di Martin Amis, appena uscito in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, prosecuzione dell’autobiografia Experience (appena uscito in Italia per Einaudi con il titolo L’sperienza) e in parte centrato sulla figura del padre, Kingsley, noto scrittore appartenente al gruppo dei cosiddetti “giovani arrabbiati”, elogiatore del regime sovietico e stalinista convinto fino alla destalinizzazione determinata dal XX Congresso del Pcus del 1956 e dai fatti d’Ungheria dello stesso anno.

Martin Amis, considerato tra i maestri della nuova narrativa inglese, ricostruisce la storia dell’Urss attraverso gli atteggiamenti, le impressioni e le illusioni che il padre e il circolo dei suoi amici si erano creati, ma questo particolarissimo lavoro di narrativa racchiude tre diversi tipi letterari: memorialistica, ricostruzione storica e riflessione teorica.

Nella prima parte. “Il collasso del valore della vita umana”, Amis utilizza uno stile letterario e una terminologia assolutamente non drammatici, quasi farseschi, con la stessa leggerezza che gli stalinisti avevano nel praticare lo sterminio. Il nocciolo della logica staliniana è la mancanza di valore attribuita alla vita umana, fino al cannibalismo, fenomeno molto diffuso e apertamente perseguito dal regime sovietico.

Lo stesso titolo - Koba il terribile. La risata e i venti milioni (Kobe the dread. Laugher and the twenty million, New York, Hyperion, 2002, pp. 306, $. 24.95)- dove Koba è il soprannome di Stalin e i venti milioni sono le sue vittime, richiama l’idea che è sempre stato possibile ridere e fare battute sulla realtà del regime sovietico contrariamente a quanto accadeva e accade per la Germania nazista. Il libro infatti riporta molte barzellette che si diffusero sul comunismo, in assoluto contrasto con il dramma degli avvenimenti narrati.

Un altro forte elemento memorialistico è che il comunismo, nel ‘68, aveva ancora molti credenti, anche nella Oxford frequentata dall’autore, fino a giustificare la “politicizzazione del sonno”. Cosa significasse la politicizzazione del sonno è spiegato attraverso alcuni racconti di esperienze accadute a noti intellettuali russi svegliati nella notte e sottoposti a crudeli violenze miranti ad estorcere confessioni di colpevolezza del reato di nemico del popolo e della rivoluzione. Basta citare Meyerhold, Gorky, Zamiatyn.

Il disprezzo per gli intellettuali era totale, perché non rappresentavano affatto il cervello della nazione ma anzi “erano la sua merda”. Lenin e Stalin sono accomunati da questo disprezzo, ma Stalin li considerava anche come strumenti di educazione al credo sovietico: in sostanza dovevano servire a formulare messaggi utili per la diffusione del credo, per un totale asservimento dell’arte alla politica.

Lenin e Stalin sono sottoposti a confronti continui dai quali si evince che la differenza fra loro, e fra le due fasi del regime che li vide al potere, era quantitativa e non qualitativa: differiscono per il numero delle vittime e non per i principi ispiratori. Dietro entrambi agisce la logica per la quale attraverso l’uso della coercizione, della violenza e dell’uccisione sistematica dell’avversario è possibile ottenere il risultato desiderato.

Infatti è durante il regime leninista che si verifica la perdita totale di ogni valore della vita umana. Non a caso la prima parte del volume si chiude con un lucido e suggestivo parallelo fra Urss e Germania nazista svolto attraverso il confronto fra le personalità di Hitler e Stalin, “The little mustache and the big mustache”, il piccolo e il grande baffo.

La seconda parte del libro è dedicata a “Giuseppe il terribile: un breve resoconto della sua vita”. Koba è il soprannome che Stalin scelse quando era ragazzo e che richiamava alla memoria la figura dell’eroe di una novella popolare intitolata Parricidio. Poi verrà quello di Stalin, “uomo d’acciaio”, professione rivoluzionario. Nel ‘22 venne eletto segretario generale del Pcus; durante la malattia di Lenin fece parte del triumvirato composto da Kamenev e Zinov’ev; nel ‘24 espose la teoria del socialismo in un solo Paese e tra il ‘25 e il ‘29 fece fuori tutti gli oppositori politici. Nel ‘29 avvia l’industrializzazione forzata che porta alla creazione ex novo dell’industria di base permettendo all’Unione Sovietica di svincolarsi dalla dipendenza dall’estero per le materie prime. Il prezzo pagato per questa operazione, che condusse l’Urss alla vigilia della Seconda guerra mondiale a un livello di produzione inferiore solo agli Usa, fu altissimo in termini di squilibrio interno e drastica compressione dei consumi.

La mobilitazione della forza lavoro con la parola d’ordine dello stacanovismo prevedeva anche l’incremento dell’apparato di polizia per combattere la resistenza degli operai contrari alla intensificazione dei ritmi produttivi.

Le infrazioni alla disciplina sui luoghi di lavoro erano colpite con il codice penale.

Dal ‘34 vengono avviate le purghe che portarono all’espulsione di centinaia di migliaia di militanti, in base alla teoria che la lotta di classe esisteva anche all’interno del partito. Fino al ‘39 prende così avvio il Terrore staliniano, la grande e spietata repressione di massa attuata dalla polizia politica. La società sovietica fu precipitata in un clima di terrore, delazione, paura, secondo la convinzione che fosse buona norma denunciare gli altri prima che si fosse denunciati. Milioni di persone e intere popolazioni furono deportate. Il numero delle vittime permette di parlare di un vero e proprio olocausto che, sebbene si chiuda ufficialmente nel ‘39, proseguì almeno fino al 1953, giacché non fu facile riprendere il controllo sulla polizia politica.

Il Gulag (Direzione centrale statale dei campi di lavoro dell’Urss), cioè l’universo concentrazionario sovietico, vero Stato nello Stato alle dipendenze della polizia segreta, aumentò i lager a dismisura fino a raggiungere la cifra di 162 riuscendo a garantire lo sfruttamento sistematico della manodopera coatta ai tini di realizzare il piano dell’industrializzazione forzata.

Amis illustra perfettamente il pensiero di Stalin attraverso la semplice equazione “la morte risolve tutti i problemi. Se non ci sono uomini non ci sono problemi” oppure “c’è un uomo, c’è un problema, se non ci sono uomini non ci sono problemi”.

La terza parte del volume affronta gli anni ‘90, preludio alle riflessioni che portano alla stesura del libro. Torna il filo conduttore della risata. La ragione per la quale il piccolo baffo suscita la furia e il grande baffo la risata, è che nel caso sovietico si tratta di una risata provocata dalla dimenticanza degli orrori sovietici; è la stessa ragione per la quale ci si ricorda dei 6 milioni di ebrei e non ci si ricorda dei milioni frutto del Terrore.

La storia dell’Unione Sovietica non rappresenta nè una commedia nè una tragedia ma una “farsa nera”. Il dato più rilevante è la bugia, è stata la bugia il filo conduttore del regime sovietico: “Il nemico del popolo era il regime.

La dittatura del proletariato è stata una bugia; l’Unione è stata una bugia, e Sovietica è stata una bugia, e Socialista è stata una bugia, e Repubblica è stata una bugia, Compagno è stata una bugia. La Rivoluzione è stata una bugia”. Amis spiega così, inequivocabilmente, il senso dell’esperienza del regime sovietico dal 1917 al 1953 sul filo della farsa, del comico e del tragicamente ridicolo.