Avvenire, 29-10-02

Twal: vivere con Gesù nel cuore dell’islam

di GIORGIO PAOLUCCI

 

Arabo uguale musulmano? Fouad Twal È una clamorosa smentita di questo luogo comune. Di origine giordana, vescovo di Tunisi dal 1992, sottolinea orgogliosamente di essere discendente da una tribù beduina presente nella penisola arabica già dal primo secolo dopo Cristo, 500 anni prima che cominciasse la predicazione di Maometto e che i suoi seguaci muovessero alla conquista del Nordafrica, una regione dove ai tempi di Sant’Agostino si contavano 400 vescovi. Niente complessi d’inferiorità nei confronti dell’islam, ma un sano realismo alimentato da una fede sanguigna, da cui vengono utili indicazioni anche per i fratelli occidentali.

In Tunisia i cattolici sono 22mila, appartengono a 44 nazionalità e sono tutti stranieri compreso il vescovo, su una popolazione di 9 milioni. Vi sentite accerchiati?

Assolutamente no. La nostra presenza non si può misurare con i numeri. Gesù è una possibilità per ciascuno dei 9 milioni di tunisini, l’annuncio cristiano non conosce confini. Sa cos’ha detto il Papa quando è venuto a Tunisi nel ‘96? “Voi fate spesso l’esperienza del piccolo gregge e a volte sopportate prove che possono giungere fino all’eroismo. Tuttavia fate anche l’esperienza della gratuità del dono di Dio, che desiderate vivere con tutti”. E ha aggiunto parole che oggi suonano profetiche: “Nessuno può uccidere in nome di Dio, nessuno può accettare di dare la morte a un suo fratello”.

Nel mondo musulmano hanno ripreso vigore le posizioni più radicali, che giustificano l’uso della violenza per difendere l’islam. Come arginarle?

Il fondamentalismo è in ascesa, ed è innegabile che ci sono brani del Corano che possono essere usati per giustificare la violenza. A questo si aggiungono il malessere prodotto dalla situazione economica e sociale di molti Paesi musulmani e dal fallimento delle promesse dei governanti, e l’opera di movimenti radicali che fomentano il fanatismo e presentano l’islam come un blocco di pensiero e azione a cui si deve aderire totalmente. Infine non si può dimenticare il complesso d’inferiorità nei confronti della civiltà occidentale in campo scientifico e tecnologico, con il mondo islamico che vive un sentimento che è insieme di ammirazione e di rivalsa. Tutto ciò forma un cocktail altamente esplosivo che l’Occidente deve contribuire a disinnescare.

Come si può incidere per modificare questi processi? E un intervento dall’esterno non rischia di essere rigettato dagli stessi musulmani?

Si deve intervenire su più fronti: rimuovere le cause economiche del sottosviluppo per togliere alibi a chi soffia sul fuoco della povertà, aiutare gli sforzi dei governi che, come quello tunisino, si impegnano per la repressione dei movimenti fondamentalisti, favorire le componenti del mondo musulmano che rifiutano un’interpretazione fossilizzata e monolitica del Corano. La partita più grossa si gioca all’interno di un mondo islamico che è diviso, ma Europa e Stati Uniti possono tendere la mano a quanti vog1iono fare i conti con la modernità. L’islam è gravemente malato, ma per aiutarlo non si può abbandonano a se stesso, servono invece dosi massicce di antibiotici che curino l’infezione. Col terrorismo è giusto usare le maniere forti ma si deve essere consapevoli che il terrorismo non abita in un solo luogo, assume tante facce e può moltiplicare i suoi sostenitori tra delusi, fanatici e poveracci. Le esibizioni di forza non bastano per evitare che nascano altri Benladen, e i vostri pacifisti incarnano una posizione debole perché si ferma al “no alla guerra” ma non costruisce. Ci vuole altro, serve qualcosa che agisca in profondità.

A cosa allude?

Si deve arrivare al cuore dell’uomo: è difficile, ma se non si lavora in quella direzione tutto risulta precario. Per questo i cristiani sono chiamati a una grande responsabilità storica, di fronte alla quale li vedo invece ancora troppo titubanti, vittime di un complesso d’inferiorità, specie in Europa. I musulmani fanno entrare Dio dappertutto, spesso lo manipolano, mentre l’Occidente ha estromesso Dio dalla società, dalle scuole, dalle decisioni che contano. Guardiamo al Papa che, di fronte alla spirale di odio, ripete che la misura dell’uomo non può bastare, e che non può esserci pace senza giustizia né giustizia senza perdono. Sembra una posizione utopistica, invece è l’unica che può davvero scongiurare il conflitto di civiltà. Ed è il contributo più originale che i cristiani possono dare.