Avvenire
9 ottobre
2001
Perché
80 anni? Si crede in genere che la diatriba islam-Occidente sia nata con la
creazione dello Stato di Israele, che risale a poco più di 50 anni fa.
Evidentemente non si tratta di questo. In realtà Benladen si riferiva a un
altro fatto che è praticamente dimenticato in Occidente, ma ha avuto nel mondo
islamico un impatto traumatico. Si tratta della sconfitta dell’Impero Ottomano,
appunto un’ottantina di anni fa, in seguito alla Prima guerra mondiale. Il
“sultano”, avvero il capo temporale di quell’impero, portava infatti anche il
titolo di “califfo”, una parola araba (khalifa) che vuoi dire “successore”, o
“vicario”, si intende del profeta Maometto.
Il
sultano ottomano (turco) era riconosciuto come l’erede legittimo dei due grandi
califfati arabi di Damasco (Ommiadi, 660-750) e Baghdad (Abbasidi, 750-1258).
Però come sovrano temporale il suo potere si estendeva solo sul territorio
dell’impero, mentre come “califfo” la sua autorità spirituale abbracciava tutto
l’islam sunnita, dal Marocco all’Indonesia, ed egli poteva fregiarsi
dell’attributo di “amir ul-mu’minin” (emiro, o principe dei credenti).
Questo
sistema cessò con la sconfitta dell’Impero Ottomano nel 1918. Fu una sconfitta
non solo militare, ma anche politica, perché sull’onda della guerra vennero al
potere i “Genc Türkler”, i “Giovani Turchi”, guidati da Kemal Pasha. Essi
scoprirono il nazionalismo, massacrarono gli armeni ed espulsero i greci.
Quando nel 1922 essi deposero l’ultimo sultano, Mehmet V permisero che gli
venisse nominato un successore, però solo come califfo e non come sovrano
temporale, nella persona di Abdulmejid. La Repubblica turca venne ufficialmente
proclamata nell’ottobre 1923; solo cinque mesi dopo il nuovo parlamento, la
Grande assemblea nazionale, aboliva il califfato e mandava in esilio il suo
titolare, che morì a Parigi nel 1944.
Questa
decisione fu uno choc per i musulmani Fu come se una rivoluzione in Italia
avesse deciso di abolire il papato. Benché la soppressione del califfato fosse
stata opera degli stessi turchi “laicisti” (nessuno li obbligava a farlo,
nonostante la sconfitta), i musulmani in genere percepirono questa decisione
come una “violenza dell’Occidente” al quale i “Giovani Turchi” dicevano di ispirarsi.
Negli
anni successivi sorsero qua e là nel mondo islamico movimenti che si
prefiggevano di restaurare il califfato, tutti, naturalmente, di carattere più
o meno violentemente antioccidentale. Queste tendenze divennero particolarmente
forti e politicamente significative in India dove si formò il “Tehrik-i
Khilafat” (appunto il Movimento per il Califfato), che si trasformò in uno
strumento di lotta anticoloniale. Esso ebbe fra i suoi sostenitori non solo
maulana AbulA’la Maududi (che può essere considerato il padre spirituale degli
attuali taleban afghani), ma anche, almeno in una certa fase, il poeta Allama
Muhammad Iqbal e io stesso fondatore del Pakistan (il “Paese dei Puri”)
Muhammad Ali Jinnah. Anzi, quando nacque il Pakistan (a prezzo di oltre un
milione di morti negli scontri fra musulmani e indù) c’era chi chiedeva a
Jinnah di nominarsi lui stesso nuovo califfo, o di autorizzare gli ulema a
nominarne uno.
Tuttavia
Jinnah, che si considerava laicista e ammirava più Kemal Pasha che non
l’infelice Abdulmejid, non acconsentì. Si noti che oggi il Mullah Omar, il capo
dei taleban, si fregia abusivamente del titolo di “amir ul-mu’minin” forse
candidandosi a nuovo califfo per grazia di Benladen. Ma non sembra che i
musulmani nonostante tutto, abbiano voglia di ascoltarlo.