Avvenire 9 ottobre 2001

 Vuole restaurare il califfato scomparso con la sconfitta dell’impero Ottomano in seguito alla Prima guerra mondiale

Lo sceicco del terrore cerca «rivincite»  80 anni dopo

 di Giovanni Bensi

 Domenica sera, dopo l’inizio dell’attacco missilistico anglo-americano alle basi in Afghanistan, Ossama Benladen ha lanciato un appello attraverso la televisione al-Jazeera. Fra i vari sproloqui sulla «jihad»contro gli infedeli c’era anche una frase che indubbiamente molti, se vi hanno fatto caso, certamente hanno trovato un po’ strana. Benladen, elogiando i terroristi che l’11 settembre hanno scaraventato aerei dirottati contro le Twin Towers ed il Pentagono, ha detto che in questo modo gli americani «hanno sofferto qualcosa di insignificante se paragonato a ciò che il mondo islamico ha sofferto in 80anni»

Perché 80 anni? Si crede in genere che la diatriba islam-Occidente sia nata con la creazione dello Stato di Israele, che risale a poco più di 50 anni fa. Evidentemente non si tratta di questo. In realtà Benladen si riferiva a un altro fatto che è praticamente dimenticato in Occidente, ma ha avuto nel mondo islamico un impatto traumatico. Si tratta della sconfitta dell’Impero Ottomano, appunto un’ottantina di anni fa, in seguito alla Prima guerra mondiale. Il “sultano”, avvero il capo temporale di quell’impero, portava infatti anche il titolo di “califfo”, una parola araba (khalifa) che vuoi dire “successore”, o “vicario”, si intende del profeta Maometto.

Il sultano ottomano (turco) era riconosciuto come l’erede legittimo dei due grandi califfati arabi di Damasco (Ommiadi, 660-750) e Baghdad (Abbasidi, 750-1258). Però come sovrano temporale il suo potere si estendeva solo sul territorio dell’impero, mentre come “califfo” la sua autorità spirituale abbracciava tutto l’islam sunnita, dal Marocco all’Indonesia, ed egli poteva fregiarsi dell’attributo di “amir ul-mu’minin” (emiro, o principe dei credenti).

Questo sistema cessò con la sconfitta dell’Impero Ottomano nel 1918. Fu una sconfitta non solo militare, ma anche politica, perché sull’onda della guerra vennero al potere i “Genc Türkler”, i “Giovani Turchi”, guidati da Kemal Pasha. Essi scoprirono il nazionalismo, massacrarono gli armeni ed espulsero i greci. Quando nel 1922 essi deposero l’ultimo sultano, Mehmet V permisero che gli venisse nominato un successore, però solo come califfo e non come sovrano temporale, nella persona di Abdulmejid. La Repubblica turca venne ufficialmente proclamata nell’ottobre 1923; solo cinque mesi dopo il nuovo parlamento, la Grande assemblea nazionale, aboliva il califfato e mandava in esilio il suo titolare, che morì a Parigi nel 1944.

Questa decisione fu uno choc per i musulmani Fu come se una rivoluzione in Italia avesse deciso di abolire il papato. Benché la soppressione del califfato fosse stata opera degli stessi turchi “laicisti” (nessuno li obbligava a farlo, nonostante la sconfitta), i musulmani in genere percepirono questa decisione come una “violenza dell’Occidente” al quale i “Giovani Turchi” dicevano di ispirarsi.

Negli anni successivi sorsero qua e là nel mondo islamico movimenti che si prefiggevano di restaurare il califfato, tutti, naturalmente, di carattere più o meno violentemente antioccidentale. Queste tendenze divennero particolarmente forti e politicamente significative in India dove si formò il “Tehrik-i Khilafat” (appunto il Movimento per il Califfato), che si trasformò in uno strumento di lotta anticoloniale. Esso ebbe fra i suoi sostenitori non solo maulana Abul­A’la Maududi (che può essere considerato il padre spirituale degli attuali taleban afghani), ma anche, almeno in una certa fase, il poeta Allama Muhammad Iqbal e io stesso fondatore del Pakistan (il “Paese dei Puri”) Muhammad Ali Jinnah. Anzi, quando nacque il Pakistan (a prezzo di oltre un milione di morti negli scontri fra musulmani e indù) c’era chi chiedeva a Jinnah di nominarsi lui stesso nuovo califfo, o di autorizzare gli ulema a nominarne uno.

Tuttavia Jinnah, che si considerava laicista e ammirava più Kemal Pasha che non l’infelice Abdulmejid, non acconsentì. Si noti che oggi il Mullah Omar, il capo dei taleban, si fregia abusivamente del titolo di “amir ul-mu’minin” forse candidandosi a nuovo califfo per grazia di Benladen. Ma non sembra che i musulmani nonostante tutto, abbiano voglia di ascoltarlo.