Il Giornale 13 ottobre 2001
di Fiamma Nirenstein*
Dopo i fatti di New York non ha parlato, non ha voluto
rilasciare commenti a caldo. Ma il professor Bernard Lewis, il più grande conoscitore del mondo islamico ha
accettato di intrattenere questo dialogo sul problema più «discusso» del
momento: l’identità islamica.
Dopo l’attacco terroristico all’America, pensa che il pericolo dl simili azioni si possa ripetere?
«Credo che molto probabilmente ci saranno altre azioni terroristiche,
forse simili, forse differenti, contro l’America e probabilmente anche contro
altre nazioni. Quello che è accaduto non era stato concepito come un atto
isolato ma come un’iniziale provocazione di guerra, il cui obiettivo definitivo
è di cacciare gli americani fuori da tutte le terre dell’Islam».
Quando sorge
il fondamentalismo lslamico? È stato ed è oggi la
corrente principale dell’Islam? È piuttosto sorprendente che noi quasi non
udiamo oggi la voce dell’Islam moderato. Perché? Ha qualche possibilità dl
vittoria?
«”Fondamentalismo” è in origine un termine americano, più
specificamente un termine protestante usato per designare certe chiese che
differivano dalle chiese protestanti principali Le due questioni sulle quali si
differenziavano erano la teologia liberale - che ai fondamentalisti non piaceva
- e la divinità letterale della Bibbia, sulla quale insistevano. Nessuna di
queste questioni costituisce un problema nell’Islam. La divinità letterale del Qur’an è un.
dogma che nessun credente musulmano mette in dubbio. Il termine fondamentalismo
è perciò fuorviante, ma adesso è molto radicato ed è stato persino tradotto
letteralmente in arabo, persiano, turco e senza dubbio in altre lingue
musulmane. Perciò vi siamo ormai vincolati e dobbiamo continuare a utilizzarlo.
Comunque dobbiamo stare attenti a non fraintendere il suo significato. Il
fondamentalismo islamico, rappresenta una rivolta di fondo contro l’intero
processo di modernizzazione (visto come occidentalizzazione), che ha riguardato
il mondo musulmano negli ultimi secoli. I fondamentalisti vogliono eliminare
quella che considerano una pericolosa influenza occidentale, o più propriamente
cristiana, sul governo, la società e la cultura e restaurare il vero Islam.
reintroducendo la sharia
come legge unica del Paese. Non esiste un solo movimento. Ce ne sono stati e ce
ne sono ancora molti. Uno dei più importanti è il Wahhabi,
che è nato in Arabia nel XVlll secolo e resta un
elemento potente, sotto molti aspetti dominante, nella società araba. Il wahhabbismo è anche penetrato in molti altri Paesi
musulmani. Oggi non lo definirei come la “corrente principale dell’Islam”. Può
diventarlo se continuano le attuali tendenze».
Possiamo
parlare in generale di «una rabbia Islamica», e se sì perché?
Non mi piace la parola “rabbia” ma si può certamente parlare
di un sentimento generalizzato di ira e di rancore nel mondo musulmano. Il
credo religioso dei musulmani dice che essi sono i possessori fortunati e unici
dell’ultima parola di Dio al genere umano, che è loro dovere diffondere nel
resto del mondo. Un simile trionfalismo una volta ispirò la cristianità,
l’unica altra religione con pretese analoghe. Però nella cristianità, nel
tempo, questo ha dato luogo a un atteggiamento più rilassato. Nell’Islam non ci
sono ancora gli stessi segnali. Dalla storia hanno imparato che per molti
secoli la loro era la più grande, la più ricca, la più potente, la più
illuminata civiltà del mondo, guida di tutte le altre in ogni aspetto dello
sforzo creativo e militare. Fino al XVIII secolo c’erano ancora pascià turchi a
Budapest e a Belgrado, eserciti turchi assediavano Vienna, corsari berberi
attaccavano le coste dell’inghilterra, dell’irlanda e in un’occasione perfino dell’Islanda. Poi venne
il grande rovesciamento. Invece di vincere, perdevano ogni guerra in cui erano
impegnati Le loro sconfitte non erano solo confinate al campo di battaglia, ma
si estendevano al mercato, dove venivano sorpassati dal potere industriale e
dall’abilità commerciale dell’Occidente. Alla fine, supremo insulto, le donne
emancipate sfidarono la supremazia del musulmano persino a casa sua. L’ira che
ciò ha provocato è generale e facile da comprendere. Un punto importante è che
era diretta non solo - in verità per molti non principalmente - contro i loro
nemici, ma contro i loro stessi governanti visti come tiranni e perciò non
islamici. Il principale risentimento nei confronti delle potenze occidentali è
la cosiddetta “amicizia” che nutrono nei confronti di questi governanti e il
sostegno che danno loro».
Come sono stati visti gli «Assassini» che danno il titolo al suo libro? È possibile sconflggerli oggi?
«Gli assassini furono alla fine sconfitti da spedizioni
militari che espugnarono le loro roccheforti e le loro basi sia in Iran sia in
Siria, i due Paesi in cui principalmente erano attivi. Potrebbe darsi che gli
Assassini di oggi vengano analogamente sconfitti, ma sarà una strada lunga e
difficile».
Che cosa
guidai terroristi suiddli volontari? Cosa vuole dire
per loro «martirio»?
«“Martire” deriva dal termine greco che signiflca
”testimone”, e nell’uso giudaico-cristiano viene
utilizzato per designare un uomo preparato a soffrire la tortura e la morte
piuttosto che rinunciare al suo credo. Il suo martirio è così una testimonianza
di ciò a cui crede e della sua disponibilità a soffrire e morire per questo. Il
termine arabo shahid
vuole dire anche testimone ed è abitualmente tradotto con “martire”, ma ha un
significato diverso. Nell’uso islamico il termine martirio è normalmente inteso
come morte in una jihad e la ricompensa è la beatitudine eterna, descritta
dettagliatamente, nei primi testi religiosi. Il suicidio d’altra parte è un
peccato mortale che merita la punizione eterna sotto forma di ripetizione
infinita dell’atto con il quale il peccatore si è suicidato. I giuristi
classici distinguono chiaramente tra l’affrontare la morte nelle mani del
nemico e uccidersi con la propria mano. Una cosa conduce al paradiso, l’altra
all’inferno. Alcuni giuristi più giovani e ukma hanno abbandonato questa
distinzione. E così il terrorista suicida affronta l’estremo passo in nome di
una sottigliezza teologica».
* (intervista tratta
da Liberal)