Il Secolo d’Italia 4 ottobre 2001
Ricostruendo la genesi dell’integralismo islamico / 1
di Aldo Di Lello
Ronchey
tocca comunque, purtroppo solo di sfuggita, il punto decisivo. E lo fa quando
utilizza il termine «ideologia». È proprio l’approfondimento di questo termine
che fa saltare completamente lo schema semplificatorio
di cui sopra. Tra Bin Laden
e l’islam moderato non c’è soltanto la sottile membrana di una congerie di
slogan paranoici. C’è qualcosa di assai più solido: un’ideologia, appunto.
Questa ideologia non nasce certo con lo sceicco del terrore né con le altre
sinistre sigle che hanno insanguinato il Medio Oriente nell’ultimo ;decennio. È
un sistema di pensiero radicato nella storia del ‘900 e che è riuscito a
elaborare un. «progetto» a suo modo coerente.
Tale
prospettiva non è fortunatamente maggioritaria né egemone nell’lslam ma questo non significa che sia marginale o
eretica». E questo non solo perché non esistono nel mondo musulmano né
ortodossi né eterodossi (non c’è un’autorità depositaria della verità assoluta),
ma anche perché la vicenda dell’islamismo radicale nasce dalle contraddizioni
sociali e politiche che hanno attraversato per almeno un cinquantennio la vita
di arabi, iraniani, afghani e pakistani
Sbaglierebbe
chi pensasse che l’islamismo radicale sia un prodotto «arcaico», una
sopravvivenza del passato, un prodotto estraneo all’evoluzione storica. E’, al
contrario, un prodotto «moderno». L’islamismo radicale non è una semplice
reazione alla modernità ma rappresenta assai più ambiziosamente, il tentativo
di «islamizzare la modernità», come sostiene Bruno Etienne, in un importante
saggio uscito nel 1987. in Francia e nel 1988 in Italia (Rizzoli
ed.)
Le
«retrovie» di Bin Laden non
sono costituite soltanto dagli oscuri capitali che finanziano la sua rete terroristica
ma anche da una cultura che è- progressivamente entrata nella dinamica politica
dei paesi musulmani
Tale
cultura ha assunto una certa notorietà in Occidente al tempo di Khomeini e degli Ulema di Qom che prepararono la rivoluzione iraniana del ‘78-‘79. Ma
vi sono altri autori, altre esperienze, altri filoni per certi versi assai più
importanti. I due autori fondamentali per lo sviluppo dell’integralismo
musulmano sono l’egiziano Sayyd Qutb
e il pakistano Mawdudi ll
primo venne fatto assassinare da Nasser nel 1966. Il secondo ebbe invece vita
più tranquilla è morì nel 1979. Secondo Giles Kepel, quella compiuta da Qutb
sarebbe una vera e propria «rivoluzione culturale» ,(«jihad, ascesa e declino»,
Carocci ed., 2001). Osserva lo studioso francese: «Quando,
negli anni sessanta, scrive le sue opere più importanti, diventate rapidamente bestsellers in tutto il mondo musulmano («Qutb auspica ardentemente la nascita di una “nuova
generazione coranica” che possa costruire nel mondo contemporaneo una nuova comunità
di riferimento, islamica, sulle rovine del nazionalismo, come il. Profeta e la
sua generazione avevano edificato la Comunità dei
credenti sulle macerie del paganesimo arabo che avevano distrutto».
Il
nemico implacabile di Qutb non è tanto l’Occidente
quanto il nazionalismo arabo, cioè l’ideologia concorrente con quella islamista. Ed è concorrente proprio perché, al pari -
dell’islamismo, essa è «nuova», «moderna», o per meglio dire, risulta prodotta
dalla contaminazione con la modernità politica occidentale. L’evento cruciale
di questo processo è l’abolizione del califfato ottomano. operata da Ataturk nel 1924. E un vero e proprio terremoto, che i
sismografi dell’Occidente a quel tempo non registrano, ma che produrrà tutti i
suoi effetti devastanti negli ultimi due decenni del Novecento. È da quel
momento che la storia del mondo musulmano cambia direzione. L’Europa,
l’Occidente tornano a essere, dopo il declino della potenza ottomana tra il
XVII e il XVIII secolo, termini di confronto e poi di contrapposizione.
L’islam
ha perso il suo baricentro e ha smarrito, nello stesso tempo, la sua unità
culturale. Da un lato ci sono i nazionalisti (arabi, turchi, iraniani,
pakistani, malesi) che perseguono un progetto laico e rappresentano il più
riuscita punto di sintesi ideologica tra Occidente e mondo islamico. Non per
niente, come osserva sempre Kepel, gli «intellettuali
nazionalisti provenivano generalmente da scuole di ispirazione europea
trapiantate nel mondo musulmano». Dall’altro troviamo gli islamisti,
che non si rassegnano alla scomparsa del califfato e, in polemica con i
nazionalisti, cominciano a elaborare un progetto totalmente alternativo a
quello dell’ibridazione culturale. li primo movimento nasce nel 1928 in Egitto,
i Fratelli Musulmani, e costituisce il terreno originario da cui prende le
mosse il lavoro di Qutb. La filosofia del nuovo
movimento si riassume in due proposizioni: «La nostra Costituzione è il
Corano»; «L’Islam è un sistema completo e totale».
Tutti
i movimenti islamisti successivi, dice Kepel si sviluppano sulla dottrina dei Fratelli Musulmani:
«La soluzione ai problemi politici dei musulmani consiste, nell’instaurazione
di uno stato islamico che applichi la shari’a (la legge
tratta dai Testi sacri dell’islam), come doveva fare per tradizione il
califfo». È lo schema che abbiamo visto all’opera, molti decenni dopo, nell’iran di Khomeini e nel Sudan di
Omar eI Bashir. Per i seguaci di Bin
Laden diviene il miraggio di un Stato unico per tutti
i musulmani.
Il
ruolo di Qutb nella ridefinizione
della dottrina dei Fratelli Musulmani risulta fondamentale. L’intellettuale
egiziano ne trasforma la dottrina in un sistema più radicale e, soprattutto, di
più facile divulgazione. Qutb ha capito che,
nell’odierna società di massa (e quella egiziana degli anni Sessanta non v’è
dubbio che lo sia già diventata), la comunicazione è il fattore strategico per
conquistare il consenso politico. Il suo stile è scarno, essenziale, di presa
immediata. È quanto di più lontano dal linguaggio involuto, barocco e retorico
dei vecchi ulema tradizionalisti.
È
fatale che l’islamismo di Qutb entri in conflitto con
il nazionalismo di Nasser. Le prospettive sono inconciliabili E la repressione
è feroce. L’intellettuale finisce in campo di concentramento con i suoi seguaci.
E da lì, prima dell’impiccagione, elabora la teoria islamica della rottura con
l’ordine stabilito», l’ordine delle élites arabe che,
negli anni Sessanta, diventano pedine del più vasto confronto che si svolge,
nel Nord del mondo, tra gli Usa e l’Urss.
Dopo la morte di Qutb,
l’islamismo radicale sembra distrutto, almeno nei Paesi arabi. Ma
trasformazioni cruciali sono già in atto. Nella prima metà degli, anni
Settanta, scrive Kepel, giunge sul mercato del lavoro
la «prima generazione nata dall’esplosione demografica e dall’esodo rurale».
Questa generazione «fa l’amara esperienza della sottoccupazione generalizzata,
ancor più dolorosa perché in contrasto con le immense speranze di ascesa
sociale riposte nella secolarizzazione dalla retorica dei regimi in carica dopo
l’indipendenza». L’islamismo radicale trova i suoi soggetti sociali di
riferimento. E Sayyd Qutb
incontra, anche se non può più vederla, quella «nuova generazione coranica» che
aveva vagheggiato nei suoi libri.