Il Secolo d’Italia 4 ottobre 2001

Ricostruendo la genesi dell’integralismo islamico / 1

La nuova generazione del Corano

di Aldo Di Lello

 Con chi è in guerra l’Occidente? Soltanto con Bin Laden e i Talebani? No, il nemico più insidioso è la superficialità. È pensare che tutto si riduca a isolare le frange estremiste e criminali dell’integralismo dal resto del mondo musulmano. Il nemico è una rappresentazione semplicistica delle forze che agiscono nelle terre dell’islam: da un alto Bin Laden, con l’organizzazione di pazzi fanatici che fa a lui capo, e dall’altra i musulmani moderati, rappresentati dai governi amici dell’Occidente e dalle autorità religiose impegnate a confutare le interpretazioni politicamente radicali deI Corano. In mezzo ci sarebbero le masse, con le loro esplosive frustrazioni per il benessere che non arriva e per la memoria della passata grandezza. È uno schema piuttosto diffuso, in parte rassicurante («l’Islam non si identifica con gli estremisti»), in parte terrorizzante («il popolo di Allah potrebbe essere trascinato in un deriva radicale»). Alberto Ronchey, nell’editoriale pubblicato ieri dal «Corriere della Sera», sposa in pieno questa semplificazione. Da un lato osserva: «Malgrado quei solenni e imperiosi proclami, tutti sanno che Osama non è i la voce dell’islam». Dall’altro paventa lo «scontro delle civiltà». li modello è presa in prestito dalla solita vulgata delle tesi di Samuel Huntington su cui mi sono già soffermato nei giorni scorsi. Ronchey dice che le «apprensioni» suscitate dalla formula The Clash of Civilizations presuppongono che «fra il miliardo e più di musulmani alcuni gruppi bellicosi e influenti possano prevalere imponendo l’ultima delle guerre di religione». Va da sé che «sarebbe questa l’ideologia ossessiva di Osama Bin Laden, alla quale non si dovrebbe fornire il minimo appiglio morale né verbale».

Ronchey tocca comunque, purtroppo solo di sfuggita, il punto decisivo. E lo fa quando utilizza il termine «ideologia». È proprio l’approfondimento di questo termine che fa saltare completamente lo schema semplificatorio di cui sopra. Tra Bin Laden e l’islam moderato non c’è soltanto la sottile membrana di una congerie di slogan paranoici. C’è qualcosa di assai più solido: un’ideologia, appunto. Questa ideologia non nasce certo con lo sceicco del terrore né con le altre sinistre sigle che hanno insanguinato il Medio Oriente nell’ultimo ;decennio. È un sistema di pensiero radicato nella storia del ‘900 e che è riuscito a elaborare un. «progetto» a suo modo coerente.

Tale prospettiva non è fortunatamente maggioritaria né egemone nell’lslam ma questo non significa che sia marginale o eretica». E questo non solo perché non esistono nel mondo musulmano né ortodossi né eterodossi (non c’è un’autorità depositaria della verità assoluta), ma anche perché la vicenda dell’islamismo radicale nasce dalle contraddizioni sociali e politiche che hanno attraversato per almeno un cinquantennio la vita di arabi, iraniani, afghani e pakistani

Sbaglierebbe chi pensasse che l’islamismo radicale sia un prodotto «arcaico», una sopravvivenza del passato, un prodotto estraneo all’evoluzione storica. E’, al contrario, un prodotto «moderno». L’islamismo radicale non è una semplice reazione alla modernità ma rappresenta assai più ambiziosamente, il tentativo di «islamizzare la modernità», come sostiene Bruno Etienne, in un importante saggio uscito nel 1987. in Francia e nel 1988 in Italia (Rizzoli ed.)

Le «retrovie» di Bin Laden non sono costituite soltanto dagli oscuri capitali che finanziano la sua rete terroristica ma anche da una cultura che è- progressivamente entrata nella dinamica politica dei paesi musulmani

Tale cultura ha assunto una certa notorietà in Occidente al tempo di Khomeini e degli Ulema di Qom che prepararono la rivoluzione iraniana del ‘78-‘79. Ma vi sono altri autori, altre esperienze, altri filoni per certi versi assai più importanti. I due autori fondamentali per lo sviluppo dell’integralismo musulmano sono l’egiziano Sayyd Qutb e il pakistano Mawdudi ll primo venne fatto assassinare da Nasser nel 1966. Il secondo ebbe invece vita più tranquilla è morì nel 1979. Secondo Giles Kepel, quella compiuta da Qutb sarebbe una vera e propria «rivoluzione culturale» ,(«jihad, ascesa e declino», Carocci ed., 2001). Osserva lo studioso francese: «Quando, negli anni sessanta, scrive le sue opere più importanti, diventate rapidamente bestsellers in tutto il mondo musulmano («Qutb auspica ardentemente la nascita di una “nuova generazione coranica” che possa costruire nel mondo contemporaneo una nuova comunità di riferimento, islamica, sulle rovine del nazionalismo, come il. Profeta e la sua generazione avevano edificato la Comunità dei credenti sulle macerie del paganesimo arabo che avevano distrutto».

Il nemico implacabile di Qutb non è tanto l’Occidente quanto il nazionalismo arabo, cioè l’ideologia concorrente con quella islamista. Ed è concorrente proprio perché, al pari - dell’islamismo, essa è «nuova», «moderna», o per meglio dire, risulta prodotta dalla contaminazione con la modernità politica occidentale. L’evento cruciale di questo processo è l’abolizione del califfato ottomano. operata da Ataturk nel 1924. E un vero e proprio terremoto, che i sismografi dell’Occidente a quel tempo non registrano, ma che produrrà tutti i suoi effetti devastanti negli ultimi due decenni del Novecento. È da quel momento che la storia del mondo musulmano cambia direzione. L’Europa, l’Occidente tornano a essere, dopo il declino della potenza ottomana tra il XVII e il XVIII secolo, termini di confronto e poi di contrapposizione.

L’islam ha perso il suo baricentro e ha smarrito, nello stesso tempo, la sua unità culturale. Da un lato ci sono i nazionalisti (arabi, turchi, iraniani, pakistani, malesi) che perseguono un progetto laico e rappresentano il più riuscita punto di sintesi ideologica tra Occidente e mondo islamico. Non per niente, come osserva sempre Kepel, gli «intellettuali nazionalisti provenivano generalmente da scuole di ispirazione europea trapiantate nel mondo musulmano». Dall’altro troviamo gli islamisti, che non si rassegnano alla scomparsa del califfato e, in polemica con i nazionalisti, cominciano a elaborare un progetto totalmente alternativo a quello dell’ibridazione culturale. li primo movimento nasce nel 1928 in Egitto, i Fratelli Musulmani, e costituisce il terreno originario da cui prende le mosse il lavoro di Qutb. La filosofia del nuovo movimento si riassume in due proposizioni: «La nostra Costituzione è il Corano»; «L’Islam è un sistema completo e totale».

Tutti i movimenti islamisti successivi, dice Kepel si sviluppano sulla dottrina dei Fratelli Musulmani: «La soluzione ai problemi politici dei musulmani consiste, nell’instaurazione di uno stato islamico che applichi la shari’a (la legge tratta dai Testi sacri dell’islam), come doveva fare per tradizione il califfo». È lo schema che abbiamo visto all’opera, molti decenni dopo, nell’iran di Khomeini e nel Sudan di Omar eI Bashir. Per i seguaci di Bin Laden diviene il miraggio di un Stato unico per tutti i musulmani.

Il ruolo di Qutb nella ridefinizione della dottrina dei Fratelli Musulmani risulta fondamentale. L’intellettuale egiziano ne trasforma la dottrina in un sistema più radicale e, soprattutto, di più facile divulgazione. Qutb ha capito che, nell’odierna società di massa (e quella egiziana degli anni Sessanta non v’è dubbio che lo sia già diventata), la comunicazione è il fattore strategico per conquistare il consenso politico. Il suo stile è scarno, essenziale, di presa immediata. È quanto di più lontano dal linguaggio involuto, barocco e retorico dei vecchi ulema tradizionalisti.

È fatale che l’islamismo di Qutb entri in conflitto con il nazionalismo di Nasser. Le prospettive sono inconciliabili E la repressione è feroce. L’intellettuale finisce in campo di concentramento con i suoi seguaci. E da lì, prima dell’impiccagione, elabora la teoria islamica della rottura con l’ordine stabilito», l’ordine delle élites arabe che, negli anni Sessanta, diventano pedine del più vasto confronto che si svolge, nel Nord del mondo, tra gli Usa e l’Urss.

 Dopo la morte di Qutb, l’islamismo radicale sembra distrutto, almeno nei Paesi arabi. Ma trasformazioni cruciali sono già in atto. Nella prima metà degli, anni Settanta, scrive Kepel, giunge sul mercato del lavoro la «prima generazione nata dall’esplosione demografica e dall’esodo rurale». Questa generazione «fa l’amara esperienza della sottoccupazione generalizzata, ancor più dolorosa perché in contrasto con le immense speranze di ascesa sociale riposte nella secolarizzazione dalla retorica dei regimi in carica dopo l’indipendenza». L’islamismo radicale trova i suoi soggetti sociali di riferimento. E Sayyd Qutb incontra, anche se non può più vederla, quella «nuova generazione coranica» che aveva vagheggiato nei suoi libri.