Avvenire 21 settembre 2001
di Stefano Andrini
BOLOGNA. «Un “ecumenismo politico”, astratto e imprevidente,
che non tenesse conto nei criteri di scelta degli immigrati della più facile
integrabilità nel nostro tessuto nazionale o quantomeno di una prevedibile
coesistenza non conflittuale potrebbe preparare anche per il nostro popolo un
futuro di lacrime e sangue». Con questo implicito riferimento ai drammatici
fatti dei giorni scorsi, il cardinale Giacomo Biffi ha rilanciato con forza, a
un anno di distanza, le tesi già espresse nella nota pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio
e nell’intervento al seminario della Fondazione Migrantes.
Aprendo il convegno promosso dall’Istituto Veritatis Splendor sulla multiculturalità l’arcivescovo di Bologna ha ricordato che di fronte al fenomeno dell’immigrazione «lo Stato non può sottrarsi al dovere di regolamentarlo positivamente con progetti realistici (circa il lavoro, l’abitazione, l’inserimento sociale) che mirino al vero bene sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni». Poiché «non è pensabile», ha affermato Buffi «che si possano accogliere tutti, è ovvio che si imponga una selezione». A questo proposito «la responsabilità di scegliere non può essere che dello Stato italiano, non di altri; e tanto meno si può consentire che la selezione sia di fatto lasciata al caso o, peggio, alla prepotenza».
Di fronte a queste che il cardinale ha definito «proposte
laicamente ragionevoli» ci sono stati in passato, ha ricordato lo stesso
arcivescovo, moltissimi apprezzamenti ma anche accuse di «integralismo,
prevaricazione clericale, intolleranza; atteggiamento antievangelico». A questo
proposito Biffi ha sfoggiato l’arma dell’ironia. «Di fronte a certe accuse
l’ipotesi più misericordiosa che mi si presenta è che da parte dei miei
critici, per il brigoso impegno di parlare, non si sia trovato il tempo di leggere
ciò che io avevo scritto». In realtà, ha chiosato, quella dell’immigrazione è
una questione complessa: «non si tratta soltanto di leggere ciò che si vuole
contestare, bisogna anche, per dirla con il Manzoni “osservare, ascoltare,
paragonare, pensare, prima di parlare”».
Biffi ha poi ripreso alcuni punti che ritiene fondamentali
per i cristiani. Prima di tutto «non è per sé compito della Chiesa e delle
singole comunità risolvere i problemi sociali. Noi non dobbiamo perciò nutrire
nessun complesso di colpa a causa delle emergenze che non ci riesce di
affrontare efficacemente». In secondo luogo «dovere statutario del popolo di
Dio è quello di far conoscere Gesù e il suo messaggio di salvezza. Il Signore,
infatti, non ci ha detto “predicate il Vangelo a ogni creatura, tranne i
musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama”. Per questo neanche l’accusa di
proselitismo ci può spingere verso l’infedeltà al Vangelo». In ogni caso «di
fronte a un uomo in difficoltà, quale che sia la sua razza, la sua cultura, la
sua religione, la legalità della sua presenza, i discepoli di Gesù hanno il
dovere di aiutarlo a misura delle loro possibilità concrete».
Nella prima parte del suo intervento il cardinale ha
indicato alcune coordinate sulla questione del dialogo. «è innegabile», ha affermato,
«che nella concretezza esistenziale del rapporto tra credenti e non credenti
emerga qualche problema. Basti pensare alla pubblicazione della Dominus Jesus: non era mai capitato, in
20 secoli di cristianesimo, che si sentisse il bisogno di ricordare ai
discepoli di Gesù che il figlio di Dio è l’unico necessario salvatore di tutti.
Evidentemente si è temuto che di questi tempi Gesù Cristo potesse diventare
l’illustre vittima del dialogo interreligioso». Paolo VI, ha aggiunto Biffi,
«che con l’enciclica Ecclesiam Suam
ha ufficialmente introdotto il tema del dialogo nei documenti del magistero, ha
chiarito le opportunità, i metodi, i fini, ma si è volutamente astenuto dal
dare alla proposta di “dialogo” una vera e propria fondazione teologica. ll che
è forse alla fonte delle intemperanze e della ambiguità che hanno poi aduggiato
la cristianità». Per superare tale inconveniente, ha concluso il cardinale
Biffi «occorre ricordare che i fatti costitutivi dell’evento salvifico,
l’incarnazione del Verbo e la risurrezione di Gesù, non sono trattabili: chi
crede non li può, restando logico, mettere tra parentesi; chi “non crede” non
li può razionalmente accettare. Sono dunque culturalmente laceranti».