Il sole 24 ore 10-11-02
di Renato Brunetta
FIRENZE. Si è svolto senza incidenti il maxi-corteo per la pace del Social forum: a Firenze sono sfilate 450mila persone. Berlusconi: «Garantita la libertà dl manifestare». Soddisfatto il ministro Pisanu: «È stata una marcia pacifica».
Mentre l’attenzione dei media si concentra sul Social ‘Forum di Firenze, oggi si ‘apre a Seul un evento alternativo, incentrato su un’altra globalizzazione, quella della ‘democrazia. Nella capitale sudcoreana si riunisce la Community of democracies, un forum formato da 107 Paesi il cui obiettivo è la promozione e il consolidamento della democrazia nel mondo come “investimento per la pace e la prosperità”.
La concomitanza di questi due eventi – l’ipermediatizzato Social Forum di Firenze e il dimenticato appuntamento di Seul – è altamente simbolica, almeno quanto lo fu la contemporaneità del Vertice della terra a Porto Alegre e il Forum di Davos a New York dello scorso febbraio. A quell’epoca il grande scontro planetario era fra i No Global che si pretendevano difensori dei poveri e della sacralità della natura, e i capitalisti, ricchi e potenti, padroni del mondo e soprattutto liberisti.
Ma nel corso di questi ultimi nove mesi il mito No Global e quello dell’imperialismo liberale da parte dell’Occidente— come responsabile di tutti i mali della terra — sono stati rimessi in discussione dalla realtà dei fatti, da alcuni vertici internazionali e dalla percezione montante nell’opinione pubblica della necessità del Sì Global.
Cominciamo col dire che il mito dell’imperialismo liberale non esiste. Si tratta di una costruzione intellettuale immaginaria che esiste solo nella mente dei suoi presunti nemici. Quelli che si riuniscono a Firenze in questi giorni se la prendono con il mercato globale, con le multinazionali, con l’Fmi e la Banca Mondiale. Innanzitutto è paradossale considerare queste ultime due istituzioni come simbolo del capitalismo globale. Queste infatti sono organizzazioni inter-statali, che ridistribuiscono risorse non a privati, ma essenzialmente a Stati e a organizzazioni pubbliche, proprio nei modi che i No Global reclamano. Tuttavia, così facendo, Fmi e Banca Mondiale non solo hanno sprecato, in molti casi, enormi risorse, ma hanno contribuito alla sopravvivenza e al rafforzamento di numerosi regimi dittatoriali, corrotti o antidemocratici.
In realtà, come ha ben detto Pascal Salin, gli abitanti dei Paesi poveri e, il più delle volte, non democratici non sono vittime del capitalismo globale, ma al contrario della mancanza di capitalismo locale e globale. Sono troppo spesso gli Stati poveri che preservano la povertà impedendo l’iniziativa privata tanto indispensabile allo sviluppo. In questi stessi Stati alcune grandi multinazionali spesso convivono in simbiosi con i regimi al potere, godendo di privilegi e protezioni in cambio di sostegno agli autarchi al potere. Difficile attribuire a queste “multinazionali cattive”la definizione di capitalismo, di cui non rispettano né l’etica né lo spirito d’impresa.
Questi Paesi definiti poveri il più delle volte sono ricchi di risorse naturali. I casi sono innumerevoli e basti a titolo di esempio quello dello Zimbawe, granaio dell’Africa, oggi sull’orlo di una carestia, mentre i cortigiani corrotti di Robert Mugabe si godono la vita.Virtualmente tutto ciò che serve ad aiutare la crescita dei Paesi e a ridurre la loro povertà, ricade nella responsabilità interna degli Stati — basta chiedere a Corea del Sud, Cina o India.
Ma alla mancanza di capitalismo locale si aggiunge, come causa di povertà, la mancanza di mercato globale. Questo è emerso con particolare chiarezza al Vertice di Johannesburg delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, dove i Paesi poveri hanno implorato la fine delle politiche protezioniste, in particolare per agriroltura e tessile, di Unione europea e Stati Uniti.
E l’Unione europea, che spesso predica il libero commercio per i Paesi poveri, con l’ultimo Vertice di Bruxelles si è confermata nella sua estrema ipocrisia di mantenere in piedi la Politica agricola comune, che non solo occupa quasi la metà del bilancio comunitario, ma mette anche a rischio i futuri negoziati agricoli all’interno della Wto, con un costo altissimo per i Paesi in via di sviluppo che subiscono le pratiche di dumping e le barriere doganali sui prodotti agricoli da parte dei Paesi ricchi. A tutto vantaggio del roquefort prodotto proprio da Bovè, che in fin dei conti si pone sullo stesso piano di conservazione della politica protezionistica del nemico George W. Bush su agricoltura o acciaio.
La globalizzazione ha ridotto povertà e soprattutto il divario fra Nord e Sud del mondo. Tuttavia, molti Paesi in Africa e in Medio Oriente hanno scelto di non intraprendere questo processo, e in quei luoghi la povertà è aumentata. La ragione è stata ben spiegata dal Rapporto Annuale dell’Undp sullo sviluppo umano nel mondo arabo. ‘Con il contributo di decine di studiosi arabi, il rapporto ha dichiarato senza mezzi termini che «l’ondata di democrazia che ha trasformato il modo di governare della maggior parte del mondo non ha toccato gli Stati arabi. Il deficit di libertà mina lo sviluppo umano».
Per dirla con Amartya Sen «si può mettere in dubbio la strategia generale che consiste nel definire lo sviluppo sostenibile unicamente in termini di risposta ai bisogni invece di utilizzare la prospettiva più larga dell’accrescimento delle libertà su una base durevole. Le libertà fondamentali devono certo includere la capacità di rispondere ai bisogni economici, ma è necessario anche considerare altri aspetti, come l’allargamento della partecipazione alla vita politica e lo sviluppo delle possibilità nella vita sociale».
Il punto di caduta di questa nuova riflessione sulla necessità montante della globalizzazione economica e democratica è nella riunione della Community ‘of Democracies, alternativa a quella del movimento conservatore No Global di Firenze.
A Seul si deciderà un piano di azione «per consolidare e promuovere la democrazia non solo come componente essenziale dei diritti umani che permette una piena protezione delle libertà fondamentali e dei diritti umani, ma anche come indispensabile condizione per lo sviluppo».
Uno dei progetti che verrà discusso, e di cui è promotrice Emma Bonino, è quello di un’Organizzazione mondiale della democrazia che ricalchi il modello dell’Organizzazione mondiale del commercio e che ne sia complemento. Si tratta di un quadro di regole certe di diritto internazionale che da un lato tuteli i principi democratici e i diritti fondamentali sul modello del Tribunale penale internazionale e dall’altro promuova la democrazia come strumento essenziale allo sviluppo e alla stabilità politica ed economica.
La globalizzazione dell’economia e della democrazia e la globalizzazione del capitalismo e della libertà sono la risposta più nuova e originale al Social Forum di Firenze, i cui organizzatori, nonostante la caduta del comunismo e l’affermazione della democrazia liberale, non vogliono aprire gli occhi e accorgersi, come dice Pascal Salin, «che nessuna società può funzionare senza rispettare la libertà individuale e la proprietà privata e senza fondarsi sulla responsabilità individuale».
Il corteo pro global, che alcuni reclamano, ha già intrapreso il suo percorso dirigendosi verso Seul.