Avvenire, 26-11-2002

Livi riscatta la verità, ultima parola proibita

di Maurizio Schoepflin

Si deve essere grati ad Antonio Livi, docente di Filosofia della conoscenza nell’Università Lateranense, per aver scritto un libro che, fin dal titolo “Verità del pensiero. Fondamenti di logica aletica” si presenta come un’opera coraggiosa; sì, perché ci vuole coraggio per riproporre con decisione il tema della verità, in un momento storico-culturale in cui, eccettuata qualche vox clamantis in deserto, tutti sembrano rassegnati a vivere etsi veritas non daretur. E che Livi lo abbia fatto all’interno di un discorso rigorosamente filosofico è, per quanto ciò possa apparire paradossale, ancora più coraggioso, perché gli strali più acuminati contro la verità sono venuti, soprattutto in epoca moderna e contemporanea, ‘proprio dalla filosofia, che dovrebbe avere come missione precipua quella di conoscere e amare la verità. Il tarlo dello scetticismo cominciò molto presto a corrodere le fondamenta stesse dell’edificio filosofico — e non casualmente Livi dedica pagine molto interessanti a  discutere l’obiezione scettica —  ma forse mai come oggi il pirronismo e il pilatismo (quid est veritas?) paiono farla da padroni. In questa situazione, Livi, che da oltre trent’anni, sulla scia di san Tommaso e di Etienne Gilson, ma senza trascurare gli apporti di alcune dottrine moderne quali quelle di Wittgenstein e Putnam, non si rassegna alla sconfitta del pensiero e alla cancellazione della verità, raccoglie i frutti dei suoi numerosi e approfonditi studi e lancia la sfida, elaborando una teoria epistemica basata sulla nozione di «senso comune» e finalizzata a trovare le condizioni nelle quali è possibile che il pensiero sia vero. Da questo programma speculativo è scaturito un trattato colposo e coerente, tutto imperniato sulla «questione-verità» e dedicata alla definizione della verità logica e all’esame del rapporto esistente tra verità ed esperienza, verità e dialettica, verità e testimonianza, verità e pensiero.

Per quanto concerne l’ampio spazio riservato alla trattazione del tema della fede nella rivelazione, Livi spiega le sue intenzioni nei termini seguenti: «Tanto spazio è infatti giustificato dalla mia ferma convinzione che solo alla luce di un discorso coerente di logica aletica è possibile oggi riscattare il discorso sulla fede cristiana dagli equivoci insiti sia nel razionalismo neo-illuministico che la fede rifiuta in nome della critica, sia nel fideismo che ritiene di salvare la fede dalla critica razionalistica eludendo il problema del valore veritativo della fede e riducendola alla dimensione pragmatica o volontaristica». E anche questa appare una posizione piuttosto coraggiosa.