Corriere Letterario - n. 22 - 2002
di Vincenzo Pitotti
Su uno dei più tragici periodi della storia d’Italia, il Risorgimento, la storiografia ufficiale (quella scritta dai vincitori, per intenderci) non ha mai accettato critiche o controprove e da circa 140 anni a questa parte ha diffuso su di esso un giudizio fazioso, che ancora oggi troviamo riportato su molti testi di storia adottati nelle scuole. Ma da un, po’ di tempo a questa parte qualcosa sta cambiando.
Alcuni storici, spregiativamente chiamati revisionisti, adottando un metodo di indagine serio, pacato ed equilibrato, stanno mostrando l’altra faccia della medaglia di tanti avvenimenti storici, smascherando menzogne e sfatando molti miti, anche quelli creati nel periodo risorgimentale. Un esempio fra i tanti è costituito dalla figura di Giuseppe Garibaldi, uno dei cosiddetti padri della Patria e presunto eroe dei due mondi.
Un valido e prezioso contributo all’abbattimento di questo mito, è offerto dal libro di Francesco Pappalardo dal titolo: “Il mito di Garibaldi. Vita morte e miracoli dell’uomo che conquistò l’Italia”. (Edizioni Piemme Casale Monferrato (Al) pp.252 euro 14,90).
L’autore è napoletano laureato in Scienze Politiche, studioso di storia, ha pubblicato diversi libri e saggi dedicati al tema delle insorgenze antigiacobine e al fenomeno del cosiddetto Brigantaggio. Attualmente è direttore dell’IDIS di Roma (Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale). Nel libro, che contiene una presentazione di Mons. Andrea Gemma, Vescovo di Isernia-Venafro e una introduzione di Giovanni Cantoni, Fondatore e Reggente Nazionale di Alleanza Cattolica, l’autore Smette subito bene in evidenza come, al di là delle epiche biografie su Garibaldi, il mito del nizzardo sia stato creato a tavolino, a partire dal 1834 quando diventa l’eroe di Genova, in realtà senza aver partecipato alla fallita azione insurrezionale progettata da Giuseppe Mazzini nel capoluogo ligure.
Illuminanti le pagine dedicate da Pappalardo alla formazione politica e militare di Garibaldi, nelle quali viene ricostruito l’itinerario formativo del nizzardo, sia sotto il profilo politico che religioso, quest’ultimo caratterizzato da un profondo odio verso il Cattolicesimo, da lui definito la più odiosa delle sette e il trono del Pontefice il seggio della serpe. La mentalità di Garibaldi era di stampo illuministico, egli credeva fermamente nel progresso illimitato dell’Umanità, che però era ostacolato da forze maligne rappresentate, per l’appunto, dalla Chiesa Cattolica.
Dopo la fallita cospirazione mazziniana del 1834, Garibaldi viene condannato a morte come traditore e nemico della patria dai tribunali del Regno di Sardegna e si rifugia dapprima a Marsiglia e in seguito, per sfuggire ad un’epidemia di colera, in Sud America. E’ questo il periodo della sua vita meno conosciuto dai più e forse anche per questo descritto in modo romantico. In quegli anni il presunto eroe si schiera al fianco di generali golpisti e di capi ribelli, mentre i suoi marinai, in più occasioni, entrando in paesi e città costiere si abbandonano a razzie, saccheggi e uccisioni, raccontate dallo stesso Garibaldi nelle sue Memorie (redazione definitiva del 1872). Nel periodo sudamericano, un avvenimento molto importante per la sua vita, fu il suo ingresso nella Massoneria (Montevideo 1844) e negli anni successivi salì la scala gerarchica della società segreta: infatti, fu creato Maestro a Palermo nel 1860, Primo Massone d’Italia nel 1861, l’anno seguente Gran Maestro del Supremo Consiglio Scozzese e nel 1864 Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Garibaldi, dunque, uomo della e a servizio della Massoneria che, com’è ormai noto, fu l’anima del Risorgimento; nelle logge massoniche italiane ed europee, infatti, si prendevano le grandi decisioni, come ad esempio la scelta del modo di procedere nel processo di unificazione della Penisola (scartando decisamente le proposte avanzate dai cattolici) e che potettero attuare grazie all’ampia disponibilità politica del Re di Sardegna Vittorio Emanuele II, ai complotti e agli intrighi abilmente orditi dal primo ministro piemontese il conte di Cavour, senza trascurare la complicità della Francia e dell’Inghilterra.
La spedizione dei Mille, ovvero la conquista violenta del Regno delle Due Sicilie, della quale Garibaldi fu l’artefice militare, non si può considerare, come leggiamo nei libri di storia, un’eroica impresa militare, bensì come ha scritto Pappalardo nel terzo capitolo del suo libro, “un ‘operazione di pirateria compiuta da un gruppo di uomini armati non aventi alcuna legittimazione giuridica e condotta contro le più elementari norme del diritto con l’obiettivo di ribaltare le istituzioni legittime di uno Stato sovrano da sempre riconosciuto dal consesso delle Nazioni e benedetto dalla suprema autorità spirituale".
Dall’avvincente lettura del libro di Francesco Pappalardo e dalla sua ottima sintesi storica basata sulla realtà dei fatti, il lettore si arricchirà di una nuova visione del Risorgimento e dei suoi principali artefici; potrà, inoltre, senza alcuna difficoltà, formulare su di essi un giudizio veritiero, lontano dagli stereotipi della storiografia ufficiale. Scopo di tutto il discorso, però, non è riaprire vecchie ferite o aizzare nuovi odi e rancori che appartengono al passato, bensì, dopo la nascita della nazione-forzata (forzata in quanto opera di una minoranza), cercare di fornire proposte valide nel dibattito sempre aperto sulla nostra identità nazionale e in tal modo contribuire fattivamente all’avvio di un processo che attraverso una ritrovata e rinnovata identità nazionale, favorisca la costruzione di una convivenza più matura e più solidale fra tutti gli italiani.