Avvenire 20-12-02
di Cecilia Gatti Trocchi
Il santo Natale si avvicina. I dodici giorni che vanno dalla Vigilia all’Epifania hanno ruotato per secoli e secoli intorno all’evento grandioso della nascita del Salvatore. Questi giorni dalle lunghe notti sono come un’unica, grandiosa festa che conclude l’anno vecchio e apre il nuovo ciclo generativo della natura e degli uomini. Il fascino della festa squisitamente cristiana è talvolta distorto da luoghi comuni sulle «feste pagane», sul solstizio d’inverno, sul dio Mitra, sui Celti col ramo di vischio, sull’abete cosmico, sulle vergini capaci di partenogenesi, estratte a casaccio dalle religioni di mezzo mondo. Si dimentica che il cristianesimo non nacque in un deserto ma in un mondo ricco di una grande cultura religiosa, in cui fiorivano rituali maestosi. I Padri della Chiesa scelsero il 25 dicembre, giorno del dio Sole, per festeggiare la nascita del redentore «Sole del mondo)). Il dio indo-persiano Mitra non c’entra nulla: la sua religione, vietata alle donne, non oltrepassò mai gli ambienti militari e solo l’imperatore Commodo (il crudele tiranno del film Il gladiatore) ne era iniziato. Da Aureliano in poi, gli imperatori tentarono piuttosto di imporre un culto solare universale, che ebbe scarso successo tra le genti. I Padri della Chiesa scelsero proprio la festa imperiale del Sol Invictus per celebrare la Natività e conservarono l’immagine del Cristo come Sole di verità, di resurrezione e di salvezza.
Furono gli intellettuali e i pubblicisti tardo-ottocenteschi a inquinare le tradizioni in Europa e in America, animati da uno zelo positivista e desacralizzante e spinti dall’incipiente e già florida industria del Natale. Oggi si percepisce ancora questa operazione pseudo-culturale: sono sempre più rari i biglietti con le sacre figure di Giuseppe, Maria e il Bambinello, i pastori e le pecorelle. Invadono il campo vischio e agrifoglio, abeti, candele, papere, angeli New Age e l’obeso Babbo Natale, una specie di guitto dell’aldilà, che impugna la Coca Cola o spinge antenne paraboliche. Pochi sanno che il grasso gnomo con le renne è una deformazione ormai incomprensibile di San Nicola (in inglese Santa Claus,» da Saint Nicolaus) che fu vescovo di Mira e protettore di Bari e Venezia Santa Claus ha mantenuto di San Nicola solo il rosso dell’abito.
vescovile, mentre dal Mediterraneo ove visse e predicò nel IV secolo si è spostato in zone gelide, ad indicare virtualmente l’egemonia economica del grande settentrione, americano e nord-europeo Oggi ogni bottegaio può reclamizzare la sua merce vestendosi banalmente di rosso e di bianco con barba finta e berrettone. Ma quali sono le “radici pagane” delle feste natalizie? Durante le feste romane di dicembre, i Saturnali, la gente si scambiava i regali e la parola «strenna» deriva dalla dea Strenia che soprintendeva allo scambio.
Il dono affonda le sue radici nelle più elementari regole sociali ma non è né pagano nè cristiano, è la modalità culturale per allacciare e mantenere relazioni costanti. Nel grande gioco sociale non venivano dimenticati i defunti che dall’aldilà portavano regali ai bambini e ancora oggi in Sicilia sono i morti che portano i doni ai bimbi. L’uso di ornare l’abete con candele e nastri d’argento non risale all’albero cosmico o agli usi più remoti degli onnipresenti Celti, ma al cristianissimo Martin Lutero (era pur sempre un agostiniano) che andando a Wittenberg in una gelida e silenziosa notte di Vigilia vide gli abeti ghiacciati scintillare alla luce della luna e delle stelle e volle ricreare quell’incanto adornando di candeline un abete. L’usanza si radicò nei Paesi germanici e scandinavi luterani tra il Cinque e il Settecento, per poi passare in Inghilterra con la dinastia degli Hannover. Più tardi si inventò la favola secondo cui l’abete sarebbe stato emblema dei culti arborei delle tribù nordeuropee: sacralizzare un oggetto «naturale», un albero, ben si sposa con le manie paganeggianti. Peccato che nessuno preparasse, prima del Cinquecento, l’albero di Natale. Furono le scene della Natività il più antico modo di celebrare le feste cristiane. Santa Maria Maggiore all’Esquilino era chiamata Sancta Maria ad Praesepe, in quanto in essa si conservavano le assicelle della mangiatoia che fula prima culla di Gesù. Nell’arco trionfale dell’ altare vediamo Gesù Bambino in trono Sormontato dalla stella e adorato dai Magi. Il simbolo del presepe fu recepito da san Francesco che ambientò il primo presepe plastico nella grotta di Greccio nel 1223. Fu una sacra rappresentazione, un evento “teatrale” in senso moderno che ottenne un successo senza pari.
Da allora il presepe fu ripetuto ovunque nell’Europa cristiana.