Cristianità n. 314 nov.-dic. 2002
di Mauro Ronco
L’attenzione dei mezzi di comunicazione si è soffermata per molti giorni sul crimine commesso in Leno, piccolo borgo nei pressi di Brescia, ove ha subìto ingiusta morte una giovinetta quattordicenne, Desirée Piovanelli.
Con impietosa curiosità verso la povera vittima e i familiari desolati i giornali e le televisioni si sono dilungati nel riferire notizie e particolari sul crimine e sulla personalità dei giovanissimi indagati, così come gli uni e gli altri affioravano nelle prime indagini. Domenica 13 ottobre 2002, al fine, orrore nell’ orrore, è comparsa sui giornali la notizia secondo cui un uomo adulto sarebbe stato l’organizzatore della violenza di gruppo sfociata nell’assassinio. La Stampa di Torino titolava in prima pagina: «Quell’uomo ha guidato il branco». Due pagine interne del giornale erano interamente dedicate alle cronache del crimine. Ivi si potevano leggere sia descrizioni atroci sull’efferatezza e l’insensibilità umane rivelate dall’evento sia stigmatizzazioni giuridiche e psichiatrico-sociali nei confronti dell’adulto accusato.
Lo stesso giorno, sul medesimo giornale, nel settore Cultura e spettacoli era anche pubblicato un articolo dal titolo “Il fantasma della libertà? Cercatelo nel grande circo della pornografia “. In esso si dava conto di una rappresentazione pornografica, messa in scena da una compagnia teatrale, costituente una vera e propria istigazione alla perversione. Lo spettacolo, che avrebbe determinato «imbarazzo in platea», si sarebbe snodato fra coiti, orge, fellatio, onanismo, sadomasochismo, vagine squadernate e infinitamente manipolate, membri maschili forniti di bocche parlanti (l’elettronica fa miracoli), oltraggi inimmaginabili inferti al corpo femminile». Tutto ciò costituiva «(...) l’inesauribile campionario di uno spettacolo che però sarebbe semplicistico e sbagliato liquidare come pornografico». Assicurava infatti il recensore che, se la pornografia e la pornofilia spadroneggiavano, esse tuttavia erano(...) il mezzo (raccapricciante fin che si vuole) per parlare d’altro e per giungere ad altro». Questo altro sarebbe il senso della libertà individuale» e il «sogno di un mondo migliore», secondo l’ assunto del nobile francese marchese Donatien-Alphonse-Francois de Sade (1740-1814), per il quale l’uomo libero deve agire in nome della natura contro la sua immagine, avvalendosi, per un esito di dissoluzione e di morte, «(...) del potere di trasgressione e della forza luminosa della ragione». Il giornalista ammirava il «rigore» pornografico con cui lo spettacolo sarebbe stato condotto. Il concetto della trasgressione di ogni regola sarebbe stato «incarnato fino all’ossessione e con un rigore assolutamente ammirevole». Gli artisti sarebbero stati davvero bravi(...): millimetrici, perfetti, ironici quando occorre, minacciosi quando è necessario». Essi avrebbero saputo «(...) offrirsi come autentiche sex machines, ma anche come veicoli di quella mortalità nella quale, alla fine, tutto deve sciogliersi e annientarsi». Il servizio era corredato da una fotografia che faceva intravedere una scena sadistica.
La stridente contraddizione fra l’indignazione per il crimine commesso in provincia di Brescia e, sullo stesso giornale e nel medesimo giorno, l’ammirazione per l’esibizione pornografica, svoltasi nel teatro torinese, induce ad alcune riflessioni.
In primo luogo essa rivela la scissione dell’uomo contemporaneo, pronto a indignarsi moralisticamente contro coloro che sciaguratamente conducono le perversioni mentali fino alle estreme conseguenze di morte, ma disposto comunque ad ammirare la perversione in quanto tale, come categoria che comprende tutto quanto contraddice la verità naturale sull’uomo. Neanche l’efferatezza dei delitti è capace d’indurre il dispensatore relativista di pseudo-cultura a interrogarsi sulle origini e le cause di tanto e tanto frequente disprezzo per l’umanità nell’universo contemporaneo da parte di così tante persone, soprattutto da parte di un così grande numero di giovani; di tanti e tanto frequenti oltraggi al corpo umano, soprattutto femminile.
In secondo luogo, occorre domandarsi se la radice di molti delitti giovanili, fra cui può annoverarsi quello bresciano, non sia proprio lo scatenamento brutale del desiderio di recare offesa alla persona umana, fino al punto d’infliggere la morte, in conseguenza della ricezione avida e confusa del miscuglio avvelenato di pornografia e di violenza, che è dispensato a piene mani dagli strumenti mass-mediatici.
Quanti hanno tolto ogni remora all’esibizione istigatoria delle rappresentazioni delittuose e della mercificazione sessuale, cancellando i divieti e diffondendo una pseudo-cultura di morte, sono i responsabili ultimi dei guasti antropologici recati alle nuove generazioni, con la conseguente dissoluzione della ragione e con l’accumulo senza freni nei giovani di un potenziale immane di disumana violenza. L’associazione fra sessualità definalizzata e violenza sul corpo e la psiche dell’altro uomo è suggerita, esplorata, fomentata, detabuizzata in un grande numero di pubblicazioni, di film, di pièce teatrali. La cultura relativista esibisce la violenza e il sesso mercficato per la soddisfazione della massa, mostrando all’evidenza che essi sono fruibili come oggetto di consumo. Come stupirsi, poi, se i più deboli e i più fragili, irretiti dalle rappresentazioni mentali indotte da tale cultura di morte, passano a praticare in via diretta quanto è stato loro mostrato come liberamente fruibile?
La cronaca relativa alla squallida esibizione torinese induce a una terza riflessione sul legame inscindibile fra Rivoluzione sessuale e cultura di morte.
Non a caso una grande parte dei delitti più atroci, compiuti in questi ultimi anni da giovanissimi autori, trova la sua remota origine nella sregolatezza sessuale dei costumi. In una bellissima serie di scritti apparsi molti anni fa Massimo Introvigne, con sguardo preveggente, attirava l’attenzione sull’opera di de Sade, descrivendo lo svolgersi della Rivoluzione sessuale nell’epoca contemporanea come una delirante contro-ascesi del corpo sociale .
La Rivoluzione sessuale è il processo attraverso il quale l’uomo manifesta concretamente che non esistono per lui doveri né verso Dio, né verso gli altri uomini, né verso sé stesso. Nell’opuscolo Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani , de Sade proclamava che, per consolidare realmente la Rivoluzione del 1789, sarebbe stato necessario consolidare il deicidio, di cui il regicidio di Luigi XVI di Borbone (17541793) era stato il simulacro. Sarebbe poi stato necessario rinnegare tutti i doveri verso gli altri uomini, in particolare il dovere di rispettare il pudore e la libertà sessuale altrui. Di ciò si sarebbe dovuto rendere garante lo Stato repubblicano, il quale, «immorale per i suoi obblighi», avrebbe dovuto favorire e obbligare al vizio. L’uomo è una macchina, è pura res extensa. L’ordine e il disordine, il bene e il male non esistono. L’omosessualità, l’incesto, la bestialità e ogni tipo di perversione devono essere considerati leciti. Non esisterebbero, infine, per de Sade, doveri dell’uomo verso sé stesso. Il suicidio, l’ultimo legame che è possibile spezzare, che lega l’uomo alla propria esistenza, sarebbe l’epifania dello spirito rivoluzionario. Contro «(...) l’imbecillità della gente che erige questa azione a delitto», de Sade proponeva il ritorno ai tempi in cui «(...) ci si uccideva in pubblico e si faceva della propria morte uno spettacolo solenne», concludendo che, «posti incessantemente all’altezza di quei fieri repubblicani, noi supereremo presto le loro virtù: è il governo che fa l’uomo».
Introvigne sottolineava che il fine della Rivoluzione sessuale è il culto della morte: la cifra della metafisica della Rivoluzione, che è odio dell’essere e adorazione filosofica del divenire, è il culto della morte. L’eroe sadico è chi si pone, quale compito da pensare, l’istinto di morte. I mezzi della Rivoluzione sessuale sono una sequela ininterrotta, ossessionante e monotona di peccati, messi in opera per distruggere l’anima. Ma se la morte del corpo — avvertiva ancora Introvigne — è un momento limite, la morte dell’anima è un traguardo impossibile, perché l’anima è immortale. E allora al discepolo di de Sade non resta altro che ripetere gli stessi atti: stupri, violenze, perversioni. Ciò che ne risulta è la noia da peccato, l’apatia che deriva dalla monotona ripetizione del male. Ciò che ne deriva è la nausea da male ripetuto, figura della morte eterna. La società che la delirante contro-ascesi della Rivoluzione sessuale vuole realizzare è l’anticamera terrena dell’inferno. Oggi ci avviamo a grandi passi ad abitare, dopo decenni di Rivoluzione sessuale, nell’anticamera terrena dell’inferno: la sequela dei delitti contro la vita e la persona, come esito della definalizzazione e della perversione della facoltà generativa, ne costituiscono sintomo e segnale agghiaccianti.
Una riflessione conclusiva, che aspira a trasformarsi in indicazione operativa. Se vi è chi, alla sequela di de Sade, ritiene realmente che lo Stato — e i mezzi di comunicazioni pubblici — debba favorire e addirittura obbligare al vizio, vi è ancora nella nostra società chi abbia il coraggio di dire che lo Stato deve scoraggiare il vizio e favorire la pratica delle virtù naturali, dalla prudenza alla giustizia, dalla fortezza alla temperanza?
Ma se vi è qualcuno che abbia ancora questo coraggio, non è forse giunto il tempo di passare dalle parole ai fatti, ponendo un freno, sotto il profilo culturale, politico e giuridico, alla diffusione onnipervadente di una oscena cultura della morte? Invece di piangere con lacrime da coccodrillo gli eventi di morte che funestano tragicamente le cronache quotidiane, non è forse il caso di prevenire tali eventi, operando affinché, tramite le opportune provvidenze giuridiche, le rappresentazioni di violenza e di pornografia, che devastano le menti dei giovani, siano rimosse dalla pubblica visione, per il bene loro e nostro, nonché per la salute e la serenità di tutta la società?
Un’iniziativa di tale genere non costituisce azione bacchettona di retroguardia; è, invece, compito ineludibile di una avanguardia realmente interessata all’ avvenire della patria. Invece delle ipocrite e vane parole sull’assenza di valori nei giovani, è ora di dimostrare coi fatti che il valore essenziale, per uomini politici degni di tal nome, è costituito dalla lotta inesorabile contro il vizio sfacciato e scandaloso, che toglie l’innocenza ai bambini fin dalla più tenera età e li espone alla trista deriva della trasgressione definalizzata. Trasgressione che non di rado sfocia sciaguratamente nel delitto più atroce, compiuto senza alcun fine e senza alcuna ragione, ma per arbitrario desiderio di libertà assoluta, onde rendersi strumenti perversi di (...) quella mortalità nella quale, alla fine, tutto deve sciogliersi e annientarsi», secondo le parole dell’acculturato recensore di pornografia su La Stampa del 13 ottobre 2002.