La Repubblica del 16-11-2002
di EZIO MAURO
Spenti i riflettori sulla visita del Papa a Montecitorio e sul suo discorso davanti al Parlamento, è consentito ragionare sulla cultura cattolica italiana negli anni della destra? Io credo che sia doveroso, perché sta emergendo qualcosa di impetuoso ed inedito insieme. I cattolici, ovviamente, sono sempre stati presenti, per parte (spesso una parte molto rilevante) nel dibattito culturale italiano. Ma oggi sta avvenendo — o forse si è già compiuto — un sovvertimento di qualità e di quantità, un cambio di gerarchia, una specie di passaggio di egemonia. La presenza che emerge nella discussione italiana, la più robusta mediaticamente,la più armata politicamente, non è quella cattolico-democratica o cattolico-liberale che ha dominato gli ultimi decenni. S’avanza una nuova figura di cattolico, che è insieme il prodotto della destra politica e la sua garanzia, perché le presta la copertura integrale dei suoi valori: è una sorta di cristiano originario - in questo senso primitivo - nella sua pretesa di essere insieme fonte e testimonianza di un modello italiano di fede e di vita, non mediato dall’istituzione, Chiesa o Stato che sia. O forse meglio, di “cattolico non cristiano”, come Mussolini definiva se stesso.
Queste presenze forti viaggiano dentro il ventre della balena berlusconiana, sapendo perfettamente che non si tratta di una balena bianca. Accettano il liberismo, compensato dalla forza del nuovo apparato del Cavaliere. Sopportano l’indifferentismo etico di Forza Italia, sfruttandone in cambio la potenza elettorale. Tollerano il pragmatismo disinvolto e interessato sul piano legislativo, assolvendolo con il miracolo del potere di destra, che ha dischiuso le porte del paradiso terrestre anche per loro. Guidano infatti Regioni di primissimo piano, come Formigoni con la Lombardia, hanno conquistato ministeri, dilagano sui giornali di destra, hanno in mano alcune postazioni tra le più importanti nella Rai berlusconiana, fanno affari di rilievo. E tuttavia rimangono una cosa a sé, una presenza distinta nella nuova destra, continuamente e modernamente in dubbio sulla convenienza di usare Forza Italia o la Rai come paradossale Solidarnosc italiana.
Del Papa ammirano soprattutto l’urto profetico che tutto scardina, storia e geografia, la testimonianza integrale dei valori cristiani, l’alterità polacca - quasi antropologica che lo proietta per sempre contro il comunismo, cancellato anche grazie a lui dalla storia d’Europa, la sua religiosità popolare che mette il soprannaturale a portata di mano anche nelle società più secolarizzate.
Creando Santi dal vissuto quotidiano contemporaneo, miracolizzando la sua biografia nel momento in cui invera la profezia del martirio, portando a Fatima il proiettile di Agca da incastonare nella corona della Madonna, a rendere concreto nel fine secolo, visibile per sempre e fisicamente perenne il segno profano del miracolo.
Della Chiesa italiana accettano il comando, ma come soldati di un altro esercito, guidati da voci che risuonano altrove. La vera triade di riferimento è composta da Giovanni Paolo II, Augusto Del Noce, don Giussani. Di conseguenza, ritengono che la cultura cattolica dominante nel nostro Paese (dunque vescovi, cattolici democratici e anche cattolici liberali) abbia aperto la strada ad un moderno fariseismo, con l’uomo che indica lui stesso la misura di ciò che è giusto, e regola a suo vantaggio i conti con un Dio ritagliato dal cristianesimo secondo i comodi e i bisogni della contemporaneità: un Dio generale e generalista, forse generico, sicuramente comodo, probabilmente superfluo perché di certo noioso.
Come molti altri cattolici, da loro distinti e diversi, ritengono di aver”incontrato” Dio. Ma non tramite l’adesione ad una dottrina o ad una filosofia religiosa, bensì attraverso quell’ “avvenimento” che è la concreta, fisica nascita del cristianesimo duemila anni fa. La vera differenza è che loro dopo quell’incontro pensano con San Paolo di “non poter più mangiare e bere come prima”. Dunque, se così è, tutto si subordina a questa testimonianza che è un obbligo e una missione, la fede come la politica, la cultura, le scelte morali e personali, le decisioni pubbliche. Tutto diventa integrale, come il motto dei cavalieri polacchi, “ubbidire soltanto a Dio”.
Il fatto è che questa emersione d’identità avviene nel momento in cui il mondo cattolico prende atto (per dichiarazione dei suoi vescovi) di essere minoranza nel nostro Paese, dunque di dover necessariamente diventare “parte” mentre prima la Chiesa, anche se non era il tutto, si comportava come se lo fosse. Ciò ha portato la Chiesa, e in particolare la Cei, a sviluppare comportamenti da minoranza, dunque difensivi e offensivi, per la nuova necessità di competere nel confronto politico-culturale aperto nella società e nello Stato. La prima, naturale conseguenza è una “lobbizzazione” (in senso tecnico) della presenza della Chiesa e della sua influenza, il suo- muoversi come gruppo di pressione, come grande agènzia cultural-politico-sociale, che sa di dover entrare in competizione e in concorrenza con le altre agenzie sul mercato.
È in questo quadro che irrompe la presenza forte dei nuovi tradizionalisti cattolici, come una sorta di Dio italiano che cammina, una specie di via italiana al cattolicesimo nel Paese che non l’avèva mai avuta, nella convenzione che lo voleva “naturalmente” cristiano. Non ha importanza il loro numero, non ha importanza nemmeno il loro peso, secondo le vecchie misure italiane. Perché la novità è la miscela originale, mai vista negli anni della Repubblica, tra la loro cultura e la politica della destra, tra i loro valori integrali e la forza ancora allo stato puro — non filtrata in una compiuta e consapevole definizione di sé — del berlusconismo: tra la loro missione in cerca d’autore e l’Autore di una vittoria elettorale che è ancora e sempre in cerca di una missione e di una ragione da spendere in politica oltre il dominio, la salvaguardia personale e il comando. Qui sta tutta la novità- e a mio parere tutto il rischio - di questo incrocio tra due spregiudicatezze e due convenienze complementari, una ché scusa le contraddizioni del suo mondo con l’ultraterreno, l’altra al contrario ultramondana, premuta com’è dalle impellenze concrete quotidiane che la costringono a rinnegare nella pratica costante i valori a cui dovrebbe far riferimento. Permeato e in parte guidato (sottovoce si potrebbe quasi dire: culturalmente egemonizzato) dai valori forti che il cattolicesimo integrale porta al suo interno, il berlusconismo mette a disposizione del tradizionalismo lo Stato (di cui non ha ancora elaborato una cultura istituzionale), la scuola, pezzi di politica sociale e soprattutto la Rai. Qui sta avvenendo uno scambio addirittura esplicito: a Berlusconi il controllo degli spazi politici, alla destra cattolica gli spazi culturali.
Il risultato è una Rai che fatica a raccontare la modernità, come se fosse precipitata di colpo in quel postmoderno di Richard Neuhaus (“The Gatholic Moment) “dove tutte le certezze crollano—come dice Rocco Buttiglione — e l’uomo contemporaneo può scoprire la fede cristiana come risposta alle sue domande, come interprete vera dell’autocoscienza nazionale”. Nel postmoderno televisivo italiano, affiorano invece nostalgie fasciste nei ritratti culturali - notturni, spunta la Madonna in prima serata, affiora la Sindone, vanno in onda ritratti del Papa ché sono una sorta di beatificazione in vita, con il sacro continuamente contrapposto ad un unico suo contrario-avversario, che è naturalmente e per sèmpre il comunismo.
Com’è ben chiaro, non è una questione di faziosità, perché è difficile essere faziosi come la Rai di Zaccaria, e in ogni caso la faziosità va abbondantemente in onda, oggi, ad ogni edizione del TG1 e del TG2. Il problema è che la cultura cattolico-tradizionalista non sa di essere “parte” dell’Italia di oggi. Parla come se fosse la vera identità condivisa e accettata del Paese, una specie di “natura” nazionale finalmente riemersa, portatrice della Verità, una verità a cui bisogna convertire gli italiani attraverso il moderno battesimo della televisione. Anzi, di più. Una verità liberata dopo cinquant’anni di dittatura, finalmente riconquistata e dunque naturalmente egemone, come se coincidesse con la democrazia con il bene comune. Con lo Stato - ovviamente — ridotto a puro strumento d’uso per la battaglia politico-culturale,la laicità buttata via con lo statalismo come moderno disvalore, insieme con il Risorgimento, la Rèsistenza, naturalmente l’antifascismo.
Divertito e probabilmente un poco spaventato da questa incarnazione della destra cattolica, Giuliano Ferrara che sta seduto sul bivio tra la forza berlusconiana vittoriosa e una cultura ancora inesistente, se la cava dicendo all’Italia di minoranza: ben ti sta, ecco “gli altri”, esistono, bisogna prenderne atto. Ma questi non sono “altri”. Erano tra noi, nell’Italia democristiana che ci ha governato, dove per cinquant’anni i vescovi hanno contato più dei prefetti. Non vengono dall’esilio, a ripristinare le regole, e a testimoniare una verità conculcata. Sono cresciuti nella Repubblica, come tutti noi, protetti magari di più dal potere dominante. Non possono presentarsi come alieni, dopo che da quasi un decennio viaggiano garantiti ed esibiti nella coda della cometa berlusconiana.
Naturalmente una testimonianza integrale di valori così legati alla storia e alla tradizione del nostro Paese potrebbe essere feconda per tutti, cattolici e non. Ma come i “camelots du roi” dell’Action Francaise i cattolici tradizionalisti piegano la 1aro verità a strumento di lotta politica, tradendola e ideologizzandola. Faticano a riconoscere nello Stato quel moderno “tutto”in cui le parti si ricompongono, oltre le maggioranze e le minoranze. Sono incapaci di farsi carico della ricomposizione democratica e istituzionale di questo Stato, della sua storia repubblicana, del suo fondamento di legittimità che negano, con don Baget Bozzo che addirittura promette, quando la destra diventerà “una vera forza culturale”, come primo suo atto l’abolizione del 25 aprile come festa nazionale.
Non tocca tanto ai laici rispondere a questa “feroce gioia” di distruzione repubblicana, né soltanto alla sinistra. Rispetto a questa visione del Paese, che pretende di utilizzare il cattolicesimo come elemento di forza dell’idea di nazione, c’è, io credo, la possibilità di testimoniare una diversa idea dell’Italia, non importa se di maggioranza o di minoranza. Ricordando e scegliendo, ancora una volta, tre parole del Papa: non abbiate paura”.