Il
Giornale 18
novembre 2001
IL COMMENTO
di Antonio Socci
«Il team di Bush - secondo Friedman -dovrebbe dire ai nostri partner arabi: guardate, noi non abbiamo bisogno delle vostre basi o delle vostre armate. Noi abbiamo bisogno solo che voi apriate le vostre società cosicché le voci di coloro che vogliono un diverso futuro per gli arabi possano davvero essere udite. Noi ci occupiamo di Bin Laden, ma voi occupatevi del binladenismo».
Chi ha dei dubbi circa l’esistenza del problema si legga
l’intervista pubblicata dalla Stampa
di venerdì scorso a sua eccellenza Mohammed Said Tantawi, lo sceicco di Al
Azhar, «la guida suprema dei musulmani sunniti di tutto il mondo», cioè del 90
per cento degli islamici del pianeta. Un’autorità paragonabile a quella del
cardinal Ratzinger o forse dello stesso Papa. Va tenuto presente che oggi lo
sceicco è nominato dal capo dello Stato egiziano e che Mubarak è il leader
arabo più moderato e vicino all’Occidente.
All’Imam di Al Azhar dunque èstato chiesto di affermare che i kamikaze musulmani non sono dei martiri e non andranno in paradiso, ma sono degli assassini suicidi e come tali andranno all’inferno. Un tale enunciato, proveniente da una così alta autorità, potrebbe essere dissuasivo per i tanti che sono pronti a fare i kamikaze.
Ma l’Imam non ha voluto fare quella dichiarazione. Anzi, ha risposto con queste parole agghiaccianti: «Chi si imbottisce di tritolo e si fa saltare in mezzo al nemico deve essere considerato un martire...». Questo è il pronunciamento della massima autorità del cosiddetto Islam moderato. Se poi per «nemici» si debbano intendere solo militari o anche civili è cosa su cui lo sceicco è ambiguo. Di fatto parole come queste permettono di trovare legittimazione teologica ai criminali che fanno stragi in Israele. Inoltre manca la sconfessione teologica dei fanatici che hanno perpetrato in America la mattanza dell’11 settembre.
Si ha un bel dire che non c’è un problema islamico, che i
terroristi abusano del nome dell’Islam e non c’entrano nulla con la fede
musulmana. Come la mettiamo con l’enunciato di quell’altissima autorità
«moderata»? Com’è possibile che dichiarazioni simili passino del tutto
inosservate? La Stampa è arrivata a
pubblicare questa intervista praticamente nascondendo quelle parole inaudite, evitando
di richiamarle nel titolo e nei sommari. Possiamo permetterci ancora a lungo di
non vedere? Possiamo ancora fingere di non capire? E un atteggiamento saggio?
Indurrà alla ragionevolezza il mondo musulmano?
In realtà è un formidabile incentivo al «binladenismo». Lo
ha spiegato coraggiosamente Amir Taheti, uno straordinario giornalista iraniano
che fu direttore del più importante quotidiano di Teheran. Oggi è esule in
Occidente e scrive per l’Herald Tribune e
il Wall Street Journal. Dice di essere
rimasto sconcertato, appena arrivato in Occidente, dalla durezza dei mass media
quando parlano di cristianesimo e dalla loro acritica indulgenza quando si
occupano di Islam: «Questo fa molto male all’islam».
Intellettuali e mass media occidentali, secondo Taheri, dovrebbero trattare l’islam con lo stesso spirito critico che mostrano verso il proprio mondo, dovrebbero denunciare il dispotismo di quei regimi, sostenere i pochi coraggiosi dissidenti e pretendere dai tanti musulmani che emigrano qua da noi di adeguarsi alle nostre regole.
E una scelta di fermezza che potrebbe aiutare quelle società e molti bravi islamici a liberarsi di violenti e despoti. E potrebbe trasformare il fenomeno dell’emigrazione in una salutare contaminazione culturale. Invece capita il contrario. Il Consiglio islamico d’Europa per esempio ha emanato una sua dichiarazione dei diritti dell’uomo nella quale si afferma che «nessuna restrizione deve limitare il diritto alla libertà», ma si aggiunge: «Se non per la forza della legge islamica (la shari’a) e in conformità alle sue disposizioni». inoltre «ognuno ha il diritto di esprimere i propri pensieri e convinzioni», ma «nei limiti generali della legge islamica». Un’ultima perla: «Non devono esistere ostacoli alla diffusione delle informazioni» a meno che non superino «i limiti imposti dalla Legge islamica».
Viene da chiedersi che tipo di convivenza sarà possibile man
mano che crescerà l’elettorato musulmano in Europa con queste convinzioni. E
perché con documenti di questo genere, che sono pubblici, sebbene spesso
tradotti in modo singolare, non vogliamo fare i conti? Queste sono le idee
dell’Islam moderato.
Del resto sono rari anche i tentativi seri di comprendere le
caratteristiche dell’«islamismo radicale», fenomeno di minoranza, ma reale. Per
esempio, Olivier Roy in Généalogie de
l’islamisme spiega che esso ha un’ideologia rivoluzionaria che «pensa
l’islam a parure da una percezione politica della società» ed è ben più moderna
di quanto voglia far credere, infatti in essa «si percepisce nettamente
l’influenza del marxismo».
Non solo. Uno dei tentativi più intelligenti per capire il
«binladenismo» è contenuto nel libro di Massimo Introvigne,
Osama Bin Laden. Apocalisse sull’Occidente.
Attraverso una documentazione stupefacente, lntrovigne spiega che a Osama fa riferimento un’ala millenarista rivoluzionaria la quale considera imminente la lotta finale tra l’Anticristo (il Dajjal della tradizione islamica) e il mahdi che guiderà i musulmani a sconfiggerlo e intende partecipare attivamente a questa lotta». L’ideologia di Al Qaida, secondo lo studioso, ha dunque un’origine importante e antica: «Considerarla solo un fenomeno criminale non aiuta a combatterla». Cercando di capirla invece si fanno scoperte inquietanti: per esempio sul ruolo di Roma nella lotta finale fra Anticristo e mahdi.
In questi testi il significato simbolico di Roma, come sede del Papato, è secondo solo a New York. L’avvento dell’Anticristo infatti deriverà, secondo questa letteratura delirante, da «un complotto ebraico» che ha gli Stati Uniti come «principale strumento» e il Vaticano come alleato.
In questo scenario farneticante «non rassicura - conclude
lntrovigne - leggere, dopo New York, frequenti riferimenti a Roma come
obiettivo della collera islamica». C’è di che riflettere, anche per le autorità
italiane.
Queste tesi sono propagate tramite un’editoria popolare diffusa nei Paesi arabi, e tramite una tradizione «colta» di interpretazione del Corano. Come si vede sconfiggere il «binladenismo» sarà più duro che battere Bin Laden.