Avvenire 23 novembre 2001
di Camille
Eid
I taleban che hanno terrorizzato per anni la popolazione afghana e che ora si dicono pronti a morire per salvare la vita del loro mullah non sono cresciuti per strada, ma sono il prodotto delle madrassa, le scuole coraniche dove solo i migliori studenti vengono selezionati.
Ancor prima dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, gli aspiranti mullah di etnia pashtun studiavano tradizionalmente nelle madrassa private legate a una specifica confraternita religiosa. Sunniti di rito hanafita, gli studenti prediligevano la scuola detta deobandi, sorta in India alla fine dell’Ottocento ad opera di alcuni mullah ossessionati dall’idea di purificare l’islam da ogni influenza straniera, specialmente da quella dell’ induismo. il curriculum scolastico di questi studenti è essenzialmente religioso: Corano e hadith (detti e gesta di Maometto), sharia (legge islamica) secondo il rito hanafita, qàfia e sharh giami’ (libri di grammatica e sintassi araba), e una serie di libri di filosofia (Il Sunto dei concetti, Lezioni di retorica, la Chiave delle scienze) e di logica (la Scala delle scienze, il Commento di simmetria), oltre alle opere dei noti muliah Jalal e Hassan Qutbi.
Ma esiste il rischio che, una volta esaurita l’epopea militare dei taleban afghaai, spuntino da qualche altra parte nuovi «studenti coranici»?
In molti Paesi, entrare nelle madrassa, dove è più alta la probabilità di finire tra le mani di gruppi integralisti, assicura non solo istruzione gratuita, ma anche un pasto decente al giorno. Ma vediamo alcuni Paesi ritenuti a rischio di una nuova edizione taleban.
PAKISTAN
La maggior
parte dei taleban afghani hanno frequentato madrassa pachistane. La formazione
terminava, infatti, nel Pakistan, in zona pashtun, oppure, per i più
eccellenti, a Lahore e Karachi. Qui, la scuola deobandi è rappresentata dal
movimento Jamiat-lJlemae-islami (Jui) diviso in due fazioni guidate dal maulana
Fazl-ur-Rahman e dal maulana Sami’ ul-Haq, gli stessi che hanno condotto le
manifestazioni di massa contro lo schieramento del loro Paese a fianco degli
Stati Uniti.
Nel 1994,
all’inizio delle ostilità tra taleban e mujaheddin, migliaia di studenti
pachistani delle madrassa controllate dalla fazione di Sa-mi’ ul-Haq, come quella
di Akora Khatak, vicino Peshawar, sono stati inviati a dare una mano ai «compagni»
afghani. Di nuovo, durante l’offensiva taleban del 1998 contro l’Alleanza del
Nord, centinaia di studenti coranici del Pakistan sono accorsi verso i centri
di reclutamento taleban, molti dei quali convinti di andare a combattere contro
le residue sacche «comuniste», e muniti (almeno per quelli di nazionalità non
afghana) di un’autorizzazione familiare.
I leader
religiosi pachistani negano tuttavia ogni paragone con le madrassa afghane. «Il
jihad — spiega Fazl-ur-Rahman - è sì parte dell’insegnamento islamico, ma le
madrassa pachistane si accontentano di formare dei buoni musulmani lasciando agli
studenti la scelta della vita da adottare». «E’ strano constatare - dice un ex
ufficiale dell’Isi pachistana — che gli americani chiedevano prima l’aiuto di
questi studenti per combattere i sovietici, mentre ora li considerano
terroristi». Intanto, le diecimila scuole del Paese continuano a riversare, su
un mercato già saturo, migliaia di predicatori senza alcuna competenza se non
una vaga conoscenza della sharia. Per loro l’unico mezzo di promozione sociale
diventa l’islamizzazione della società. Tra di loro, oltre agli afghani,
figurano anche studenti giunti da Paesi arabi e musulmani. In alcune scuole,
dette «jlhadi», gli studenti ricevono anche una rigorosa educazione fisica che
dovrebbe permettere loro di sopravvivere senza cibo nè acqua per alcuni giorni.
EGITTO
L’Egitto è un
altro Paese a rischio di una deriva conservatrice in senso taleban. Finora, le
scuole coraniche risultano sotto la stretta supervisione dell’Università
al-Azhar, fondata al Cairo in epoca fatimide, il cui Grande imam (oggi lo
sceicco Muhammad Sayyed Tantawi) è nominato dal governo e ha il rango e lo
stipendio di un ministro. Al-Azhar, «la Risplendente», è l’istituzione sunnita
più prestigiosa del mondo e gioca un ruolo di arbitro del pensiero islamico
moderno dopo esser stata minacciata nel Novecento dalla concorrenza dei sistemi
educativi occidentali. L’ateneo comprende 55 collegi che comprendono ben 190mila
studenti, tra cui 10mila stranieri, senza contare il milione di scolari
iscritti alle circa 5000 scuole affiliate all’ateneo e alla cinquantina di
istituti «azhariche» legate all’Università sparsi tra l’Africa (Senegal, Ciad,
Gibuti, Uganda e Sudafrica ed altri), l’Asia e i Paesi dell’ex Unione
sovietica, attraverso i quali l’Egitto esercita la sua influenza religiosa nel
mondo islamico.
Il rigido
controllo governativo non ha tuttavia impedito la graduale trasformazione di
questo ateneo in una roccaforte dell’islam intransigente. Fedele alla sua
politica di infiltrazione delle istituzioni sindacali ed educative, il
movimento dei Fratelli musulmani conta oggi molti simpatizzanti tra le fila
degli ulema e decenti di Al-Azhar che hanno sollecitato negli ultimi anni
l’applicazione della pena di morte contro intellettuali accusati di
oltraggiare, con la loro interpretazione in chiave moderna del Corano, l’islam
e i profeti.
Di fronte ai
problemi sociali e politici legati anche alla modernizzazione e alla difficile
transizione da un’economia socialista verso un’economia di mercato, l’egiziano
ha reagito ripiegandosi sulla religione. La forte crescita dell’islam è
indicativa: Tra il 1981 e il 1999, il bilancio del ministero dei Beni religiosi
è passato da 37miioni di sterline egiziane a 610milioni; il numero degli imam
da 4419 a oltre 27mila, i circoli per la memorizzazione del Corano da 350 a
2582. Le moschee sono anch’esse passate da 5600 a 29701, senza considerare le
140mila moschee «private», molte delle quali aperte all’interno degli stabili
per ottenere l’esonero delle tasse fondiarie e dove improvvisati imam
dispensano un insegnamento fanatico dell’islam.
TURCHIA
Qui la «rinascita» islamica aveva
portato nel 1995 gli islamici del Refah di Necemettin Erbakan alla guida del
governo, prima che la reazione dell’esercito, vero custode della laicità
imposta da Kemal Ataturk, portasse allo scioglimento nel 1998 di questo
partito. Ancora oggi, le due anime, laica e islamica, si contendono la sfera
della formazione religiosa. Parallelamente alla scuola media pubblica esiste,
infatti, un sistema religioso chiamato «imam hatip» la cui vocazione iniziale
era quella di formare predicatori e imam. L’allarme è scattato quando le
autorità turche hanno notato una moltiplicazione senza precedenti di questi istituti
religiosi. Con l’obiettivo di contrastare tale sviluppo, il Parlamento ha
approvato nel 1997 a stretta maggioranza la riforma scolastica che alzava da 5
a 8 anni la scuola d’obbligo da seguire esclusivamente negli istituti pubblici,
scatenando violenti manifestazioni di piazza. «Se chiudete queste scuole —
aveva minacciato un deputato del Refah - il
sangue scorrerà e sarà peggio che in Algeria».
Nonostante le minacce e gli
slogan, centinaia di «imam hatip» sono stati costretti a chiudere i battenti.
Ma non per questo gli islamici demordono e riescono a consolarsi cambiando
obiettivo. «Solo il 39 per cento delle leggi coraniche è applicato in questo
Paese - ha fatto notare un loro leader - e 6500 versetti sono quindi buttati
via». E ancora: «Prima ancora delle scuole coraniche, prima delle moschee e
prima addirittura della preghiera, bisognerà a questo punto islamizzare il
potere. Allah non ti chiederà se hai costruito delle arcate. La domanda che
Allah ti porrà è la seguente: perché, ai tempi del regime empio, non ti sei
adoperato per la costruzione dello Stato islamico? ».