Il Giornale, 13 dicembre 2001

Alberti e Spinelli, il peso della memoria

di Marina Valensise

 A nove mesi dalla nascita aIl’Augustinianum la Fondazione lrina Alberti ha scelto di nuovo l’extraterritorialità per presentare le sue iniziative e premiare Barbara Spinelli come autrice del miglior libro sul Novecento pubblicato quest’anno (Il sonno della memoria, editore Mondadori). A Palazzo della Cancelleria, nella Sala dei Cento Giorni, sotto gli affreschi farnesiani che Giorgio Vasari si vantava d’aver dipinto coi suoi allievi in quei breve lasso di tempo, si è insediata la Commissione per lo studio degli archivi dell’Est Europa che attraverso una stretta collaborazione con le istituzioni russe si propone un riesame sistematico delle fonti per la storia del XX secolo, ed esercitando pressioni sui comuni cercherà di includere nella toponomastica italiana i nomi delle vittime del totalitarismo e dei resistenti. Vittorio Strada, che ne è il presidente, ha rievocato la figura di Irina Ilovajskaja Alberti (1924-2000), animatrice del dissenso sovietico, direttrice d’una importante rivista dell’emigrazione, La Pensée Russe, amica e segretaria di Aleksandr Solgenycin. sostenitrice di Andrej Sacharov, amica e collaboratrice di papa Giovanni Paolo lI che la considerava «una lanterna» e riteneva preziosi i consigli di questa russa ortodossa, convertita al cattolicesimo, animata da fede indefettiblle e lucido pragmatismo, per spianare i rapporti con la Chiesa d’Oriente e pervenire a una riconciliazione tra cristiani. Tant’è vero che a ricordare l’incidenza culturale di Irina è stato Padre Georges Cottier.

Il teologo della Casa Pontificia ha citato la situazione spirituale della Russia dopo il crollo del comunisimo, l’ampiezza della scristianizzazione, la tentazione nazionalistica della Chiesa che dà una coloratura temporale al messianesimo cristiano, nell’attribuire a se stessa una missione politica o a una nazione una missione religiosa, col rischio nei due casi di incorrere in una strumentalizzazione politica. Ministro della fede, colpito dalla leggerezza con cui il mondo intellettuale ha prima appoggiato e poi dimenticato il totalitarismo comunista, padre Cottier ha invitato a prendere coscienza delle profonde ferite lasciate da quel sistema. E ha auspicato non un processo, «che sarebbe malsano e sterile», ma una riflessione fondata sul coraggio e la verità della memoria.

Non poteva darsi giustificazione migliore del premio a Barbara Spinelli per la sua diagnosi della «malattia della mente, che impedisce all’Europa di oggi di apprendere lezioni dal passato». Anche se, dopo Anatoll Krasikov, Sandro Fontana, Paolo Franchi e Pierluigi Battista, è stato Paolo Mieli a darne la motivazione più eloquente, quando ha ricordato difficoltà che impediscono di assimilare il 1989 al 1945, cioè la caduta del comunismo alla sconfitta del nazifascismo, visto che a 12 anni dal crollo del Muro di Berlino ci sono ancora quattro Paesi al mondo, Cina, Cuba, Vietnam, Corea, che persistono nel proclamarsi comunisti, mentre fra le generazioni dei postcomunisti occidentali, quasi nessuno si sente in colpa per aver partecipato da protagonista a un fenomeno deprecabile. Solo quando ciò succederà si potranno fare i conti con la memoria. Nel frattempo, il libro di Barbara Spinelli è carne un lumicino in una stanza buia e serve a tenere accesa la lezione di lrina, la quale, come ha ricordato il presidente della Camera Pierferdinando Canini, era solita dire: «Più dell’infamia dei Gulag, mi indigna la viltà».