Secolo d’Italia
mercoledì 28 novembre 2001
«I dissidenti vengono ancora oggi massacrati nell’indifferenza dei Paesi
democratici»
Si ricorda
quando incontrò Fidel Castro per la prima volta?
Mi ricordo dove, nella sede del Partito Ortodosso di cui lui
era rappresentante, al Pradò, Avana, numero civico 109. Mi ricordo perché lo
incontrai. Fulgencio Batista aveva da poco promosso il suo colpo di Stato, nel
marzo del ‘52, e noi giovani — io e Fidel avevamo entrambi ventisei anni — pretendevamo
il rispetto della Costituzione appena violata. Dovevamo organizzare delle
cellule clandestine. E Fernando Chenard Piña, il mio capo sindacale, mi disse:
«Voglio che tu conosca un avversario della dittatura».
Ma lei che
cosa faceva a Cuba?
Lavoravo nel commercio e mi occupavo di problemi sindacali.
Avevo frequentato non oltre il sesto anno della scuola pubblica e poi subito la
necessità di guadagnare da vivere. Questo facevo, finchè Batista cancellò la
libertà e i comunisti presero le redini del sindacato nel mio settore. Ne
fondai, così, un altro assieme a un gruppo di amici. E mi presentarono Fidel. lo
leader operaio. lui leader studentesco.
Che
impressione le fece?
Magnifica. Sembrava mosso da grandi ideali ed aveva un
parlare convincente. Criticava ogni forma di oppressione. Criticava la Russia,
che s’era fagocitata una parte d’Europa. Era uno pragmatico, preparato,
spiritoso. Non un mungitore di vacche. Ci riunivamo ogni settimana e un precisa
giorno della settimana, non ricordo più se il giovedì o il venerdì. Giravamo
molto per i quartieri per fomentare la rivolta.
Rivolta con le
armi?
Con le armi, certo.
E poi?
Ben presto Fidel tradirà ogni principio. Diceva che la
rivoluzione sarebbe stata verde come le palme. Annunciava che nel giro d’un
paio d’anni sarebbero finalmente arrivato libere elezioni. Ma alla vigilia
dell’attacco della Baia dei Porci, dichiarerà al mondò il suo
marxismo-leninismo. Quarant’anni di regime, da allora.
Prima ci fu
anche il fallito e sanguinoso assalto alla Moncada, nel ‘53, e lei ne prese
parte. Che cosa ricorda?
La Moncada non era una caserma qualsiasi, ma il secondo
«accampamento» militare dell’isola, a oriente. Dovevamo impossessarcene per
indurre la popolazione a ribellarsi, lo ero sulla terza macchina di una specie
di corteo che complessivamente comprendeva un centinaio di persone. Fidel stava
davanti a noi. A guidare la carovana era Pedro Marrero, valorosissimo. Eravamo
tutti travestiti da soldati. Ma i soldati veri non abboccarono. E quando
arrivammo all’alba, chiedendo d’alzare la sbarra di ferro all’ingresso per consentire
al (finto) nostro generale di entrare, suonò l’allarme e cominciarono a
sparare. Fummo scoperti da chi stava facendo il giro di guardia. Anche perché
indossavamo scarpe colorate e assai poco marziali, le uniche che avevamo
trovato per l’impresa...
Nel massacro. Fidel ordinò la ritirata e in diciannove,
appena, riuscimmo a scappare alla rinfusa. Pochi giorni dopo, tolti i feriti,
restammo in otto a vagare per la montuosa «Gran Piedra». Castro voleva che ci
consegnassimo e temeva per la vita del fratello Raùl, catturato nell’ambito della
fallita operazione. In qualche modo lui, Fidel, desiderava mettersi in salvo,
magari in cambio di una nostra consegna. Alla fine, come si sa, fummo
arrestati, processati, condannati e dopo meno di due anni amnistiati. Osservo
che in quarantadue anni Castro non ha mai, al contrario, amnistiato nessuno.
In carcere
sotto Batista, in carcere sotto Fidel: come spiega
la sua odissea?
Ho sacrificato la mia vita perché incastrata da una falsa
accusa di cospirazione contro Castro, costruita a tavolino per togliermi di
mezzo. Ho passato trent’anni in galera, perché pubblicamente denunciavo il
tradimento di Fidel. Ad altri, a migliaia di altri cubani, è andata peggio:
sono finiti al «paredòn», al muro, per difendere la libertà. Non vivo di
rancori e spero solo che un giorno s’intenterà un processo a Castro. Non è possibile
che l’Europa chiuda gli occhi di fronte ai crimini compiuti e talvolta perfino
rivendicati dal suo regime. Mi chiedo perché nessuno intervenga per la
perdurante violazione dei diritti dell’uomo, per le carceri ancora oggi — 27 novembre
del 2001 — piene di detenuti che vengono picchiati e torturati a causa
semplicemente delle loro idee. Almeno ottocento dissidenti, secondo i nostri
calcoli, purtroppo difficili dato il clima di repressione a Cuba, languano in
prigione.
Può fare
qualche nome?
Dovrei farne ottocento. Ma ricordo Oscar Elìas Biscet
Gonzàlez, un medico promotore della lotta non violenta, che paga anche per le
sue idee cattoliche. Dov’è la Chiesa di Roma? Ricordo Vladimiro Roca Antunez,
proprio il figlio di Blàs Roca Calderìo, ideologo del Partito comunista e redattore
della Costituzione del ‘76. Dov’è la sinistra italiana? Ricordo la morte di
detenuti politici come Marcelo Diosdado Amelo Rodrìguez, Dàmaso Aquino del Pino
e Rolando Millares Martìnez.
Dov’è Amnesty
lnternational?
Che cosa può
fare, oggi, il governo italiano?
Intervenire per sollecitare Fidel Castro alla liberazione di tutti i prigionieri politici senza che essi vengano esiliati. Perché è questo l’ultimo e nuovo ricatto castrista:ti metto fuori, se te ne vai dall’isola. E per sempre. Non dovete dimenticare mai che nel mio Paese è più libero un turista italiano di un cittadino cubano, il quale deve chiedere permesso non soltanto per lasciare l’isola, ma pure per rientrarvi.
Trent’anni di
carcere: qual è la prima cosa che le viene In mente, quando ci ripensa?
Mio figlio. sì chiamava Mario come me ed è morto per
un’operazione di adenoide a ventidue anni. Quando è nato ero in prigione, quando
è morto ero ancora in prigione. Non mi lasciarono andare neppure al suo
funerale. Condizionavano il permesso all’obbligo di indossare la divisa blu,
che era quella dei detenuti comuni. Ma io non avevo rubato neanche una gallina.
Ero lì per amore di libertà, perché dicevo pubblicamente che Fidel. cioè l’uomo
assieme al quale avevo più volte rischiato la vita per liberare Cuba da
Batista, aveva tradito vergagnosamente la causa comune. Mario, il mio povero
Mario, non avrebbe mai accettato di vedere suo padre con la divisa azzurra.
Andai sulla sua tomba la notte fra il 16 e 17 luglio del 1991, la prima notte
di libertà «per estinzione della pena». Ma mi consenta di non raccontare che
cosa provai...
Quando l’aveva
visto, suo figlio, l’ultima volta?
Lui è scomparso il 31 ottobre dell’84. L’avevo incontrato il
9 marzo dell’81 per l’ultima volta. Da allora e per sette, lunghissimi anni
abolirono visite e corrispondenza, assistenza medica e ogni genere di contatto
con l’esterno. Noi detenuti politici rifiutavamo il compromesso avvelenato che
ci offrivano: rinunciare alle nostre battaglie ideali, magari scrivendolo a
Fidel, in cambio di un trattamento più umano. E così siamo stati puniti fin
negli affetti più cari.
Quant’era duro
il regime carcerario?
Quant’e duro il regime carcerario: non stiamo parlando del
passato solamente. Ho visto morire decine di detenuti «baionettati» dalle
guardie. Quel che abbiamo passaio a lsla de Pinos, dove in precedenza eravamo
stati rinchiusi pure da Batista, solo Dio lo sa. lo sono vivo. E ho il dovere
di raccontare.
Quali riflessi
può avere su Cuba la caccia americana a Bin Laden?
Non sono un «politico», sono solo un testimone dell’orrore
castrista che cerca di smuovere l’indifferenza dei Paesi democratici nei riguardi
della dittatura nella mia Patria. Osservo, però, con piacere che Putin ha
abbandonato l’ultima base di spionaggio nell’isola, la base di Lourdes. Fidel
l’ha presa malissimo. E poi nonostante l’abilità con cui Castro s’è mosso sulla
vicenda di Bin Laden, gli americani sanno quanto egli abbia fatto per
diffondere il terrorismo non solo in America Latina. La mia Cuba fa purtroppo
parte della cosiddetta «lista nera» di nove Paesi. Le tragiche circostanze
internazionali che stiamo vivendo finiranno per isolare sempre più il regime.
È una notizia
o una speranza?
Malgrado la repressione, abbiamo notizie che chi dissente ha
sempre meno paura dentro l’isola. Magari sono fenomeni spontanei o ingenui —
come quelli, tanti, che si trovano a pregare o ad accendere una candela in casa
di un amico— ma i cubani non potranno essere oppressi per sempre. Se l’Europa,
se l’Italia non gireranno la faccia dall’altra parte.