Il Giornale giovedì 20 settembre 2001

ISLAM E VIOLENZA

NON E UNA GUERRA DI RELIGIONE MA VA COMBATTUTA

 di Antonio Socci

Ma davvero l’Islam è tutt’altra cosa da Bin Laden, come da giorni tutti vanno ripetendo? Davvero è una pacifica religione, mite e liberale? Premetto che condivido totalmente la preoccupazione dei governi occidentali di non criminalizzare i musulmani - sarebbe aberrante - e condivido anche la strategia di coinvolgere i Paesi arabi o islamici nell’azione militare per debellare il terrorismo. È lungimirante isolare le organizzazioni criminali ed è saggio ripetere che non si tratta di una guerra di religione o di uno scontro di civiltà, ma di una grande coalizione internazionale per impedire nuove stragi e nuove destabilizzazioni planetarie.

I nostri governanti hanno una responsabilità politica e devono rispondere della difesa materiale dei loro popoli, del loro benessere e della pace civile. Sarebbero pazzi irresponsabili se in questo momento cercassero nemici anziché alleati nel mondo islamico. Ma la cultura e i giornali hanno il dovere di fornire gli strumenti a un’opinione pubblica che vuoi capire il perché degli eventi. E in sede di analisi storico-culturale affermare che il fondamentalismo non c’entra niente con l’islam, come se fosse una religione pacifica e tollerante, sarebbe un colossale abbaglio o una grave mistificazione.

Il Jihad - nei vari gradi che vanno dalla lotta contro se stessi alla guerra agli infedeli per arrivare alla Umma, allo Stato mondiale musulmano - è infatti dovere primario di tutto l’islam. Basta leggere il Corano: «Vi è imposta la guerra anche se ciò possa spiacervi» (sura lI, versetto 216). «Uccidete gli idolatri dovunque li troviate; catturateli, assediateli, fateli cadere nelle imboscate» (IX, 5). «Ammazzateli dovunque essi si incontrino!» (Il, 191). «Combatteteli fino a che non vi sia più ribellione e che la religione sia quella del Dio» (lI, 193). «Sia che voi andiate incontro alla morte, sia che vi ammazzino, verso il Dio sarà certamente il vostro ritorno» (III, 158). «Non voi li avete trucidati, è il Dio che li ha uccisi» (VIII, 17). «Combattete contro coloro che non credono In Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero hanno dichiarato illecito. Combattete, fra quelli cui lii data la Scrittura (ebrei e cristiani, odi), coloro che non praticano la vera religione. Combatteteli finché non paghino il tributo, uno per uno, e finché non siano umiliati» (1X, 29). «Non tentennate, non cedete, non invocate “Pace, pace!”, mentre siete i più forti» (XLVII, 35). La storia dell’islam è stata la pratica attuazione di questo precetto, entro il quale sono previste anche deroghe e tregue, sia pure provvisorie. «Per quasi mille anni - ha scritto Bernard Lewis - dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam». E Samuel Huntington aggiunge: «l’Islam è l’unica civiltà ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell’Occidente».

Tutto questo non significa ovviamente che oggi ogni musulmano voglia abbattere l’Occidente o che sia un terrorista: bisogna ripeterlo anche per evitare ogni forma di xenofobia che sarebbe odiosa. Del resto l’Islam insegna molte altre cose, non parla solo di Jihad, ha splendide pagine di mistica e di cultura e gli islamici vivono valori umani lodevolissimi, come l’ospitalità o la fraternità. Resta però il fatto che il Jihad e i cosiddetti fondamentalisti sono nell’ortodossia. È un’ottima cosa che comunità e teologi islamici condannino certi massacri, ma il problema è l’ortodossia islamica. Non è necessaria una radicale e storica riforma?

A porre il problema - con grande coraggio - è stato, al tempo delle stragi compiute dal Gia in Algeria, il gran Muffi di Marsiglia: «Denuncio l’ipocrisia dei teologi musulmani che senz’altro denunciano queste pratiche e uccisioni, ma viceversa non mettono in causa la ideologia che le sottende. E ora di finirla con l’ipocrisia. Occorre cogliere l’occasione di desacralizzare il diritto musulmano, soprattutto su certi punti che offrono un pretesto a quei barbari che rivestono le loro azioni criminali di una certa canonizzazione».Il rapporto dell’islam con la violenza - al di là del terrorismo -è anche un grave problema geopolitico. Samuel Huntington, direttore dell’Institute for Strategic Studies della Harvard University, suscitò feroci polemiche quando scrisse su Foreign Affairs che «i confini dell’Islam grondano sangue». Poi, nel suo volume Lo scontro delle civiltà, che è il libro del momento, ha fornito dati anche sugli anni recenti che hanno visto una radicalizzazione dell’islamismo.

Tre differenti studi sugli anni Novanta hanno dimostrato che «i musulmani erano coinvolti più di qualsiasi altra comunità in conflitti con gruppi diversi. La propensione dei musulmani alla conflittualità violenta risalta altresì dal grado di militarizzazione delle civiltà musulmane»

Del resto «gli Stati musulmani hanno anche dimostrato un’alta propensione alla violenza In occasione di crisi internazionali. Tra il 1928 e il 1979 vi hanno fatto ricorso per risolvere 76 crisi su un totale di 142».

Problema analogo si propone per Io stato delle libertà civili nella quasi totalità dei regimi islamici (in particolare per chi professa altre religioni e per le donne). A questo punto che cosa si deve pensare quando lo sceicco Omar Bakri dichiara che «nessun musulmano dubita che l’Italia sarà islamizzata e che la bandiera dell’islam sventolerà su Roma»?

La massiccia immigrazione islamica in Occidente può rappresentare un enorme problema, ma può essere anche la preziosa via per la quale una cultura dei diritti civili e delle libertà può far breccia nei Paesi d’origine. E necessario però che scuola, mondo culturale e media, facciano la loro parte. Anche il coinvolgimento di molti Paesi islamici da parte dell’Occidente nell’attuale coalizione è importante per favorire quell’evoluzione.

L’Occidente ha già vinto, con mezzi pacifici, la cinquantennale guerra contro il comunismo: grazie alla forza contagiosa della libertà e al superiore livello di benessere e di dignità umana che ha saputo garantire alla sua gente. E stata una strada dura, costellata di accordi e di scontri, di dialogo e di fermezza (gli euromissili, paradossalsmente, hanno prodotto quella pace che i pacifisti avrebbero compromesso).

Se i politici avevano il dovere di sfruttare ogni possibilità di dialogo, è stato anche necessario che la cultura e le opinioni pubbliche tenessero sotto pressione polemica l’ideologia e i sistemi marxisti. Altrimenti quella «guerra» avrebbe potuto avere un altro esito. Ma l’Occidente europeo oggi vuole ancora difendere e diffondere la sua cultura liberale? Il problema, come scrive il cardinal Ratzinger, è «quell’odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare patologico». Proprio la multiculturalità - osserva il prelato - impone all’Occidente di «percepire ciò che è grande e puro della propria storia». Gli Stati Uniti in questi giorni stanno dando una lezione all’Europa: il recupero orgoglioso della propria identità va di pari passo con il rispetto e la comprensione per le altre culture. L’Europa intellettuale e spirituale Invece sembra smarrita.