l’Arno Maggio 2001
Il 10 maggio 2001 è entrato
nella vita eterna Mons. Tarcisio Borla, nonostante le sue origini lombarde,
figura nota ed eminente del clero pisano.
La stampa locale ha dato rilievo all’avvenimento ed alle
esequie, che hanno visto la partecipazione della città, nella “sua” chiesa di
San Michele in Borgo.
Per lunghi anni - tra l’altro - docente di storia e filosofia presso l’Istituto Arcivescovile “Santa Caterina”, ha svolto con premura e fedeltà questo servizio, accanto al suo ministero sacerdotale.
Uno dei numerosi ex alunni, assente alla cerimonia funebre,
ha voluto sopperire con questa lettera.
Caro
Professore,
non poteva essere presente nella sua chiesa di
San Michele in Borgo per salutarla insieme alla numerosa popolazione: forse non
mi ha visto, ma sono passato durante la mattina, per pregare quasi solo davanti
ai suoi resti, col Rosario, e con la memoria a quegli incredibili giorni di
vent’anni fa, quando la statua della Madonna di Fatima fu ospitata proprio lì
attirando folla e producendo conversioni. Allora, nella nostra cattedrale, non
ci fu posto per una devozione che, soprattutto in quegli anni, non era vista di
buon occhio dalla cultura cattolica “aggiornata”. Ma tant’è: in fondo, l’Interessata
è abituata, dai tempi di Betlemme, dove non ci fu posto per loro nell’albergo,
a un certo genere di rifiuti che spesso, purtroppo, provengono proprio da chi
avrebbe il compito ed il carisma di farLa conoscere ed amare Ma la memoria è
implacabile finché non ha compiuto tutta
la sua opera. Così, inevitabilmente, mi ha riportato agli anni del liceo.
Anzitutto la sua figura spiccava
- e
non avrebbe potuto essere altrimenti, in quel periodo - insieme a pochissime altre tra i docenti Lei
ben lo sa: erano gli anni, per intenderci, nei quali le memorie del Cardinale
Mindszenty, simbolo della Chiesa perseguitata dal socialcomunismo, circolavano
in ambito cattolico come il “samizdat” circolava nei paesi di là dalla
cortina di ferro. Io la mia copia di quelle
memorie, edite da Rusconi, me l’ero comprata coi libri di testo alla libreria
Goliardica, ma non ne vidi circolare altre nella nostra scuola.
Infuriava
l’aggiornamento in tutti i campi, a cominciare da quello liturgico, nel quale i
chierici facevano a gara per vincere la palma dell’innovatore, dandosi da fare
per manipolare il sacro con il pretesto di avvicinare i fedeli alla Chiesa, col
risultato di allontanare anche non poche delle novantanove pecore della
parabola.
Rappresentanti
del clero pisano, poi destinati a importanti incarichi ecclesiali, avevano
pensato bene di appoggiare pubblicamente la scelta per il divorzio, diventando
“cattolici del no” all’abrogazione della legge Fortuna-Baslini. Stesso copione
sei anni più tardi in materia di aborto, sfidando apertamente
- oltre al buon senso e al diritto naturale -
il magistero di Giovanni Paolo Il. In
campo scolastico, poi, qualcuno aveva pensato che fosse opportuno laicizzare
adeguatamente anche ciò che rimaneva della scuola cattolica. Specialmente la nostra,
portava quel vergognoso segno di arretratezza medievale che era l’essere
annessa ad un seminario, dal quale, del resto, i candidati al sacerdozio
avevano cominciato diligentemente a fuggire. Così Lei, Professore, aveva
lasciato il suo incarico di preside, con grande e palese gioia di qualche
confratello nel sacerdozio e nell’insegnamento che non sopportava
quell’austerità troppo reazionaria. Solo dopo qualche anno ho cominciato ad
apprezzare sempre più il suo ricordo: soprattutto la dignità e impassibilità
col quale Lei portò la croce del disprezzo e della commiserazione degli
“aggiornati”. Sì, perché in fondo, proprio di disprezzo e di commiserazione si
trattava, e li si percepiva chiaramente come frutti di quel clima di scontro
che in quegli anni e nei successivi non ha risparmiato neppure la Chiesa. Non
posso dimenticare che il più benevolo dei suoi confratelli, uomo di cultura e
di preghiera, che si informava sui docenti della scuola che lui stesso mi aveva
esortato a scegliere, ebbe a commentare a suo riguardo, con compassionevole
indulgenza: “E’ ancora un tomista!” Quasi che apprezzare ed insegnare la
dottrina di San Tommaso la equiparasse ad un portatore di handicap.
Soprattutto, spiccava quella fondamentale differenza fra chi - dietro la schiena e sottovoce -
ostentava sprezzante antipatia, e Lei che
non accennava a reazioni opposte. La stessa differenza che risaltò anche
recentemente, quando, additato sulla stampa cittadina quasi come esempio di
retrivo oscurantismo e come nemico dei poveri, portò anche quella croce con la
dignità e la signorilità di chi ha un Maestro ed un Giudice molto più
importante dei chierici politicamente ed ecclesiasticamente corretti. In
quell’occasione avrei voluto scriverle, come pure nel cinquantesimo del suo
sacerdozio. Non l’ho fatto allora, e me ne dolgo, perché il passare degli anni
e il ricordo delle sofferenze interiori insegnano quanto possa essere prezioso
e gradito il conforto e l’incoraggiamento degli altri.
Ora che,
passata la scena di questo mondo, nella vita vera può contemplare quello che il
suo maestro San Tommaso ha descritto in modo insuperabile sulla terra,
interceda per la Chiesa pisana e per la scuola cattolica, perché possano
diventare protagoniste della seconda evangelizzazione. Sicuramente già sta
intercedendo per quelli che l’hanno fatta soffrire, affinché ritrovino
-o piuttosto trovino, perché spesso neppure
lo conoscono-
nel Magistero la Verità
che hanno cercato altrove.
Ma, la prego,
interceda anche per i suoi ex alunni, che, consapevolmente o meno, hanno tratto
vantaggio dal suo esempio