l’Arno Maggio 2001

In memoriam

Mons. Tarcisio Borla (1918-2001)

Il 10 maggio 2001 è entrato nella vita eterna Mons. Tarcisio Borla, nonostante le sue origini lombarde, figura nota ed eminente del clero pisano.

La stampa locale ha dato rilievo all’avvenimento ed alle esequie, che hanno visto la partecipazione della città, nella “sua” chiesa di San Michele in Borgo.

Per lunghi anni - tra l’altro - docente di storia e filosofia presso l’Istituto Arcivescovile “Santa Caterina”, ha svolto con premura e fedeltà questo servizio, accanto al suo ministero sacerdotale.

Uno dei numerosi ex alunni, assente alla cerimonia funebre, ha voluto sopperire con questa lettera.

 

Caro Professore,

 non poteva essere presente nella sua chiesa di San Michele in Borgo per salutarla insieme alla numerosa popolazione: forse non mi ha visto, ma sono passato durante la mattina, per pregare quasi solo davanti ai suoi resti, col Rosario, e con la memoria a quegli incredibili giorni di vent’anni fa, quando la statua della Madonna di Fatima fu ospitata proprio lì attirando folla e producendo conversioni. Allora, nella nostra cattedrale, non ci fu posto per una devozione che, soprattutto in quegli anni, non era vista di buon occhio dalla cultura cattolica “aggiornata”. Ma tant’è: in fondo, l’Interessata è abituata, dai tempi di Betlemme, dove non ci fu posto per loro nell’albergo, a un certo genere di rifiuti che spesso, purtroppo, provengono proprio da chi avrebbe il compito ed il carisma di farLa conoscere ed amare Ma la memoria è implacabile finché  non ha compiuto tutta la sua opera. Così, inevitabilmente, mi ha riportato agli anni del liceo. Anzitutto la sua figura spiccava - e non avrebbe potuto essere altrimenti, in quel periodo - insieme a pochissime altre tra i docenti Lei ben lo sa: erano gli anni, per intenderci, nei quali le memorie del Cardinale Mindszenty, simbolo della Chiesa perseguitata dal socialcomunismo, circolavano in ambito cattolico come il “samizdat” circolava nei paesi di là dalla cortina di ferro. Io la mia copia di quelle memorie, edite da Rusconi, me l’ero comprata coi libri di testo alla libreria Goliardica, ma non ne vidi circolare altre nella nostra scuola.

Infuriava l’aggiornamento in tutti i campi, a cominciare da quello liturgico, nel quale i chierici facevano a gara per vincere la palma dell’innovatore, dandosi da fare per manipolare il sacro con il pretesto di avvicinare i fedeli alla Chiesa, col risultato di allontanare anche non poche delle novantanove pecore della parabola.

Rappresentanti del clero pisano, poi destinati a importanti incarichi ecclesiali, avevano pensato bene di appoggiare pubblicamente la scelta per il divorzio, diventando “cattolici del no” all’abrogazione della legge Fortuna-Baslini. Stesso copione sei anni più tardi in materia di aborto, sfidando apertamente - oltre al buon senso e al diritto naturale - il magistero di Giovanni Paolo Il. In campo scolastico, poi, qualcuno aveva pensato che fosse opportuno laicizzare adeguatamente anche ciò che rimaneva della scuola cattolica. Specialmente la nostra, portava quel vergognoso segno di arretratezza medievale che era l’essere annessa ad un seminario, dal quale, del resto, i candidati al sacerdozio avevano cominciato diligentemente a fuggire. Così Lei, Professore, aveva lasciato il suo incarico di preside, con grande e palese gioia di qualche confratello nel sacerdozio e nell’insegnamento che non sopportava quell’austerità troppo reazionaria. Solo dopo qualche anno ho cominciato ad apprezzare sempre più il suo ricordo: soprattutto la dignità e impassibilità col quale Lei portò la croce del disprezzo e della commiserazione degli “aggiornati”. Sì, perché in fondo, proprio di disprezzo e di commiserazione si trattava, e li si percepiva chiaramente come frutti di quel clima di scontro che in quegli anni e nei successivi non ha risparmiato neppure la Chiesa. Non posso dimenticare che il più benevolo dei suoi confratelli, uomo di cultura e di preghiera, che si informava sui docenti della scuola che lui stesso mi aveva esortato a scegliere, ebbe a commentare a suo riguardo, con compassionevole indulgenza: “E’ ancora un tomista!” Quasi che apprezzare ed insegnare la dottrina di San Tommaso la equiparasse ad un portatore di handicap. Soprattutto, spiccava quella fondamentale differenza fra chi - dietro la schiena e sottovoce - ostentava sprezzante antipatia, e Lei che non accennava a reazioni opposte. La stessa differenza che risaltò anche recentemente, quando, additato sulla stampa cittadina quasi come esempio di retrivo oscurantismo e come nemico dei poveri, portò anche quella croce con la dignità e la signorilità di chi ha un Maestro ed un Giudice molto più importante dei chierici politicamente ed ecclesiasticamente corretti. In quell’occasione avrei voluto scriverle, come pure nel cinquantesimo del suo sacerdozio. Non l’ho fatto allora, e me ne dolgo, perché il passare degli anni e il ricordo delle sofferenze interiori insegnano quanto possa essere prezioso e gradito il conforto e l’incoraggiamento degli altri.

Ora che, passata la scena di questo mondo, nella vita vera può contemplare quello che il suo maestro San Tommaso ha descritto in modo insuperabile sulla terra, interceda per la Chiesa pisana e per la scuola cattolica, perché possano diventare protagoniste della seconda evangelizzazione. Sicuramente già sta intercedendo per quelli che l’hanno fatta soffrire, affinché ritrovino -o piuttosto trovino, perché spesso neppure lo conoscono- nel Magistero la Verità che hanno cercato altrove.

Ma, la prego, interceda anche per i suoi ex alunni, che, consapevolmente o meno, hanno tratto vantaggio dal suo esempio