Avvenire 13 novembre 2001

Il Corano e la rivoluzione. L’Apocalisse di Benladen

 « Un’ideologia criminale che affascina le masse»

Massimo Introvigne, direttore del Centro studi sulle nuove religioni, è l’autore del saggio Osama Bin Laden. Apocalisse sull’Occidente (Elledici, pp. 136, L. 12.600)- in questi giorni in libreria- di cui si anticipa l’intero terzo capitolo. Uno studio sulla nozione di fondamentalismo islamico e terrorismo, che offre-oltre alle notizie biografiche sul fondatore di al-Qaeda - l’analisi sui fondamenti culturali del millenarismo rivoluzionario di Os­ama Benladen e della sua interpretazione radicale del Corano. Nel testo si rispettano le traslitterazioni dell’autore, anche se queste non coincidono con quelle adottate da Avvenire.

di MASSIMO INTROVIGNE

 

Non vi è male più grande che a New York e per questa ragione la sua porzione di punizione sarà più grande». Non si tratta di un testo di Osama bin Laden e neppure di Nostradamus, ma di Bashir Muhammad ‘Abdallah. autore di testi di apocalittica popolare islamica. ignoti all’islamologia colta, ma molto venduti in Egitto: la citazione è dal suo Zilzal al-ard al-’azim, pubblicato al Cairo nel 1994. In uno scritto circolato in una lista privata via Internet, quindi pubblicato come editoriale sul quotidiano New Orleans Times-Picayune, la professoressa Catherine Wessinger della Lovola Universjty inquadra il movimento di Osama bin Laden nella categoria del «millenarismo rivoluzionario»: quel millenarismo, cioè, che non si limita a speculare su avvenimenti apocalittici ma usa la violenza per sovvertire il presente ordine di cose e realizzai-ne uno nuovo e finale. Come accennato, nell’islam i riferimenti apocalittici —che non mancano — raramente (almeno fino a tempi recenti) sono stati applicati alla lettura di eventi del presente e a profezie concrete e «politiche» per il futuro. Ma tutto questo è avvenuto finché l’apocalittica islamica è rimasta monopolio dei «dotti», mentre il populismo fondamentalista ne ha aperto l’interpretazione ai «semplici».

 

Una teoria non autentica

In che senso la categoria di millenarismo rivoluzionario aiuta a capire Osama bin Laden e la sua capacità d’influenzare e reclutare un congruo numero di persone? Per rispondere a questa domanda, occorre riflettere su una distinzione ovvia quando la si applica al mondo cristiano, ma che sembra meno evidente nei dibattiti di questi giorni sull’islam. Le dottrine millenaristiche in genere possono essere valutate su due piani: uno strettamente teologico e uno sociologico. Questi due piani non coincidono.

Tutto questo è vero anche per la letteratura millenaristica islamica (romanzi e scenari per il futuro) che è diventata popolare a partire dalla guerra dei Sei Giorni del 1967. Dal punto di vista teologico, è facile per uino studioso occidentale dell’islam (posto che la legga e se ne occupi, il che normalmente non accade) affermare che non rappresenta l’autentica apocalittica islamica; l’idea è condivisa da autorità islamiche come quelle dell’università al-Azhar del Cairo, che hanno ripetutamente messo in guardia contro questa letteratura, non tanto per il suo estremismo quanto perché incorpora ai suo interno temi che derivano dal millenarismo cristiano del protestantesimo fondamentalista. Dal punto di vista sociologico, proprio le opere degli autori più criticati come Sa’id Ayyub, Muhammad Da’ud e il citato Bashir Muhammad ‘Abdallah sono continuamente ristampate e godono di grande popolarità in tutto il mondo sunnita. David Cook, dell’università di Chicago - il maggior studioso di questo genere di letteratura popolare — ne vede il significato ultimo nell’aver sottratto temi come quelli dell’Anticristo (Dajjal) e dei tempi ultimi al secolare monopolio delle élite colte, trasformandoli in carne e sangue per le masse.

L’analisi di Cook dei contenuti e della popolarità di questi prodotti è inquietante. I due temi che emergono sono quelli dell’Anticristo e della sua sconfitta da parte del Mahadi. Per identificare l’Anticristo — che è già fra noi — il millenarismo popolare non fa appello solo alle fonti islamiche, ma alla letteratura fondamentalista protestante, alla propaganda antisemita occidentale e perfino all’esoterismo di quart’ordine con riferimenti più o meno pertinenti a Nostradamus, agli Ufo e al triangolo delle Bermude. L’avvento dell’Anticristo è il risultato di uncomplotto ebraico, che ha come principale strumento gli Stati Uniti (cui sono riferite diverse profezie tradizionali) che finisce per allearsi — in nome della comune avversione all’islam — anche con i «crociati» cristiani e in particolare con il «Vaticano>,.

Per esempio nell’opera al-Mahdial-muntazar’ala al-abwab di Muhammad Da’ud (1997) leggiamo che, quando l’islam inizia il suo grande risveglio militare, il «Vaticano», d’intesa con il «governo italiano», invia sabotatori in terra islamica per distruggerne le infrastrutture. Quando le spie sono scoperte e si pentono, il «governo italiano» si vendica uccidendo i familiari dei pentiti. Lo scenario è, evidentemente, farneticante: ma non rassicura leggere, dopo New York (di cui si parla, in effetti, molto spesso), frequenti riferimenti a Roma come obiettivo della collera islamica.

L’Anticristo è sconfitto dal Mahadi, il messia dei tempi ultimi, che unificai diversi Stati islamici (in molti casi, uccidendone i dirigenti che sono agenti dei «crociati» occidentali e degli ebrei — i quali controllerebbero la massoneria, e molti dirigenti arabi sarebbero massoni —, quando non ebrei sotto mentite spoglie) e distrugge i nemici dell’islam. In questa prospettiva, il Mahdi è nello stesso tempo il nuovo califfo. In uno dei testi più influenti di questa corrente, al-Masih al Dajjal di Sa’id Ayyub (1987), alla fine delle sue conquiste «i canti di battaglia risuonano a Roma». Quando si legge dell’idea di Osama bin Laden o del mullah talebano Omar di proporsi come «califfi» unificatori di tutto il mondo islamico, si pensa subito a un tipo di pretesa che appare evidentemente assurda sul piano della politica secolare. Ma la pretesa ha un senso se riferita alle prospettive del millenarismo popolare sul Mahdi, i cui successi non sono prevedibili sul terreno squisitamente militare e politico in quanto sono di origine soprannaturale e miracolosa. David Cook mostra come — nonostante la disapprovazione ufficiale — questa letteratura millenarista abbia un notevole successo nelle masse arabe, e abbia costretto i suoi critici a prenderla in qualche modo in considerazione, non solo attraverso le condanne dei «conservatori» (legati in genere all’università al-Azhar, dove peraltro alcuni degli autori apocalittici hanno studiato), ma anche con la nascita di una scuola di «neo-conservatori» che trattano gli stessi temi ma vorrebbero farlo in un modo rigorosamente islamico, senza utilizzare fonti protestanti o esoteriche occidentali. Naturalmente, altro è scrivere scenari di fantapolitica religiosa più o meno romanzati, altro è organizzare attentati. Tuttavia, la popolarità di questa letteratura millenarista che - a differenza della stragrande maggioranza di quella fondamentalista protestante — è intrinsecamente violenta, aiuta a capire alcuni riferimenti di bin Laden altrimenti incomprensibili, e contribuisce alla creazione di un clima in cui la prospettiva terroristica può trovare simpatizzanti e seguaci.

 

Una lunga tradizione

Sarebbe peraltro sbagliato ritenere che il millenarismo di bin Laden cammini esclusivamente appoggiandosi sulla letteratura apocalittica «popolare». La seconda gamba del suo millenarismo rivoluzionario è costituita da un’interpretazione del Corano che — pur criticata dalle autorità religiose più ostili al radicalismo e considerata filologicamente scorretta da studiosi occidentali- ha una lunga tradizione «colta», e non solo popolare. Rosalind Gwynne, dell’università del Tennesee, autrice di un pregevole studio sull’uso del Corano nella letteratura prodotta da bin Laden e al-Qaeda, sottolinea come vi siano frequenti riferimenti a Taqi al-Din Idn Taymiyyah (1262-1328), un giurista di scuola hanbalita morto in carcere a causa delle sue idee estremiste e considerato autorevole in Arabia Saudita. Una tecnica non espressamente richiamata dabin Laden, ma usata dai suoi maestri come MuhammadAbd al-Salarn Farai (1954-1982), giustiziato nel 1982 come ispiratore dell’assassinio del presidente egiziano Sadat, consiste nel dare rilievo alla nozione di versetti «abrogati» e «abroganti».

Si tratta di una nozione non unanimemente accolta dagli esegeti, ma che ha una lunga tradizione. Questa è una delle strategie interpretative che permettono di togliere vigore ai passaggi coranici che sembrerebbero condannare l’uccisione di civili, donne e bambini compresi. Un’altra consiste nel sostenere che i pilastri della fede sono sei (mentre per altri sono cinque), e comprendono il jihad: che essi vanno disposti in ordine gerarchico e che il jihad viene subito dopo la professione di fede, così che le esigenze del jihad, in caso di contrasto, prevalgono su altre esigenze religiose o morali. Quanto al significato della parola jihad, è certamente vero che non si restringe alla «guerra santa» nel senso militare del termine, comprendendo ogni forma di «sforzo» morale, culturale e religioso: ma non è meno vero che nei manifesti di bin Laden il contesto —dove i rimandi più frequenti sono a Corano 9,5, il cosiddetto “versetto della spada”: «(...) uccidete questi associatori (cioè coloro che “associano” al Dio unico altri dèi) ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati» — è quello di combattimenti tutt’altro che metaforici. Fra l’altro, secondo Farai, il «versetto della spada» ha efficacia abrogante rispetto a un buon numero di altri brani coranici, che sarebbero stati rivelati precedentemente e che sembrano favorire la coesistenza pacifica con gli infedeli.

 

La «fatwa» contro gli Usa

A chi obietta che il Corano permette solo la guerra difensiva, bin Laden risponde che vi sono state non una ma ben tre aggressioni gravi (la presenza di truppe occidentali sul sacro suolo dell’Albania, le sanzioni all’Iraq e il supporto a Israele) per cui la guerra contro gli Stati Uniti è oggi sempre e per definizione difensiva, con la conseguenza di rendere la «guerra santa» «dovere individuale» di ogni musulmano (da compiere peraltro non necessariamente in forma militare), e non solo «dovere collettivo» che potrebbe essere compiuto da alcuni a nome di tutti. In terzo luogo, sulla scia di Ibn Taymiyyah, bin Laden interpreta i riferimenti agli «associatori» e «miscredenti» (contro altri interpreti) includendovi anche i «popoli del Libro» (cristiani ed ebrei) — almeno quelli che non accettano esplicitamente lo stato di dhimmi, ponendosi sotto la protezione dell’islam e riconoscendone l’egemonia —e perfino i cattivi musulmani, per esempio gli attuali governatori dell’Arabia Saudita.

Da ultimo bin Laden dà importanza all’inizio del Corano 2,191 («Uccideteli ovunque li incontriate (..)» e a Corano 2,193 («Combatteteli finché non ci sia più persecuzione, e il culto sia (reso solo) ad Allah»), ricollegandosi a una lunga tradizione rigorista secondo cui la miscredenza stessa è un atto di aggressione e giustifica la più dura reazione militare. Certamente occorre uno sforzo per interpretare sistematicamente le fonti nel modo più rigorista possibile per arrivare, nella fatwa del 23 febbraio 1998, a concludere che «uccidere gli americani e i loro alleati — civili e militari — In questi tempi apocalittici è un «dovere individuale per ogni musulmano, e può farlo in ogni Paese in cui gli sia possibile farlo». Talora bin Laden procede «tagliando» dalla citazione la seconda parte di un versetto coranico che attenua e qualifica la prima, occasionalmente violando le regole che indicano precisamente quando una pausa all’interno di un versetto è permessa, consigliata o vietata. La fatwa del 1998, peraltro, è sottoscritta non solo da bin Laden, ma anche da dirigenti che — diversamente da lui — possono vantare qualche credenziale come studiosi del Corano.

Il millenarismo rivoluzionario di bin Laden, così, conferma di essere un’interpretazione delle fonti tradizionali islamiche discutiblle dal punto di vista filologico e che, a diversi snodi interpretativi, deve compiere scelte minoritarie fra gli stessi autori classici che il fondatore di al-Qaeda cita. Si ricollega, tuttavia, a una corrente la cui importanza è tutt’altro che irrilevante negli stessi ambienti colti, e che oggi può esercitare un certo fascino fra le masse islamiche grazie anche al lavoro di semina svolto da una letteratura popolare che ruota intorno al tema dell’Anticristo. Si tratta, certamente, di un’ideologia pericolosa e criminale: liquidarla come semplicemente ridicola o come «totalmente estranea» al mondo islamico significa però non capire le ragioni profonde della sua influenza e del suo (relativo) successo, che la categoria di «millenarismo rivoluzionario» può invece aiutare a mettere a fuoco più esattamente.