La Nazione sabato 10 novembre
2001
SARTORI/ Immigrazione e ideologia
islamica
di
Lorenzo Bianchi
A suo avviso quale il problema più grave posto
dall’immigrazione di fede islamica?
«L’ho scritto più volte. Il musulmano è un tipo di immigrato che è culturalmente agli antipodi della nostra cultura. Viene da una cultura e da una civiltà teocratica che non separa fra chiesa e stato, fra vita religiosa e vita civile, fra Dio e Cesare. Sono i più lontani da noi. Ci sono anche altre civiltà ugualmente molto distanti. Penso a quella indiana, a quella cinese o a quella giapponese. Ma lo sono meno, rispetto all’Islam. Il buddismo è una religione contemplativa. non corale e invasiva. Un buddista in Italia medita in casa sua, nessuno se ne accorge. Non parliamo poi dello scintoismo e del confucianesimo, che sono più che altro filosofie di saggezza. Queste sono dunque civiltà lontane, ma compatibili. L’indiano si aggiusta perfettamente a vivere in America; la metà di chi lavora a Silycon ValIey è di indiani. Indiani, coreani, giapponesi sono in senso politico perfettamente integrabili. Il musulmano non lo è perché non è articolato, perché è un monoblocco inscindibile di tutte le caratteristiche che le altre civiltà sanno disarticolare. Non accetta la separazione laica e occidentale della vita. Dico dunque che dobbiamo conoscere chi prendiamo in casa e che l’islamico è il tipo di persona più difficile da integrare».
Il cardinale di Bologna Giacomo Biffi chiede che nelle quote di immigrazione ci siano più cattolici. E’ d’accordo?
«Capisco la sua
logica. Nella sua ottica mi pare logico che un cardinale cattolico dica questo.
Non posso sposarla perché sono un laico, e quindi osservo semplicemente che
l’immigrato di religione cristiana non pone i problemi di assimilazione o di
integrazione che pone l’immigrato musulmano. Questo è un dato di fatto. Non
posso ricavarne la conseguenza che ne trae il cardinale Biffi, ma da questo non
ricavo che abbia torto».
Le varie sigle della comunità musulmana chiedono un’intesa con lo stato italiano sulla base di una piattaforma che sollecita il riconoscimento di numerosi diritti. Che ne pensa?
«Le richieste
non negoziabili sono le richieste che violano i principi dell’ordinamento
giuridico dello stato ospitante. Altrimenti è questione di opportunità. Negli
Usa vengono riconosciute le feste ebraiche perché c’è un forte insediamento di
ebrei influenti. In altri paesi no. Si tratta di vedere nel merito e anche nei
riflessi. Il diritto alla vacanza va sicuramente limitato, sennò ognuno ha
diritto alle proprie e saremmo tutto il tempo in festa o danneggiati da feste
altrui. Il cibo? Se si può fare si fa, se non è possibile, se lo portino da casa,
ma non è che una società si debba mettere al servizio dei suoi immigrati!
Invece le richieste non negoziabili non dovrebbero essere accettate in linea di
principio».
Si è molto parlato della possibilità di portare il velo a scuola. La Francia l’ha vietato nel 1994. Qui da noi i ministri Berlinguer e De Mauro hanno detto che per loro non è un problema. E’ stata citata anche l’uguaglianza di tutti i cittadini garantita dalla Costituzione.
«Allora tutti
possono andare nudi. Noi abbiamo sempre fatto la politica ipocrita di non
affrontare i problemi. Io posso convenire che questo è un caso irrilevante per
il quale non vale la pena di fare una battaglia. In Francia è stata un sorta di
sfida. In tal caso è giusto che lo
stato la affronti. Ma i problemi veri sono la moschea e la scuola. Tutte le
integrazioni avvengono in genere con la seconda generazione. ossia quando il
figlio dell’immigrato va a scuola. L’agente di socializzazione è la scuola
nazionale. Pertanto se tu consenti la scuola islamica, allora tutto questo
processo integrativo è perduto. Abbiamo il potente esempio di Israele, dove gli
ultraortodossi hanno ottenuto la loro scuola e sono così diventati una società
perfettamente isolata, una monade chiusa. Ma se diciamo che vogliamo la scuola
privata, come possiamo negare la scuola privata islamica? Stiamo attenti.
Queste scuole chi le finanzia? L’Arabia. Saudita che, pur di comprarsi la pace
a casa ha esportato per venti anni il radicalismo fondamentalista all’estero».
E le moschee?
«Sono centri
di culto, ma anche di propaganda e di mobilitazione politica. Anche il
personale delle moschee è oggi pagato dall’Arabia Saudita e riceve ogni
settimana la velina delle arringhe. Ora stanno tranquilli, perché hanno paura
di esporsi. Ma fino all’11 settembre il grosso della predicazione era in favore
di Bin Laden. Basterebbe andar lì con il registratore. La grossa partita, in
Occidente, sarà il controllo di chi controlla le moschee e le scuole. E non
facciamo finta di credere che le moschee siano chiese come le nostre dove si
cantano soltanto inni al Signore! Le moschee sono l’equivalente dei nostri
centri politico- sociali».