Il Sole 24 Ore domenica 9
dicembre 2001
CHIMICA
di
Gianni Fochi
Per esempio, anni fa una pandemia di colera trovò impreparato
il Perù. che non seguiva gl’inviti dell’ente mondiale della sanità (Who) alla clorazione dell’acqua potabile: un po’ per
difficoltà finanziarie croniche, un po’ per il timore d’un aumentato rischio di
cancro, suscitato da studi in cui animali da laboratorio erano stati sottoposti
a dosi largamente superiori a quelle realistiche. Quegli studi, molto
strombazzati da Greenpeace, suggerivano che negli
Stati Uniti settecento casi di cancro all’anno potessero derivare dalla
clorazione dell’acqua. Ebbene: nel solo Perù dal 1991 al 1996 il colera, senza
disinfettanti clorurati nell’acqua, colpì oltre ottocentomila persone e ne
uccise più di seimila. Quanto alla serietà della suddetta paura di tumori
maligni, in quegli anni proprio la Larc (agenzia
internazionale per la ricerca sul cancro) raccomandava la clorazione degli
acquedotti.
Saltando all’attualità, apprendiamo che gli Stati Uniti
hanno usato soluzioni d’ipoclorito di sodio (analoghe alla varichina
e anche all’ Amuchina che si vende in Italia) per eliminare
le spore del Bacillus anthracis,
agente del carbonchio, dalle superfici dove si sospettava che i terroristi le
avessero sparse. L’Epa (Environmental Protection Agency), che s’occupa
della difesa dell’ambiente, ha suggerito l’uso del gas biossido di cloro per
bonificare uffici pubblici contaminati.
Ecco dunque più viva che mai una classe di sostanze chimiche
sfruttate fin dal 1774, quando lo svedese Carl Wilhelm Schede notò le proprietà sbiancanti del gas cloro,
da lui stesso scoperto; egli fece fare un salto enorme ai candeggio dei
tessuti, affidato sino allora alla luce solare, piuttosto rara e debole dalle
sue parti. Nell’ultimo decennio del Settecento si diffuse l’impiego di
soluzioni acquose di cloro o d’ipocloriti; questi ultimi furono scoperti dal
savoiardo Claude-Louis Berthollet,
che aveva fatto i suoi studi a Torino e poi s’era trasferito in Francia. Lì si
diffusero come eau de Javel,
dal luogo di produzione.
Il termine varichina o varechina è
imparentato con l’inglese wreck, relitto:
viene infatti da varècchi, alghe marine raccolte
sulla battigia; bruciate, esse davano ceneri ricche di soda caustica, una delle
materie prime per la produzione d’ipoclorito. Le proprietà battericide di
quest’ultimo furono scoperte nel 1881 dal noto microbiologo tedesco Roben Koch, mentre già
cinquant’anni prima un altro tedesco, il chimico Friedlieb
Ferdinand Runge aveva
introdotto con successo il cloro come disinfettante nel corso di un’epidemia di
colera. Rinunciare al cloro e ai suoi derivati significherebbe un regresso di centosettant’anni in fatto d’igiene.