Il testo del discorso del presidente degli
Stati Uniti pronunciato all’Università di Varsavia venerdì 15 giugno
Il Foglio, 20-06-01
E’ per me un grande onore visitare
questa importante città (...). Oggi sono qui, nel centro dell’Europa, per
parlare del futuro europeo. Alcuni chiamano ancora queste zone “l’Est”, ma
Varsavia è più vicina all’Irlanda che agli Urali. Ed è giunto il momento di
smettere di distinguere tra Est e Ovest. Yalta non ha ratificato una
spartizione naturale, ma ha separato una civiltà esistente. La divisione
dell’Europa non è stata una questione di geografia, ma un atto di violenza.
(...) Nello stesso discorso che descriveva una “cortina di ferro”, Winston
Churchill richiedeva una “nuova unità in Europa, dalla quale nessuna nazione
doveva essere esclusa in modo permanente”. (...) Uomini e donne hanno sognato
quella che mio padre definiva un’Europa unita e libera”. Questa Europa libera
non è più un sogno, è l’Europa che sta nascendo intorno a noi, è l’opera che,
insieme, siamo chiamati a completare. Possiamo costruire un’Europa aperta,
un’Europa senza Hitler e Stalin, senza Breznev, Honecker e Ceausescu e, sì, senza
Milosevic.
Il nostro obiettivo è
quello di cancellare le false frontiere che hanno diviso l’Europa per troppo
tempo. (...) L’Europa deve accogliere ogni nazione europea in lotta per la democrazia
e i liberi mercati e per una forte cultura civica. Tutte le nuove democrazie
europee, dal Baltico al Mar Nero, dovrebbero avere le stesse opportunità di
sicurezza e libertà — e le stesse possibilità di unirsi alle istituzioni
dell’Europa—delle vecchie democrazie europee. Credo che alla Nato debbano
partecipare tutte le democrazie europee che lo desiderano e sono disposte a
condividerne le responsabilità. La Nato può ancora discutere sul momento in cui
concedere tale partecipazione, ma non dovrebbe metterne in questione la
possibilità. Nel piano di ampliamento della Nato, nessuna nazione dovrebbe
essere utilizzata come pedina per i piani di altre. Non ci saranno più Monaco.
Non ci saranno più Yalta. (...) L’anno prossimo, i leader della Nato
s’incontreranno a Praga. Gli Stati Uniti saranno pronti a prendere concrete
decisioni storiche con i propri alleati per promuovere l’ampliamento della
Nato. (...) L’espansione della Nato rappresenta il mantenimento di una
promessa. E ora quella promessa porta a Est e a Sud, a Nord e avanti.
(...) La partecipazione alla Nato e all’unione europea non sono in
conflitto. La mia nazione approva il consolidamento dell’unità europea e la
stabilità che esso apporta. Accettiamo un maggior ruolo per l’Ue nella
sicurezza europea, propriamente integrato con la Nato. (...) Gli impegni
principali della Nato e dell’Ue sono simili: democrazia, apertura dei mercati
e sicurezza comune. E tutti, in Europa e in America, comprendono la lezione
fondamentale del secolo scorso. Quando l’Europa e l’America sono divise, la
storia tende alla tragedia. Quando l’Europa e l’America sono alleate, formano
un fronte compatto contro agitazioni e tirannia. La nostra visione dell’Europa
deve includere anche i Balcani. (...) Molte popolazioni e leader
dell’Europa sudorientale hanno fatto scelte sbagliate nell’ultimo decennio.
(...) E’ stato necessario un duplice intervento militare della Nato per
arrestare i massacri e difendere i valori che definiscono una nuova Europa.
Oggi, l’instabilità permane (...). Noi condanniamo chi, come i sostenitori della
violenza in Macedonia, cerca di sovvertire la democrazia. Ma abbiamo fatto
progressi. (...) Per la prima volta nella storia, tutti i governi della regione
sono democratici (...), In tutta la regione, le nazioni desiderano far parte
dell’Europa. Ovviamente, gli svantaggi - e i vantaggi - legati alla
soddisfazione di questo desiderio ricadranno pesantemente sull’Europa. E’
questo il motivo per cui approvo l’impegno europeo a svolgere un ruolo leader
nella stabilizzazione degli Stati del Sud-est. Già oltre l’80 per cento delle
forze Nato presentì nella regione è rappresentato da nazioni che non fanno
parte degli Stati Uniti. Ma sono cosciente dell’importanza del ruolo svolto
dall’America e rispetteremo i nostri impegni. Siamo entrati nei Balcani insieme
e ne usciremo insieme. E il nostro obiettivo deve essere quello di anticipare
quanto più possibile quel giorno.
L’Europa che stiamo costruendo deve includere
l’ucraina (...). L’Europa che stiamo costruendo deve essere aperta anche alla
Russia. (...) Attendiamo impazienti il giorno in cui la Russia sarà interamente
riformata, pienamente democratica e strettamente legata al resto dell’Europa.
Le grandi istituzioni europee — la Nato e l’Ue — possono e devono costruire
alleanze con la Russia (...). Domani (sabato 16 giugno, ndr) incontrerò il presidente Putin e gli esprimerò le mie speranze in una Russia che sia davvero grande,
una grandezza determinata dalla forza della sua democrazia, dal giusto
trattamento delle minoranze e dalle conquiste del suo popolo. Dirò al
presidente Putin che la Russia fa parte dell’Europa e, quindi, non è
necessaria una zona cuscinetto di Stati insicuri che la separi dall’Europa.
Pur espandendosi, la Nato non è nemica della Russia. (...) L’America non
è nemica della Russia. Cercheremo d’instaurare con la Russia un rapporto
costruttivo, (...) Dimostrerò che la nostra sicurezza reciproca deve fondarsi
su criteri non più orientati alle dottrine della Guerra fredda. Oggi dobbiamo
affrontare le crescenti minacce di armi di distruzione di massa e missili
nelle mani di Stati per i quali il terrore e il ricatto sono uno stile di vita.
Dobbiamo adottare un’ampia strategia di non proliferazione attiva,
controproliferazione e un nuovo concetto di deterrenza che includa difese sufficienti
a proteggere il nostro popolo, le nostre forze e i nostri alleati, oltre che
fare minore affidamento sulle armi nucleari. Spiegherò al presidente Putin
che la via verso una prosperità e una sicurezza maggiori passa attraverso una
più ampia libertà. Il XX secolo ci ha insegnato che solo con la libertà si ottiene
il massimo impegno dì ogni cittadino - libertà di parola, di culto, dì
organizzazione personale — senza timore d’intimidazione e con la totale
protezione della legge. (...) Questa è la vera radice dell’unità
europea. Non si tratta solo dell’unità di mercati o di interessi:
si tratta di valori comuni. (...)
L’Europa è giunta a
credere nella dignità di ogni individuo: nella libertà sociale, temperata da
riserbo morale; nella libertà economica, bilanciata da valori umani. Papa Giovanni
Paolo lI ha affermato: “Le rivoluzioni del 1989 sono state rese possibili
dall’impegno di uomini e dorme di coraggio, ispirati da una visione diversa e,
in definitiva, più profonda e potente: la visione dell’uomo come creatura in
possesso dì intelligenza e libero arbitrio, immersa in un mistero che trascende
il proprio essere e dotata della capacità di riflettere e scegliere — e, così,
predisposta alla saggezza e alla virtù”. Questa fiducia ha sfidato il
comunismo con successo e sfida il materialismo (...). L’ideale europeo è in
contrasto con una vita dettata dal lucro, dall’avidità e dal solo perseguimento
dell’interesse personale. Esso richiede considerazione e rispetto,
compassione e perdono: caratteristiche da cui dipende l’esercizio della
libertà. Tutti questi diritti e doveri hanno origine da una fonte di legge e
giustizia superiore alle nostre volontà e alla nostra politica:
un autore della
nostra dignità, che ci chiede di agire in accordo con essa. Questa fiducia è
più di una memoria, è una fede viva. Ed è il motivo principale per cui l’Europa
e l’America non saranno mai divise. Siamo prodotti della stessa storia (...):
condividiamo una civiltà, i cui valori sono universali (...). Sottomarini,
posti di controllo e filo spinato non sono riusciti a troncare questi legami
transatlantici. Nemmeno gli SS-20 e il ricatto nucleare hanno avuto successo.
Sicuramente non verranno ostacolati da dispute commerciali o politiche.
L’America non lo permetterà. (...)
Questa unità di valori e aspirazioni ci impone nuovi compiti. Chi ha tratto maggiori benefici e prosperità dall’impegno per la causa della libertà ha il dovere di aiutare chi lotta per trovare la propria strada. (...) La nostra comunità transatlantica deve avere priorità che non contemplino solo il consolidamento della pace europea. Dobbiamo portare pace e salute all’Africa (...). Dobbiamo operare per un mondo che commerci in libertà, in cui la prosperità sia alla portata di tutti grazie al potere dei mercati, in cui il libero scambio stimoli il processo delle riforme (...), un mondo di collaborazione per intensificare il benessere, proteggere l’ambiente ed elevare la qualità della vita (...). In Europa siete più vicini a queste sfide di quanto non lo siano gli Stati Uniti: vedete il lampo molto prima che il tuono ci raggiunga. Tuttavia, soltanto insieme potremo affrontare i pericoli emergenti di un mondo in trasformazione. Cinquant’anni fa, tutta l’Europa chiedeva aiuto agli Stati Uniti. (...) Ora, noi e gli altri possiamo solo progredire insieme. Il problema non è più che cosa possono fare gli altri per la Polonia, ma cosa l’America, la Polonia e l’intera Europa possono fare per il resto del mondo. Nei primi anni 40, Winston Churchill, (...) immaginava un progetto di dimensioni più vaste: “ ... Verrà il giorno in cui le campane risuoneranno gioiose in tutta Europa e le nazioni vittoriose, padrone non solo dei propri avversari, ma anche di se stesse. pianificheranno e costruiranno, nella giustizia, nella tradizione e nella libertà, una casa di molte dimore, in cui ci sarà spazio per tutti”. Ai suoi contemporanei, che vivevano in un’Europa di divisioni e violenze, quest’idea doveva sembrare inconcepibile. Ma i nostri padri — nostri e vostri — hanno lottato e si sono sacrificati per concretizzare questa visione, che ora è a portata dì mano. Oggi, una nuova generazione assume un nuovo impegno: un’Europa e un’America legate da una grande alleanza di libertà, la maggiore forza unita della storia a favore della pace, del progresso e della dignità umana. Le campane della vittoria hanno suonato. La cortina di ferro non esiste più.
Ora progettiamo e costruiamo la casa
della libertà, le cui porte sono aperte a tutti i popoli europei e le cui
finestre sono rivolte alle sfide globali. Il nostro progresso è notevole, i
nostri obiettivi sono vasti e le nostre differenze, in confronto, sono ridotte.
E l’America, sia nei momenti di calma sia nelle difficoltà onorerà questa
visione e i valori che condividiamo. La Polonia rappresenta un simbolo di
rinnovamento (...). Più di mezzo secolo fa, da questo luogo era possibile
vedere solo un deserto di rovine. Non lontano da qui si nota l’unico monumento
sopravvissuto. E’ immagine di Cristo che cade sotto il peso della croce e cerca
faticosamente dì rialzarsi. Sotto sono riportate le seguenti parole: “Sursum
corda”. “In alto i vostri cuori”, (...) In alto i vostri cuori è la storia
della Polonia, In alto i vostri cuori è la storia della nuova Europa, Coltiviamo
insieme questa speranza di libertà per tutti coloro che la cercano nel nostro
mondo. Che Dio vi benedica.
Maria Giovanna Maglie
Il Foglio, 20-06-01
Il discorso
di Varsavia, 25 minuti, più lungo del solito e il più importante finora pronunciato
da George Bush, è stato preparato per tre mesi, coordinato personalmente in
tutti i suoi passi da Condoleezza Rice, consigliere per la Sicurezza
nazionale. Bush non ha modificato il testo finale consegnatogli, confermando la
scelta di attenersi scrupolosamente allo script, al contrario di quanto faceva Bill Clinton, terrore degli speechwriters perché rivedeva tutto
personalmente, soprattutto pretendeva di cambiare anche le parti politicamente
più delicate.
Bush si è limitato a ricordare dall’inizio quel che sempre vale per un presidente americano, anche quando il suo mandato è agli inizi: il consenso in patria. Importanti Stati del Midwest, popolati densamente di cattolici e di polacchi, sono swing states, nei quali le elezioni sì decidono di volta in volta. La frase “siamo prodotto della stessa storia, condividiamo ben più di un’alleanza, condividiamo una civiltà”, è stata dal presidente espressamente richiesta. Così come l’accenno al padre, che nel 1989 sostenne la transizione democratica della Polonia. Il resto del discorso è stato preparato pensando alla Russia di Putin alla quale deve esser chiaro che gli Stati Uniti sono pronti a condividere la propria visione del mondo ma non a modificarla o a fermarsi; agli alleati europei, nel tentativo di trovare formule di compromesso ma anche per ribadire senza ambiguìtà la posizione di Washington su riscaldamento dell’atmosfera e sistema di difesa missilistica. Doveva essere un discorso fermo ma dolce, dai toni alti perché pronunciato nella sede di un’Università, di fronte a diplomatici, politici, professori e studenti. E doveva schiacciare metaforicamente le malelingue che raccontano di un presidente ignorante. che legge giornali locali e sportivi, che si affida completamente agli adviser. Quando Bush ha finito di parlare, Condi Rice aveva gli occhi pieni di lacrime, non solo per i ricordi della Polonia comunista, non solo perché la bandiera polacca sventolava accanto a quella Nato, ma anche perché il suo presidente aveva fatto una gran bella figura. Alla stesura finale del discorso ha partecipato un gruppo di esperti che vengono dall’Università di Stanford, di cui la Rice fu rettore. Ma le linee del discorso portano almeno altre tre grandi firme collettive: la Kissinger associates, l’American enterprise institute, la Brookings institution. Quest’ultimo think-tank è prevalentemente democratico, ma per la Casa Bianca lavorano Helmut Sonnenfeldt e lo stimatissimo Joseph Stiglitz. anche lui un ex di Stanford e del Fmi. La Kissinger associates, col vecchio Henry collabora Brent Scowcroft, ha preparato la parte sulla sicurezza europea. Ma il contributo più forte è giunto dall’American enterprìse, dove lavorano la moglie di Dick Cheney e Newt Gingrich, ma soprattutto un’ex ambasciatrice americana all’Onu che non temeva le posizioni scomode, Jeanne Kirkpatrick. La signora è oggi consulente personale di Colin Powell e per lui scrive i discorsi di politica estera. Dunque, uno staff quasi tutto ereditato dal padre, che per il presidente Bush costituisce la miglior garanzia. Quando il discorso è stato pronto, Bush ha chiesto a Condoleezza se lo ritenesse abbastanza chiaro e fermo sull’allargamento dell’Alleanza, cioè sull’argomento che avrebbe toccato i nervi fragili di Mosca. Lei glielo ha assicurato e il primo di giugno lo speech ha avuto il crisma dell’ufficialità.