Cristianità, n. 309, gennaio-febbraio 2002
In tema di Risorgimento
Signor Presidente,
perdoni l’iniziativa, che so attuata
anche da altri e ciò mi conferma nella necessità di levare la voce perché certi
luoghi comuni, ormai diventati insopportabili, non continuino ad ingannare i
semplici.
Partecipavo con gioia ed intima
partecipazione alla “festa dell’unità d’Italia e delle forze armate” il 4
novembre scorso. Avevamo Insieme pregato in Cattedrale — anche per Lei signor
Presidente — e ci eravamo recati al monumento ai caduti in una mattinata piena
di sole.
Tutto bello,
tutto coralmente sentito, compreso l’ inno nazionale d’Italia. Poi, la doccia
fredda: il suo messaggio, signor Presidente. AIti pensieri, nobili richiami,
doverosa partecipazione. In questo contesto tanto elevato, l’accenno al Risorgimento
e, addirittura, a quel Garibaldi che, creda, ad Isernia, è tristemente
famoso, insieme alle sue truppe mercenarie.
Ah, no, signor
Presidente, quel richiamo a una storia, per fortuna quasi dimenticata, è stato
proprio fuori luogo.
Creda - e
glielo dice un pastore della Chiesa cattolica — nessuno di noi vuole tornare
indietro di centocinquant’anni, se non altro per non riaprire le piaghe sanguinanti;
nessuno di noi vuole ripristinare il regno di Napoli e la dinastia borbonica,
dalla quale peraltro il Sud ha ricevuto grandi benefici;
nessuno di noi vuole rimettere in piedi
lo Stato pontificio, sottratto al legittimo sovrano, con guerra non dichiarata
e quindi contro lo ius gentium, plurisecolare; nessuno di noi vuole
frazionare l’Italia (semmai ci penserà qualche porzione della nostra classe
dirigente); ma nessuno ci potrà convincere della bellezza esaltante di un’azione
che a suo tempo, tutta I ‘Europa, per non dire il mondo intero, ha
stigmatizzato coralmente; nessuno potrà accettare l’accomodante esaltazione di
un avventuriero armato che con le sue truppe mise a ferro e fuoco le pacifiche
zone del Sud, tra cui la mia città episcopale.
Le teste tagliate degli iserniani, esposte
al pubblico ludibrio sono su stampe e documenti dell’epoca che Ella stessa
potrà reperire.
Nessuno di noi vuole rivangare il
passato, signor Presidente, soprattutto un tale passato. Non lo può fare
nemmeno Lei, travisando la stona.
Su casi del genere gli antichi nostri
avi dicevano saggiamente:
“Parce sepultisH.
Per carità, signor Presidente, non ci
costringa a tirar fuori dagli armadi del cosiddetto “risorgimento” certi
scheletri ripugnanti.
Cerchiamo insieme di costruire
un’Italia migliore, insieme ai nostri giovani, i quali conoscono la storia e
guardano al futuro, senza ripristinare insopportabili travisamenti di una
storia che ormai i più avveduti conoscono. Le suggerisco, al riguardo, la
lettura di un simpatico libro di una giovane studiosa d’Italia: [ANGELA
PELLICCIARI,] Il Risorgimento da riscrivere . [Liberali &
massoni contro la Chiesa, con prefazione di Rocco Buttiglione e postfazione
di Franco Cardini, Ares, Milano 1998].
E poi, appena sarà pronto, Le invierò,
in omaggio per la sua segreteria, un libro che un mio presbitero ha scritto e
per il quale ha già ottenuto un plauso internazionale.
Lasci stare il “risorgimento”, signor
Presidente, e parliamo insieme di “rivincita” morale, civile, religiosa che la
nostra Italia merita e di cui tutti, insieme, vogliamo essere artefici operosi,
senza nostalgie per un passato non troppo antico, che ha assai poco da
insegnarci.
Perdoni l’ardire, signor Presidente,
ma non potevo tenermi dentro quanto qui Le ho semplicemente accennato. “Nessun
silenzio comprato!” — è uno dei miei motti preferiti.
Con deferente ossequio, La saluto
+Andrea Gemma
F.D.P.
vescovo
15 novembre 2001
Documento trascritto da Notiziario.
Diocesi di Isernia- Venafro, anno XVIII, n. 11, Isernia 30-11-2001, pp.
39-40, dove è comparso con il titolo Lettera aperta al Presidente
della Repubblica. La data è stata fornita dall’Ufficio Comunicazioni
Sociali della diocesi. Inserzioni fra parentesi quadra e titolo redazionali.