ANTEPRIMA. Il 29 marzo e il 5
aprile su Raiuno le testimonianze inedite dei religiosi che tennero vivo il
cattolicesimo nella “Chiesa del silenzio”.
Arresti, minacce, torture:
il calvario dei credenti nei Paesi del
socialismo reale
di Paolo Conti
Corriere della sera, 19-03-02
Il terrore frantumava persino la più istintiva
tra le certezze affettive: la fiducia tra fratelli. Nana commosso padre Josef
Konc, frate slovacco di Bratislava: “La mia famiglia non sapeva che ero un
frate e mio fratello cappuccino non sapeva di me come io di lui… solo chi ci
aveva ordinato sapeva, nessun altro doveva sapere perché così si difendeva
la Chiesa del silenzio”.
Il racconto di padre Konc è una delle sessanta
storie raccolte in un anno di lavoro, tutte tristemente uguali perché
certificano la sistematica persecuzione dei regimi comunisti dell’Est contro
i cattolici. L’ “uomo nuovo” comunista doveva essere ateo e disprezzare la
religione come una debolezza sociale da sradicare: chiese distrutte o
trasformate in uffici, credenti rinchiusi per anni in carcere, suore preti
torturati e uccisi.
Celebrare messa,
ordinare sacerdoti nell’assoluto segreto era l’atroce garanzia per la
sopravvivenza della Chiesa del silenzio, spesso sospettata di “intelligenza
col nemico” per l’obbedienza al Pontefice romano, come testimonia il
cardinale slovacco Jan Chryzostom Korec: “Fui condannato a 12 anni di carcere
anche per la mia fedeltà al Papa. Dissi al giudice che ne ero orgoglioso”.
Simbolo di tutto questo è la Collina delle Croci a Siaulai, in Lituania, erette
per ricordare (disse Giovanni Paolo Il nel ‘93) “figli e figlie della vostra
terra mandati in prigione, nei campi di
concentramento, deportati in Siberia e
condannati a morte”, Nel 1974 le croci furono distrutte dalla polizia. Ma i fedeli
di notte le rialzarono, Proprio da Vilnius monsignor Alfonsas Svarinskas descrive
un ambiente nei campi di concentramento: “Qui portavano i detenuti per la
fucilazione, Dicevano loro: “vai dentro, lì potrai chiedere la grazia!”. Così
entravano con più coraggio e speranza, ma il boia da dietro gli sparava”.
Le testimonianze,
tutte inedite, verranno proposte su Raiuno in due puntate venerdì 29 (subito
dopo la Via Crucis papale) e venerdì 5 aprile in seconda serata nello speciale
“Cristo nel freddo dell’Est: le Catacombe del XX secolo e il martirio della
Chiesa del silenzio dalla Rivoluzione di ottobre al 2000”. Testi e regia
sono di Luca De Mata, autore di molti documentari per il Comitato per il
Giubileo ed ex direttore dell’ufficio Internet dell’Anno Santo 2000 ma anche
regista “laico” (suo è un “Fantastico” con Enrico Montesano). Il racconto segue
la falsariga dei pellegrinaggi papali nell’ex Est.
I due filmati da 55
minuti ciascuno (il più incalzante è il secondo, il primo risente di qualche
pesantezza narrativa) sono costellati dagli sguardi fieri e insieme
dolcissimi di chi ha sfiorato la morte in nome di un credo. Spesso le torture
erano psicologiche. Uno dei sistemi più sicuri era contrapporre i figli ai
padri. L’operaio cattolico Kazimierz Grajcarek vive a Bielsko Biala in
Polonia: “Mi imprigionarono senza dire nulla ai miei familiari, la maestra a
scuola aveva la direttiva di istruire i miei figli che quando fosse stato
chiesto loro “dove sta tuo padre?” rispondessero “è stato arrestato perché
picchiava mamma, era un alcolizzato, un criminale”. Tornai a casa e mi chiesero
“papà, perché ti ubriacavi, perché ti sei comportato cosi male?””. Le violenze
fisiche erano altrettanto insopportabili, come quelle che mai spezzarono la
fede di Irina Ivanovna Sofronickaja che pregava a Mosca nella chiesa di San
Luigi dei Francesi, unica rimasta aperta negli anni più oscuri perché frequentata
dai diplomatici: “Mi imprigionarono, per mesi interi non mi lasciavano
dormire. Ogni notte venivo svegliata e mi interrogavano: “chi sono i preti, i
vescovi clandestini?”. Mi tenevano una lampada sugli occhi, da allora ho
problemi alla vista, dovevo stare per ore in piedi e senza dormire. Sempre le
stesse domande, per giorni, per mesi”. A Gara Laslau, suora del monastero dì
Sant’Agnese dì Bucarest, tocca il capitolo romeno. Ecco cosa capitava a chi
non confessava i nomi dei “complici” della Chiesa del silenzio: “Fui arrestata
perché ero suora, in una stanza c’erano un capitano e un luogotenente, il primo
aveva stivali con le punte di ferro e mi colpiva, mi colpiva... anche con i
pugni, dovevo tenere le mani dritte così… Un giorno con un pugno mi spaccò il
timpano sinistro. Un’altra volta il capitano mi colpì così fortemente al cuore
che sentii il sangue colarmi dalla bocca”.
Nella Romania di
Ceausescu, i bambini cattolici erano internati in campi speciali di
rieducazione, come racconta Cristina Tancau, ora educatrice nella casa “San Giovanni” della Caritas di Bucarest: “Creavano istituti immensi dove tenevano
i bambini come me. Nel regime comunista “non esistevamo" come “non
esistevano” i bambini sulla strada, persone con problemi mentali bambini con la
sindrome di Down o con una visione diversa da quella comunista”.
Del durissimo sistema
bulgaro racconta sua eccellenza Chrìsto Proykov, esarca apostolico della
Bulgaria: “Ci furono sacerdoti condannati a morte e fucilati, la nostra è una
Chiesa martire, ci furono più di dieci anni senza preti, senza seminari, senza
alcuna libertà religiosa”. Invece da Scutari una voce legge il memoriale di
padre Anton Luli, gesuita, ora scomparso, figura notissima tra chi frequentò
l‘Albania immediatamente uscita dall’incubo comunista: “Ho vissuto per 17
anni in prigione e molti altri anni sono stato costretto ai lavori forzati. La
mia cella era ari bagno maleodorante dove mi fecero stare per nove anni e dove
era impossibile sdraiarsi per quanto era stretto”. Crollato il sistema, padre Anton incontrò per caso uno dei suoi aguzzini. Rispose da cristiano, con
quella fede che sta scomparendo da un’Europa sempre più secolarizzata: “Avevo
pietà di lui, lo abbracciai”. Un gesto di perdono sincero e incondizionato,
più che naturale per un credente.
E proprio il tema del perdono resta
sullo sfondo del racconto televisivo come un
Impegno mantenuto,
dunque. Resta un interrogativo. secondo Stratiev: “I comunisti non hanno mai
chiesto perdono a nessuno, nemmeno nell’Assemblea nazionale. Nessuno si è
voltato a chiedere perdono alle famiglie distrutte del popolo bulgaro. Non
hanno accettato di chiedere perdono...”. Una ferita ancora aperta, più del
ricordo di tante torture.
Le due trasmissioni sono disponibili in video cassetta
richiedendole a:
R C Edizioni
s.r.l.
Villa Ambiveri,
via Tasca, 36
24068 Seriate
(BG)
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