Il Secolo d’Italia, 22 maggio 2002
Una nuova edizione del libro di Domenico Fisichella sui pensatori controrivoluzionari
di Aldo Di Lello
All’inizio degli anni Sessanta Isaiah Berlin scrisse un saggio di grande acutezza analitica su Joseph de Maistre. Lo scritto, forse perché troppo in anticipo rispetto alle tendenze allora dominanti nel dibattito delle idee, uscì in Italia soltanto nel 1994 nella raccolta di saggi pubblicata da Adelphi con Il titolo «Il legno storto dell’umanità». Dopo aver osservato che la visione demaistriana della società poteva certo «riuscire detestabile a coloro che davvero apprezzano la libertà dell’uomo», il pensatore liberale rilevava però che il teorico della controrivoluzione «arditamente svelò (e violentemente esagerò) alcune verità nodali, sgradite ai suoi contemporanei. rifiutate con sdegno dai suoi predecessori e riconosciute soltanto ai nostri giorni». Tra queste verità sgradite c’era la visione piuttosto cattivista (per utilizzare il linguaggio odierno) di una società come un «groviglio inestricabile di esseri umani: peccatori, impotenti. lacerati da opposti desideri. sospinti in ogni direzione da forze troppo violente per lasciarsi controllare e troppo distruttive perché una qualche formula razionalistica possa giustificarle».
L’opposta visione rousseauiana, fondata sulla bontà naturale dell’uomo, è risultata, in questi due secoli, assai più dilettevole agli occhi di generazioni e generazioni di ideologi, pensatori politici e costituzionalisti, al punto da costituire il nucleo forte di qualsiasi versione progressista della democrazia. Ma. a dispetto del suo prolungato successo. L’ottimismo di Rousseau non ci ha messo al riparo dall’avvento dei totalitarismi e dalle tentazioni plebiscitarie della democrazia.
Per cui, volendo fare l’anamnesi delle odierne patologie democratiche (indebolimento della partecipazione politica, svuotamento delle istituzioni rappresentative, crisi della sovranità a vantaggio dei poteri oligarchici) appare più produttivo rivolgersi al realismo demaistriano piuttosto che alI’utopismo rousseauiano.
Utile e opportuna appare quindi questa nuova edizione di un agile saggio dl Domenico Fisichella sul pensiero dei grandi reazionari del passato uscito per la prima volta nel 1997 per i tipi di Ideazione e ora riproposto, in forma ampliata e arricchita. presso Costantino Marco Editore: «Critica di destra alla democrazia ovvero le ragioni del torto» (pp. 102, euro 7).
L’autore parte da questa. attualissima domanda: «Qual è il momento logico e operativo, qual è la soglia valoriale, qual è il passaggio di snodo comportamentale oltre i quali lo spirito democratico per vie interne (..) si ritorce con perversa coerenza nel suo contrario?». L’attenzione per il pensiero critico dei Maurras, dei Donoso Cortés, dei de Maistre, de Bonald, Burke ed altri non è «mero esercizio di filologia» ma nasce da un «interesse tutto contemporaneo». C’è la necessità di capire le disfunzioni della democrazia contemporanea perché il totalitarismo, a cui peraltro Fisichella ha dedicato un fondamentale studio recentemente riproposto in nuova edizione, non è soltanto una tragica esperienza storica ma anche una modalità politica che può riaffacciarsi, ancorché in forme inedite, quando «l’intreccio delle circostanze dovesse precipitare verso sbocchi perversi (dopo il tragico settembre 2001) meno improbabili di prima», come Fisichella stesso scrive nell’introduzione a «Totalitarismo - Un regime del nostro tempo» (Carocci ed.). Dunque la democrazia può deperire anche per cause endogene. che poi nascono dalle contraddizioni interne dell’ideologia che s’è fatta in qualche modo egemone nel corso della storia. Ebbero certo torto i pensatori reazionari a rifiutare i princìpi della sovranità popolare all’alba dell’esperienza democratica moderna, ma ebbero piena ragione a individuare le debolezze teoriche e a prevedere e possibili contraddizioni pratiche dei sistemi politici che scaturirono dal terremoto della Rivoluzione francese. Ebbero anche ragione a criticare l’astrattezza della visione «contrattualistica» della società. Per questi autori, la «natura dell’uomo si coglie e si esprime nella sua storicità e socialità». Così pure ebbero. ragione a individuare la tensione tra libertà e uguaglianza, l’ipertrofia del diritto e dei diritti», i rischi di un utopismo non temperato dal riferimento alla concretezza storica, alle tradizioni e alle libertà naturali dell’uomo: la contrapposizione di realismo e utopia è uno dei cardini su cui ruota sia il pensiero controrivoluzionario sia quello conservatore.
Il problema degli ideali teorizzati tra il XVIII e il XIX secolo è la loro capacità a «ritorcersi» nel loro contrario. La democrazia si rivolge spesso nell’oligarchia e la proclamata uguaglianza dei cittadini nella comunità politica si apre ai forti condizionamenti del potere finanziario. Fisichella cita un duro passo dl Maùrras: «Da qualunque parte lo si prenda. un dato risulta certo: è il denaro che fa il potere in democrazia. Lo sceglie, lo crea, lo genera. Esso è l’arbitro del potere democratico perché in sua assenza tale potere riprecipita nel nulla e nel caos».
È insomma un invito alla concretezza e al rifiuto di rovinosi ideologismi quello che emerge dalle pagine dl Fisichella. Chi ama realmente la democrazia non può nascondersi i suoi rischi possibili, non può fare finta di ignorare che, ad aprire le porte al nemico totalitario, è spesso chi abita dentro la cittadella di Libertà politiche malamente praticate. Le democrazie, osserva I’autore «concludono il loro ciclo di esistenza o cadendo o progressivamente trasformandosi in oligarchie con classi dirigenti pessimamente selezionate, i cui giochi di potere coesistono con disordine, anarchia e incapacità decisionale paralizzando le risorse nazionali e sociali, o comunque comportando costi esorbitanti rispetto alle opportunità offerte dall’ambiente e dalla geopolitica».
Furono certo oppositori delle idee democratiche i de Maistre, i de Bonald e i Donoso Cortés. Ma, approfondendo quella loro critica agli «immortali principi» dell’89 francese incontriamo anche gli strumenti per una critica radicale del totalitarismo: le tentazioni plebiscitarie, la demagogia senza controllo, il culto della personalità sono veleni sprigionati dai regimi di massa fondati su una visione astratta dell’uomo e della società.
È utile rileggere quei grandi inattuali: non certo come i teoreti di un’antistorica alleanza tra Trono e Altare ma come gli inconsapevoli profeti degli orrori del ‘900.