Il Giornale, 17 maggio 2002
Luigi Amicone
Perché dobbiamo plaudire al governo della Casa delle Libertà e incoraggiare il ministro Maroni ad andare avanti in quella che già si profila come una politica finalmente rivoluzionaria a sostegno della famiglia italiana?
Ammettiamo la singolarità dello stimolo che ci spinge a entrare in argomento: in un’Italia che assiste a una vertiginosa crescita di coppie di fatto che vanno e vengono, divorzi, separazioni, e che viaggia al record mondiale (di denatalità) di 1,2 figli per coppia le statistiche dicono che avremmo bisogno di 2,3 milioni di immigrati per far fronte alla nostra emergenza demografica), chi scrive è sposato da vent’anni e ha sei figli (che comportano un certo salasso psico-socio-economico, di qui l’augurio che il governo tenga presente anche i «carichi famigliari» delle «vecchie» oltre che «nuove» coppie). Condizioni ambientali facili per noi sposati? Come sa chiunque si trovi (anche solo con un figlio a carico) in questa condizione, neppure per sogno. E non intendiamo qui riferirci anzitutto al capitolo del conformismo dominante che da decenni si esercita nel facile sport della demolizione per via ideologica dell’istituto familiare. Mi riferisco al nulla politico che è stato fatto - tanto nella prima Repubblica. quanto nel decennio sinistrorso e catto-comunista che ci lasciamo alle spalle - nel campo fiscale, scolastico, sociale, sanitario, per sostenere materialmente il mestiere di vivere in coppia e di tirar grandi i figli la famiglia è la pietra miliare che regge le fondamenta di ogni società
Qualunque sia il contenuto ideale, il credo, la
tradizione in cui essa è inserita, senza la famiglia non esisterebbe né
società. né storia giacché società e storia esigono la presenza di un fattore generativo ed
educativo. Un fattore che - letteralmente - «dà la vita» e che, al tempo stesso,
tramanda ad ogni nuovo essere che viene
al mondo quell’esperienza necessaria a non renderlo foglia al vento, o addirittura
oggetto di sperimentazione sociale, tipo quelle viste nei regimi comunisti di
Pol Pot o di Ceausescu dove la liquidazione della
famiglia ha coinciso con la liquidazione di un popolo, la creazione di una
folla di orfani, bambini di strada, automi killer. Insomma, comunque la
pensiamo,
il dato di realtà è questo: nel
bene e nel male, la famiglia fondata sul matrimonio è un’assicurazione sulla
vita, sulla possibilità che essa sia stabilmente tramandata e che divenga
oggetto di decisioni, cura e responsabilità per la continuità del mondo comune.
Bene, cosa è stato fatto per aiutare questa forma essenziale di alleanza tra uomo e donna in un compito che esige impegno e sacrificio? Nel decennio che finalmente ci lasciamo alle spalle e che la «svolta» politica nella superpermissiva Olanda sembra suggellare in maniera drammatica, il pensiero debole e nichilista ha fatto strame di quella nozione semplice ed essenziale per la vita associativa che è la famiglia
Terribile, a questo proposito, e anticipatrice del responso delle urne, la denuncia del cardinale di Utrecht Adrianus Simonis: «I professionisti della politica hanno perso contatto con la gente. Qui in Olanda oligarchie di potenti hanno deciso cose sbagliate per il popolo: come l’eutanasia e il matrimonio fra omosessuali. Non esistono più valori comuni e norme condivise». Ma tutta Europa ha preso questa china folle e disordinata. In un sistematico delirio ideologico è sembrato che, siccome non ci sarebbe verità possibile sull’uomo, ogni sperimentazione è giustificabile. Il presupposto privato di ogni legame affettivo - l’amore, i sentimenti, le emozioni - diventa così l’elemento decisivo anche in ambito civile, nell’ambito del quale, avallata per via normativa la volubilità istintuale, viene liquidato l’altro aspetto del legame di coppia, quello socialmente fondamentale di responsabilità per il mondo comune che si esprime nel dare inizio a una nuova vita e nell’organizzare il mondo per proteggere e custodire questa novità. Ma così finisce un popolo e la società diventa una babele di lobby e di tribù, ancorché sessuali Dall’amore saffico a quello efebofilo, dai bimbi in provetta al commercio degli embrioni, dagli uteri in affitto al seme maschile trasferito nelle apposite «banche» o commercializzato su Internet, la vita diventa un affare da meri consumatori. Un affare che alla famiglia sostituisce la coppia casuale per gusto e il processo tecnologico della procreazione per necessità. Insomma una confusione totale, sostenuta da una falsa idea di progressismo secondo cui tutto ciò che si può fare sarebbe di per sé anche lecito.
E così una sinistra ben disposta a scambiare il galoppo dei desideri con il trotto della realtà, ha sanzionato (specie sul piano fiscale) la famiglia tradizionale per spostare sempre più l’attenzione verso i diritti del single o, come si dice oggi, del never married il «mai sposato»), della coppia di fatto o di quella gay (emblematiche a questo proposito le riforme introdotte dai governi socialdemocratici in Germania e in Francia). Ora è ovvio che sarebbe assurdo, in democrazia, il procedimento contrario del sanzionare qualcuno perché non è sposato o per la sua diversità sessuale. Ma ragione e buon senso capiscono molto bene che la famiglia tradizionale non può non restare ai centro della vita sociale e dunque al centro di una cura particolare e primaria da parte del legislatore.
Di più. In questi ultimi anni, con il fenomeno immigrazione, abbiamo visto emergere anche altre culture (in specie quella islamica) che non soltanto resistono ad ogni nostra assimilazione relativista, ma si presentano con modelli anche familiari che, col tempo, si candidano a cambiate radicalmente le società occidentali. Non si tratta di xenofobia o di razzismo, si tratta di aprire gli occhi davanti a un collasso di civiltà. È tutto questo, ci auguriamo, che l’attuale governo italiano e che la maggioranza degli elettori europei sembra abbiano finalmente compreso; esigendo li ritorno a una politica realista anche nei confronti della famiglia fondata sul matrimonio, responsabile e laica, cioè giudaica-cristiana.